Mediterranean plastic sea... L'allarme di Greepeace: il 'Mare Nostrum' è diventato un mare di palstica
Il Mediterraneo, da sempre uno dei mari più importanti della Storia e della Cultura dell'Uomo, oggi ha i fondali più inquinati del mondo. Tale affermazione arriva da Greenpeace, che prende spunto dai risultati di uno studio sulla contaminazione dei mari, effettuato dal 1990 al 2005, e presentati nei giorni scorsi a Barcellona in una conferenza stampa da alcuni attivisti della Ong.
Greenpeace setacciando il 'Mare Nostrum' ha riscontrato che la zona nord-occidentale, ossia quella compresa tra Spagna, Francia e Italia è la più sporca in assoluto. A bordo della 'Rainbow warrior', l'organizzazione ambientalista sta portando avanti la campagna ''Recuperiamo il Mediterraneo'' con l'obiettivo di denunciare la condizione delle acque.
E' soprattutto la plastica l'elemento che rischia maggiormente di ''strangolare'' il Mediterraneo. Bottiglie di plastica, piatti usa-e-getta, bicchieri monouso, posate, spazzolini da denti, ma anche caschi, cavi, giocattoli da spiaggia, profilattici e siringhe, sulle onde del mare nostrum ci sono duemila frammenti di materiali plastici per chilometro quadrato, dice la ricerca di Greenpeace.
E' vero che anche gli oceani e tutti gli altri mari sono comunque inquinati (sei milioni e 500 mila tonnellate di buste, involucri, imballaggi che galleggiano sulle acque), ma la distribuzione non è uguale, e il Mediterraneo ha due problemi: la conformazione, che non permette un ricambio veloce, e l'altissima concentrazione umana sulle coste.
Insomma, le acque su cui è nato il commercio, quelle su cui è stata costruita la prima civilizzazione, rischiano di essere soffocate definitivamente dagli eredi delle civiltà più antiche, indisciplinati e sporcaccioni.
Sebastian Losada, direttore della campagna ''Recuperiamo il Mediterraneo'', ha avvertito che la sensazione di pulizia che danno le spiagge in estate è ingannevole in quanto ''l'autentica realtà si può vedere da settembre a marzo'', e ha denunciato che 267 specie marine ingeriscono questi rifiuti, soprattutto le tartarughe marine, le balene, le foche e i leoni marini.
Oggi, dicono gli esperti, ad inquinare maggiormente sono i Paesi costretti al maggiore sforzo di industrializzazione, mentre nelle nazioni più ricche si è sviluppata una sensibilità ambientale. ''Ma abbiamo a che fare con materiali che hanno una vita lunghissima'', osserva Alessandro Giannì, responsabile della campagna oceani per Greenpeace Italia. ''I paesi di nuova industrializzazione buttano la plastica da pochi anni, mentre sulle coste dei paesi più sviluppati resta quella gettata da tantissimo tempo''. Dunque non si può sperare sulle già provate capacità di ''digestione'' del nostro mare: perché le buste dei supermercati si deteriorino completamente, ci vuole quasi la metà di un millennio, in media 450 anni.