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Meglio farsi processare in Angola...

Maglia nera per la Giustizia italiana, cronicamente afflitta da lentezza parossistica

31 gennaio 2009

Che la Giustizia in Italia sta male è un fatto oramai risaputo da anni. Ieri, giorno dell'apertura dell'anno giudiziario, quanto detto dal Consiglio superiore della magistratura e dal primo presidente della Cassazione ne ha confermato le patologie.

Cominciamo con quello che ha detto Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, sui tanti, tantissimi posti vacanti negli uffici delle Procure italiane. "Ci sono circa 200 posti negli uffici delle Procure scoperti, soprattutto nelle aree esposte alla presenza e all'offensiva della malavita organizzata".
Un dato allarmante per il quale ha sottolineato Mnacino si dovrà intervenire con "la dovuta urgenza". "L'ordinamento deve offrire soluzioni capaci di organizzare le attività di indagine e requirenti - ha detto Mancino -, il Csm ha dato l'allarme. Riuscirà il governo a coprire i vuoti? Che ci può dire in proposito il ministro Alfano?".
Il vicepresidente del Csm ha voluto segnalare, in particolare, il caso di Gela (CL), "che ha un tasso di scopertura dell'80% e procedimenti pendenti complessi, più di tremila": "Non può rimanere con un solo procuratore e due volontari applicati". Ma questo no né un caso isolato: "Se Gela piange - aggiunge Mancino - molte altre procure non ridono".

E dalle Procure disperate passiamo alla maglia nera consegnata alla Giustizia italiana da Vincenzo Carbone, primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone, durante la relazione con la quale ha inaugurato l'anno giudiziario presso la Suprema Corte.
Carbone ha rilevato che se il pianeta giustizia è in crisi lo si deve anche alle "tentazioni mediatiche" cui talvolta sono soggetti i giudici. In primo luogo, ha avvertito il primo presidente della Cassazione, come già fece lo scorso anno, "occorrerebbe evitare la realizzazione di veri e propri processi mediatici, simulando al di fuori degli uffici giudiziari, e magari anche con la partecipazione di magistrati, lo svolgimento di un giudizio mentre è ancora il processo nelle sedi istituzionali". Infatti, nemici della giustizia, secondo Carbone, sono soprattutto quei magistrati che manifestano "una sorta di narcisismo autoreferenziale che induce tra l'altro, all'emanazione di quelle 'sentenze corsare' le quali si pongono in palese e talvolta immotivato contrasto con consolidati indirizzi giurisprudenziali". Il tutto contribuisce ad aumentare "l'incertezza e anche il degrado istituzionale".

Ma la causa "più grave di tutte" secondo Carbone, risiede "nella mancanza, nell'ambito della magistratura, di una cultura diffusa dell'organizzazione e dell'efficienza, che si affianchi alla cultura del diritto". Troppo spesso, ha denunciato ancora Carbone, "il magistrato continua intimamente a ritenere di dover essere solo un bravo giurista, non anche un efficiente dispensatore del servizio". Avverte Carbone: "La realizzazione di sentenze ponderose, dotte e giuridicamente impeccabili, ma cronicamente tardive, è grave quanto la perpetrazione dell'ingiustizia". E il risultato è sotto gli occhi di tutti. Dati alla mano, infatti, il primo presidente della Cassazione ricorda che in tema di giustizia il nostro Paese viene addirittura dopo l'Angola e il Gabon "al 156° posto su 181". [Informazioni tratte da La Siciliaweb.it, Adnkronos/Ing]

GIUSTIZIA, TEMPI DA TERZO MONDO
di
Gian Antonio Stella (Corriere.it, 31 gennaio 2009)

Inaugurazione dell'Anno giudiziario: magistratura divisa sulle intercettazioni. Tutti d'accordo sulla lentezza dei processi: l'Italia è al 156°posto dopo Guinea e Gabon. Altri 16 giorni di ritardi nella durata media dei nostri processi e supereremo a ritroso anche lo staterello incastonato tra l'Eritrea e la Somalia. Questione di tempo: nella nostra retromarcia andiamo già peggio dell'Angola, del Gabon, della Guinea Bissau... Certo, Berlusconi spara sui «disfattisti » che demoralizzano le plebi incitando tutti ad essere ottimisti. L'ultimo rapporto «Doing Business 2009», però, non lascia scampo.

LA CLASSIFICA - La classifica, compilata «confrontando l'efficienza del sistema giudiziario nel consentire a una parte lesa di recuperare un pagamento scaduto», dice che gli Usa stanno al 6° posto, la Germania al 9°, la Francia al 10°, il Giappone al 21° e i Paesi dell'Ocse, fatta la media dei bravissimi e dei mediocri sono al 33° posto. La Spagna, che tra i Paesi europei sta messa male, è 54°. Noi addirittura 156°. Su 181 Paesi. Un disastro. Tanto più che quell'elenco non rappresenta solo un'umiliazione morale. La Banca Mondiale la redige infatti per fornire parametri di valutazione agli operatori internazionali che vogliono investire in questo o quel Paese.
CONSEGUENZE ECONOMICHE - Il messaggio è netto: dall'Italia, in certe cose, è bene stare alla larga. Perché uno straniero dovrebbe venire a mettere soldi in un'impresa italiana davanti a certe storie esemplari? Prendete quella di una vecchia signora vicentina che aveva fatto causa alla banca perché l'aveva incitata a investire tutti i suoi risparmi in una finanziaria a rischio e nei famigerati bond argentini. Sapete per che giorno le hanno fissato la prossima udienza? Per il 17 febbraio 2014. Un piccolo imprenditore veronese si è visto dare l'appuntamento per il 2016. Per non dire del caso del signor Otello Semeraro, che mesi fa non s'è presentato al tribunale di Taranto dov'era convocato per assistere all'ennesima puntata del fallimento della sua azienda. Indimenticabile il verbale: «Il giudice dà atto che all'udienza né il fallito né alcun creditore è comparso». C'era da capirlo: come dimostravano le carte processuali della moglie, citata come «vedova Semeraro», l'uomo era defunto. Nonostante la buona volontà, non era infatti riuscito a sopravvivere a un iter giudiziario cominciato nel 1962, quando la Francia riconosceva l'indipendenza dell'Algeria, Kennedy era alle prese coi missili a Cuba e nella Juve giocavano Charles, Sivori e Nicolè. Quarantasei anni dopo, le somme recuperate dal fallimento sono risultate pari a 188.314 euro. Ma nel '62 quei soldi pesavano quasi quanto quattro milioni attuali. Forse, se la giustizia fosse stata più rapida, qualche creditore non sarebbe fallito, qualche dipendente non avrebbe passato dei periodi grami...

UNA «CATASTROFE» - Perché questo è il punto: la catastrofe ammessa ieri dal presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, a conferma della denuncia di giovedì del presidente della Corte Europea per i diritti umani, Jean-Paul Costa, durissimo nel ricordare che l'Italia è la maglia nera della giustizia europea («4.200 cause pendenti contro le 2.500 della Germania e le 1.289 della Gran Bretagna, quasi tutte per la lunghezza dei processi»), non tocca solo la dignità delle persone. Incide pesantemente sull'economia. Basti citare il libro «Fine pena mai» di Luigi Ferrarella: «Confartigianato, elaborando dati 2005 di Istat e Infocamere, ha proposto una stima di quanto la lentezza delle procedure fallimentari, in media 8 anni e 8 mesi, possa costare ogni anno alle imprese artigiane: un miliardo e 160 milioni di euro per il costo del ritardo nella riscossione dei propri crediti, e un miliardo e 170 milioni di euro di maggiori oneri finanziari per le imprese costrette a prendere in prestito le risorse». Totale: oltre 2 miliardi e 300 milioni di euro. Cioè 384mila di «buco giudiziario» per ogni impresa. Un sacco di soldi. Che in anni di vacche grasse possono azzoppare una piccola azienda. Ma in anni di vacche magre o magrissime, come questo, l'ammazzano.

SPIRALE PERVERSA - Di più: il sistema si è avvitato in una spirale così perversa che la «legge Pinto» per il giusto processo ha partorito altri 40 mila processi intentati dai cittadini esasperati dalla lentezza dei processi precedenti e cominciano già ad ammucchiarsi i processi che chiedono un risarcimento per la lentezza dei processi avviati per avere un risarcimento dei danni subiti da processi troppo lenti. Un incubo. Due anni fa la battuta dell'allora presidente della Cassazione Gaetano Nicastro («Se lo Stato dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi, non basterebbero tre leggi Finanziarie») pareva uno sfogo esagerato. Ieri è arrivata la conferma: avanti così e ci arriveremo. Dall'introduzione della legge Pinto fino al 2006 lo Stato aveva dovuto tirar fuori 41,5 milioni di risarcimenti ma «in due anni sono 81,3 i milioni già sborsati, più almeno altri 36,6 milioni dovuti ma non ancora pagati, per un totale di circa 118 milioni».

PATROCINIO GRATUITO AI MAFIOSI -
Una emorragia devastante. Al quale si aggiunge un'altra ferita che butta sangue: il gratuito patrocinio concesso a decine di migliaia di persone. Ottantaquattromila sono stati, nel solo 2008, gli imputati che hanno ottenuto l'avvocato difensore pagato dallo Stato. Per un totale di 85 milioni di euro. Spesso buttati in un eccesso di garantismo peloso. Con l'assegnazione automatica di un difensore d'ufficio non solo a tutti gli stranieri «irreperibili» (che magari danno un nome falso e verranno processati inutilmente fino in Cassazione) ma addirittura a mafiosi che dichiarano un reddito inesistente (come Leoluca Bagarella e Antonino Marchese che, imputati dell'omicidio di un vicebrigadiere, chiesero la ricusazione della Corte d'Appello perché aveva loro revocato l'avvocato gratis) e perfino a latitanti. Ma in questo quadro, più nero di un quadro nero del Goya, sono davvero centrali la battaglia sulle intercettazioni o la separazione delle carriere? Giustiniano, di cui il Cavaliere disse di avere in camera un ritratto, forse si muoverebbe in modo diverso.

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31 gennaio 2009
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