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Maxisequesto della Dda a Cosa Nostra. La mafia palermitana da ieri è più povera di oltre 30 milioni di €uro

13 febbraio 2007

Tre ville, due caseggiati ancora in costruzione, un Bingo e una gioielleria... e poi ancora una palazzina nel centro storico di Palermo e tanti, tanti conti correnti. Sono tutti beni che ieri la Direzione distrettuale antimafia palermitana ha sequestrato a Cosa Nostra.
Trenta milioni di euro intestati a prestanomi riconducibili al boss Nino Rotolo, uno dei componenti della ''triade'' che insieme ad Antonino Cinà, ex medico di Provenzano e di Totò Riina, e al costruttore mafioso Franco Bonura, governava la mafia dopo l'arresto di Provenzano.
Un elenco di beni lunghissimo: i sigilli sono stati apposti a tre imprese edili; una gioielleria; lotti di terreno in area soggetta ad urbanizzazione nel Comune di Palermo; tre ville nel quartiere cittadino di Uditore; due fabbricati in corso di ristrutturazione in zona centrale; una palazzina nel centro storico ed un grande manufatto, nel rione Villa Tasca, adibito al gioco del Bingo, nonché i conti correnti degli indagati e delle imprese interessate.
Sequestrati anche beni per 2 milioni di euro relativi a due imprese riconducibili a Carmelo e Giovanni Cancemi, considerati appartenenti alla famiglia mafiosa di Pagliarelli. Entrambi, in concorso con Antonino Rotolo, si sarebbero aggiudicati con metodi mafiosi, una serie di appalti nel settore dei lavori edili.

Il maxisequestro è stato disposto nell'ambito delle risultanze dell'operazione ''Ghota'', scattata lo scorso 20 giugno con l'arresto di 51 persone, e che fece luce sulla ''triade'' che affiancava il boss dei boss Provenzano in una sorta di ''gestione commissariale'' che in Cosa nostra aveva sostituito la vecchia Commissione, paralizzata dall'arresto di quasi tutti i suoi membri.
Uno scenario che gli inquirenti definirono inedito per il potere mafioso: con l'operazione ''Gotha'' gli investigatori ritennero di avere disegnato il nuovo organigramma dei vertici della mafia, decapitati dal blitz che portò in carcere i nuovi responsabili dei ''mandamenti'' e i ''triumviri'' che li coordinavano: Nino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura.
Inoltre l'operazione evitò - dissero il questore Giuseppe Caruso e il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso - una nuova stagione di sangue a Palermo: uno dei membri della ''triade'', Nino Rotolo, progettava infatti una serie di omicidi per annientare la famiglia del capomafia Salvatore Lo Piccolo, oggi considerato l'erede di Provenzano, e diventare il dominasse incontrastato dei clan a Palermo. Proprio l'urgenza di fermare la nuova guerra di mafia prima che esplodesse, suggerì agli inquirenti di procedere subito, con un decreto di fermo, senza il più complesso passaggio dal gip. L'inchiesta ha decrittato, peraltro, il codice numerico dei ''pizzini'' di Provenzano, senza il contributo di alcun pentito, ricostruendo con una serie di intercettazioni gli interessi e le amicizie politiche più recenti di Cosa Nostra.

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13 febbraio 2007
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