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Mancano i commissari alle Grandi Opere

Era tutto pronto, perché urgenti erano le misure anticrisi, ma all'ultimo momento...

01 giugno 2009

Dal Ponte sullo Stretto al Mose...
BLOCCATE LE NOMINE DEI 16 COMMISSARI ALLE GRANDI OPERE

di Sergio Rizzo (Corriere.it, 25 maggio 2009)

La lista dei sedici nomi era pronta. Qualche alto papavero ministeriale, qualche superburocrate, qualche tecnico. Pronti per avere il bollo del governo: commissari alle grandi opere pubbliche. Uno per ognuna delle infrastrutture strategiche per il Paese.
Impacchettata per il via libera del Consiglio dei ministri della scorsa settimana, all'ultimo momento è stata rimessa nel cassetto. Tutto rimandato. A quando? Appena possibile. Ma a questo punto, settimana più, settimana meno...
Da quando il governo ha varato il decreto anticrisi con le misure urgenti (urgenti!) per far ripartire l'economia, fra cui figura proprio (articolo 20) l'istituzione dei commissari per mettere il turbo alle opere infrastrutturali che procedono a passo di lumaca, sono passati sei mesi. Quattro, invece, da quando il Parlamento ha convertito definitivamente in legge il provvedimento. Ma dei famosi commissari nemmeno l'ombra. Si dirà che per i tempi italiani, dove le decisioni si prendono al ritmo delle ere geologiche, quattro o sei mesi non sono niente. Peccato soltanto che gli effetti della crisi non aspettino i comodi della nostra burocrazia.

Negli ambienti della maggioranza, dove i commissari vengono ovviamente difesi a spada tratta, si rigetta la tesi che tutto si sia bloccato a causa di contrasti politici o scontri fra poteri. I continui rinvii avrebbero a che fare piuttosto con altre questioni. Prima è sorto il problema di definire con esattezza le risorse a disposizione per il nuovo piano di infrastrutture: a un certo punto era stata ventilata l'eventualità di dirottare lì una parte dei soldi non utilizzati per gli ammortizzatori sociali. Poi c'è stato il terremoto dell'Abruzzo, che ha oggettivamente complicato tutto. Con la conseguenza di rendere più difficile la decisione sulle opere da accelerare. Quali affidare ai commissari? Il Ponte sullo Stretto di Messina? La Salerno-Reggio Calabria? Oppure il Mose? O magari la fantomatica autostrada Livorno-Civitavecchia, che sta tanto a cuore al ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, sindaco di Orbetello? Inutile dire che anche qui c'è stato un bel tira e molla.
Non che non ci siano anche altri problemini. Vero è che i nuovi commissari si sono visti accrescere i poteri rispetto ai loro precedessori. Per esempio, potranno agire in deroga ad alcune norme vigenti, in caso di necessità. Ma anche intervenire quando ci si trovi di fronte a ritardi ingiustificati. E perfino proporre la revoca dei finanziamenti. Senza però avere in mano i cordoni della borsa, che restano saldamente in pugno alle cosiddette «stazioni appaltanti»: le Ferrovie, l'Anas... Un meccanismo che rischia di mettere oggettivamente i commissari in contrasto con i vertici di quelle «stazioni appaltanti». Ecco perché Angelo Cicolani, ex direttore generale dell'Astaldi, parlamentare del Pdl considerato fra i massimi esperti di questo settore, aveva suggerito di nominare commissari proprio loro. Soluzione ora sempre possibile, ma non esplicitamente prevista.
Esiste poi una pattuglia di burocrati frenatori che, in centro e in periferia, ha sempre considerato i commissari un'inutile iattura, buona soltanto a pestare i piedi ai provveditori alle opere pubbliche. Insomma, non manca nemmeno chi, sotto sotto, non ha mai smesso di remare contro. C'è da dire che i precedenti non sono esaltanti.

I commissari alle grandi opere sono un'invenzione del primo governo di Romano Prodi, ministro l'ex sindaco di Venezia Paolo Costa. Senza grandi risultati. Non migliore fu l'esperienza dei commissari nominati nel 2003 dal secondo governo di Silvio Berlusconi, che con la legge obiettivo contava di rinverdire (parole dell'ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi) i fasti del Colosseo e delle Piramidi.
«Avevano poteri limitati. E sono serviti concretamente in poche occasioni», ricorda oggi uno di loro: Aurelio Misiti, ex presidente del consiglio superiore dei Lavori pubblici, assessore della Regione Calabria, attualmente parlamentare dell'Italia dei Valori. Allora i commissari si dividevano cinque macroaree. A Misiti toccò il Sud e la Sicilia. Ma dopo qualche tempo si dimise in polemica con il governo avendo preso atto che, nonostante quanto era scritto nel piano delle grandi opere, non c'era alcuna intenzione di realizzare l'alta velocità ferroviaria fra Salerno e Palermo. Il secondo governo di Romano Prodi, estremamente diffidente nei confronti del piano infrastrutturale berlusconiano e diviso al proprio interno, dove i Verdi esercitavano un notevole potere di condizionamento, ereditò con il massimo scetticismo quei commissari. E alla scadenza degli incarichi non li rinnovò: da allora sono passati più di due anni.

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01 giugno 2009
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