Minacciati dalla criminalità organizzata
"Di Matteo deve morire", "Lirio Abbate deve stare attento". Dalle minacce urlate da Totò Riina alle soffiate di un anonimo
Dal carcere milanese di Opera il boss corleonese Totò Riina si sarebbe lasciato andare a uno sfogo con un detenuto, gridando ad alta voce - dopo aver seguito in video l'ultima udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, che si svolge a Palermo - "Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire".
Le parole di Riina sarebbero state ascoltate da un agente della polizia penitenziaria. "Quelli lì devono morire, fosse l'ultima cosa che faccio", avrebbe aggiunto il boss, minacciando così tutti i rappresentanti dell'accusa al processo: oltre a Di Matteo, l'aggiunto Vittorio Teresi e i pm Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Le minacce del boss non hanno lasciato indifferenti le autorità giudiziarie. Lunedì 11 novembre si è riunito d’urgenza il Comitato per l’ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto palermitano Francesca Cannizzo. Nella seduta, è stata valutata anche l’ipotesi di trasferire il pubblico ministero in una località segreta, ma si è preferito chiedere un rafforzamento della scorta al ministero dell’Interno: è possibile che agli uomini responsabili della sicurezza del pm sia fornito un dispositivo anti-bomba (dispositivo Jammer in grado di bloccare i segnali radio dei telecomandi in un raggio di duecento metri, ndr).
Riina avrebbe parlato anche di "uno che era a Caltanissetta e adesso è a Palermo, uno che si dà un gran da fare". Probabilmente si riferiva all'attuale procuratore di Palermo Roberto Scarpinato. A Caltanissetta, il pm si è occupato della revisione del processo per la strage di via D’Amelio, puntando il dito contro gli uomini più vicini al "capo dei capi".
Secondo il giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni, il boss di Cosa Nostra si è sentito tradito per essere stato "consegnato" allo Stato nell’ambito della trattativa. In particolare, sarebbe stata la testimonianza al processo del pentito Francesco Onorato, un tempo suo fedelissimo, a spiegare che il "capo dei capi" è stato ingannato da chi lo incoraggiò a uccidere Falcone e Borsellino. E ora, ha capito che "sarà soltanto lui a pagare per Capaci e via D’Amelio".
Minacciato dalla criminalità organizzata, di nuovo e ancora Lirio Abbate, giornalista dell'Espresso già da anni sotto scorta per le minacce della mafia. Abbate sarebbe oggetto di minacce da parte di esponenti della criminalità che opera nella Capitale vicini alla Camorra e al clan dei Casalesi. Secondo le dichiarazioni di un anonimo e le indagini in corso da parte della Squadra mobile di Roma: "Lirio Abbate deve stare attento a Riccardino l'albanese, uno dal quale dipende gente che spara". "La segnalazione risale all'estate scorsa - scrive Il Fatto Quotidiano - ma emerge solo ora perché Riccardino, all'anagrafe Arben Zogu, 40 anni, il 29 ottobre è stato arrestato insieme a Mario Iovine e ad altre 12 persone legate al clan dei Casalesi". Arresti legati a un inchiesta condotta dalla Dda di Napoli con il Gico della Guardia di Finanza di Roma e relativa a un sodalizio tra criminalità campana e albanese per il controllo delle slot machine ad Acila e Ostia. Nate in questo ambiente, le minacce contro Abbate sono da collegarsi all'inchiesta giornalistica da lui firmata e pubblicata su L'Espresso nel dicembre 2012 dal titolo "I quattro re di Roma", con "una mappa aggiornata - ricorda Il Fatto Quotidiano - con nomi, cognomi e sfere di influenza sul crimine romano, puntando il faro su personaggi pesanti ma a piede libero".