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Marcello Dell'Utri davanti il giudice libanese

Mentre si tiene l'udienza per la convalida del fermo dell'ex senatore, in Italia i suoi avvocati si ammalano...

14 aprile 2014

Si terrà questa mattina a Beirut, in Libano, l'udienza di convalida del fermo dell'ex senatore Marcello Dell'Utri, arrestato sabato mattina in un lussuoso albergo della città (LEGGI).
Dell'Utri non sarà assistito dai suoi legali italiani, ma da un avvocato libanese. Dovrebbe spiegare al giudice il motivo della sua presenza a Beirut. Dell'Utri, se volesse, potrebbe anche chiedere di essere consegnato subito alla polizia italiana senza dar corso alle procedure per l'estradizione che comunque comincerebbero solo dopo la sentenza della Cassazione.

Ma la notizia più importante arriva da Palermo. Una improvvisa doppia malattia ha colpito gli avvocati che difendono l'ex senatore in Cassazione: uno dei suoi legali, Massimo Krogh, è da ieri  ricoverato in una clinica, e stamattina anche il secondo difensore Giuseppe Di Peri depositerà un certificato medico che prova la sua impossibilità di partecipare al processo.
Rischia dunque di essere rinviata ad altra data l'udienza della Corte di Cassazione prevista per domani per la decisione definitiva sulla condanna a sette anni di carcere per l'ex senatore Pdl accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Saranno comunque i giudici della Cassazione a decidere se accogliere la richiesta di rinvio.

La moglie ed il figlio di Marcello Dell'utri sono giunti ieri pomeriggio a Beirut. Lo ha riferito questa mattina il quotidiano panarabo Al Hayat, il quale, citando fonti anomine, afferma che i familiari dell'ex senatore "sono in attesa dell'autorizzazione della procura generale (libanese) per incontrare il loro congiunto nel luogo dove è detenuto nella 'sezione informazione' delle forze della sicurezza interna".
Lo stesso quotidiano riferisce di aver appreso che "il mandato di cattura emesso dall'interpol contro uno dei collaboratori" dell'ex premier italiano Berlusconi "vincola tutti gli stati aderenti all'organizzazione internazionale a consegnarlo alle autorità italiane per essere processato".

Secondo la ricostruzione fornita all'Ansa da uno dei dirigenti della polizia locale che sabato ha partecipato al fermo, l'ex senatore italiano non si aspettava di essere arrestato. "Non c'è stata nessuna irruzione - ha dichiarato la fonte che preferisce restare anonima - né si è trattato di un'operazione speciale. Ci siamo presentati al banco dell'albergo, chiedendo di salire in camera del ricercato italiano. Abbiamo bussato alla porta della camera, una delle stanze ordinarie dell'albergo, ci ha aperto e fatto entrare senza opporre resistenza".
Dell'Utri "non si aspettava di essere fermato" ma era "tranquillo", e "ci ha seguito al commissariato. Non era arrabbiato, né triste, era molto tranquillo".
In Italia il caso ha suscitato reazioni nelle fila di Forza Italia. "Con ogni evidenza le dichiarazioni del governo e le prime pagine dei giornaloni sulla vicenda Dell'Utri segnano l'inizio della campagna elettorale", ha affermato il presidente dei deputati azzurri Renato Brunetta, secondo il quale "si è inventato dal nulla un reato sulla base di chiacchiere di terze persone".
"Non c'è alcun parallelo tra Dell'Utri e Craxi", ha aggiunto il capogruppo di Forza Italia in Senato, Paolo Romani. "È un caso o uno scherzo del destino che in questo Paese le due persone che non hanno permesso la 'mietitura' giudiziaria, oggi dopo 20 anni sono uno in attesa di provvedimenti restrittivi e l'altro di sentenza definitiva".

Il Libano rifugio di spie, bancarottieri e dissidenti - Dissidenti politici arabi e stranieri, bancarottieri, leader guerriglieri e spie doppiogiochiste sono tutti prima o poi passati e, in alcuni casi anche rimasti, a Beirut: crocevia del Medio Oriente e oasi dove trovare protezione da persecuzioni e mandati di arresto o dove godersi una pensione dorata lontano da sguardi indiscreti.
Tra gli italiani, il nome più noto è Felice Riva, l'industriale lombardo che nel 1969 fuggì proprio a Beirut per sfuggire alla giustizia italiana. Come Dell'Utri, 'Felicino', ex presidente del Milan e protagonista di uno dei primi scandali finanziari che negli anni Sessanta misero a soqquadro Milano, arrivò in quella che ancora poteva esser definita 'la Parigi del Medio Oriente' attraverso un itinerario non lineare: Nizza, Parigi, Atene e infine Beirut. Rino Gaetano, nel 1975, gli dedicò addirittura un verso ("...c'è chi scappa per Beirut e ha in tasca un miliardo...") nella sua celebre 'Il Cielo è sempre più blu'.

Ambienti della magistratura libanese affermano che l'accordo sull'estradizione tra l'Italia e il Paese dei Cedri fu siglato nel 1970 proprio in seguito al caso di Riva. Che rimase però a lungo in Libano, tanto da acquisire la cittadinanza, prima di fuggire di nuovo a causa della sanguinosa guerra civile (1975-90).
Proprio all'ombra del conflitto intestino libanese trovò rifugio e persino un lavoro Ilich Ramiréz Sanchez, meglio noto come Carlos, mercenario marxista-leninista che ha firmato numerose operazioni terroristiche e omicidi mirati in giro per il mondo. A metà degli anni 70 collabora assiduamente con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e fa di Beirut una delle sue basi operative.

A Beirut giunse ai primi anni 70 Kozo Okamoto, membro dell'Armata rossa giapponese e seguace dei movimenti di resistenza palestinese. Okamoto figura tra gli attentatori dell'attacco all'aeroporto israeliano di Lod nel 1972 organizzato sempre dal Fplp. Dopo aver scontato 13 anni nelle carceri israeliane fu liberato in uno scambio di prigionieri e, dopo varie peripezie, dal 1997 è tornato in Libano per sfuggire alla giustizia giapponese.

Assai più nota è la fuga a Beirut di Yasser Arafat e dei vertici dell'Olp tra il 1969 e il 1970, in corrispondenza con l'offensiva giordana contro le milizie palestinesi asserragliate nel nord del regno hascemita. Arafat e i suoi lasceranno Beirut Ovest sotto i pesanti bombardamenti israeliani nel 1982, prima verso Tripoli, nel nord del Libano, e quindi verso Tunisi.
Prima della guerra civile libanese, la spia britannica Kim Philby operava a Beirut con la copertura di giornalista ma fu in seguito assoldato dal Kgb russo e per anni vestì il doppio abito della spia ai tempi della guerra fredda muovendosi abilmente tra le montagne e le spiagge di un Libano che a quell'epoca era descritto come 'la Svizzera del Medio Oriente'.
Meno noti in Occidente ma molto famosi nel mondo arabo figurano decine di dissidenti politici siriani, iracheni, yemeniti, libici, algerini, che sono passati e rimasti al sicuro a Beirut in fuga dalle varie dittature che dagli anni '50 fino a oggi hanno dominato le società arabe dall'Atlantico al Golfo.

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ign, Lasiciliaweb.it]

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14 aprile 2014
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