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Malasanità in Sicilia

La responsabilità politica nella, quanto mai discutibile, gestione della Sanità siciliana. L'analisi di Agostino Spataro

01 ottobre 2005

''Malasanità in Sicilia, mezzo secolo di spartizioni''
di Agostino Spataro

Otto morti in dieci giorni per malasanità (e come chiamarla altrimenti) sono troppi anche per un Paese in via di sviluppo e dovrebbero far scattare una reazione equivalente anche in un popolo paziente come quello siciliano.
Per altro, c'è da sottolineare che non si è trattato di operazioni complesse o d'avanguardia ma di interventi ordinari, di routine, la qualcosa non fa che aumentare lo sconcerto e la preoccupazione generali.
Ce n'è abbastanza da fare scattare l'allarme soprattutto nel ceto politico e manageriale e perfino nella cosiddetta ''classe medica'' che certo non se ne può uscire scaricando tutte le colpe sul ''sistema'' che finora quasi nessuno ha denunciato.
Eppure, a parte la risonanza che la vicenda sta avendo sui media, non si annunciano iniziative politiche, parlamentari e sociali anche clamorose e comunque corrispondenti alla gravità della situazione per individuare e rimuovere al più presto le cause dirette o derivate di questa vera e propria debacle della sanità siciliana.
Solo qualche dichiarazione di circostanza e qualche provvedimento amministrativo da parte di un assessore e di un governo che fino all'altro ieri hanno spartito a tavolino i supermanager ai quali sono affidate le sorti della sanità pubblica isolana.
Hanno lottizzato senza sentire ragioni, anche quelle di una scrupolosa valutazione di capacità e di moralità, di professionalità e di produttività. Hanno proceduto come bulldozer, senza alcun rossore, ognuno intestandosi il suo bel manager. Tutto pareva filare per il meglio. Fino a quando non è esploso lo sgangherato sistema sanitario regionale, ideato e costruito come formidabile centro di potere affaristico e clientelare.

Su tali aspetti quasi tutti tacciono, mentre i cittadini, presi dal panico e dallo sgomento, non sanno più a quale santo votarsi per assicurarsi la riuscita di una banale operazione di appendicite.
Certo, sarebbe ingeneroso generalizzare (poiché esistono strutture e professionalità anche di buon livello) tuttavia non si possono tollerare, soprattutto in questi tragici frangenti, posizioni miranti a minimizzare o, peggio ancora, ignorare, rimuovere o negare la drammaticità di una situazione, gestionale e funzionale, che non lascia tranquilli. 
Oggi più che mai, in questo gran marasma, il cittadino si sente solo ed indifeso, mentre si annunciano nuovi tagli allo stato sociale e si allentano i vincoli della convivenza solidale.
Pensandoci bene, chi difende oggi il cittadino semplice, non raccomandato?  
Questi fatti, inoltre, rischiano d'incrinare la fiducia dei cittadini nella sanità pubblica e quindi d'indurli a riprendere la via dei viaggi della speranza verso il Nord (che con la devolution di Bossi e del centro-destra costeranno un occhio della testa) oppure, chi potrà farlo, a ricorrere alla sanità privata che in Sicilia ha fatto registrare, negli ultimi anni, uno sviluppo poderoso e - come al solito - molto assistito da mamma regione.
Sulla sanità siciliana bisogna, finalmente, parlare chiaro ed agire di conseguenza, ognuno per la parte di responsabilità che gli compete, poiché se il governo ha fatto il bello e il cattivo tempo, in questo come in altri campi, ciò è anche per responsabilità di un'opposizione episodica, evanescente e comunque non all'altezza della gravità del compito affidatole dall'elettorato.
Anno dopo anno, le cosiddette ''aziende ospedaliere'' sono state trasformate in macchine idrovore di spesa pubblica dove, prima che alla cura, si pensa alle forniture, alle carriere, ai posti di lavoro e quant'altro, magari in combutta con settori della criminalità organizzata.
A tale riguardo, basta seguire le inchieste e i processi in corso a Palermo, a Catania ed altrove o le pesanti ed inequivocabili dichiarazioni del cardiochirurgo professor Marcelletti o dell'on. Fleres di F.I., due personaggi che certo non possono essere annoverati fra i contestatori dell'attuale governo di centro-destra.
A leggere il bilancio della Regione e quelli assai magri dei cittadini, la sanità in Sicilia, pubblica e privata, è divenuta il grande business, l'affare più lucroso.        

Ma - si dirà - in Sicilia abbiamo strutture d'eccellenza. Ora, a parte che trattasi di strutture e professionalità importate e molto dispendiose, è lecito chiedersi: a che serve l'eccellenza quando non si riesce ad assicurare la normale routine? 
D'altra parte, l'eccellenza non è incompatibile con un moderno sistema sanitario che per essere efficiente e razionale dovrà essere liberato dalle grinfie dei partiti, ma anche dei baroni della sanità.
Coincidenza vuole che queste morti terribili siano avvenute nel bel mezzo di un confronto piuttosto intenso, quanto finora inconcludente, all'interno dei due poli in vista delle candidature per prossime elezioni regionali e nazionali. C'è da sperare che almeno venga fuori qualche proposta seria e fattibile di risanamento e di riqualificazione del sistema sanitario siciliano.

Articolo pubblicato in ''La Repubblica'' del 30 settembre 2005

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01 ottobre 2005
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