Missili e depistaggi
La Cassazione conferma la tesi del missile e la "significativa attività di depistaggio" attorno alla strage di Ustica
La "significativa attività di depistaggio" attorno alla strage di Ustica, avvenuta la notte del 27 giugno 1980, quando precipitò il Dc 9 dell'Itavia, può avere contribuito concretamente a determinare il fallimento dell'Itavia stessa.
La Cassazione, a distanza di quasi 33 anni dal "noto disastro", sembra dare giustizia 'post mortem' ad Aldo Davanzali, morto nel 2005, dopo avere combattuto a lungo con il morbo di Parkinson e accusato per la morte degli ottantuno passeggeri senza mai essere processato.
Ora la Terza sezione civile, sentenza 23933, ha accolto il ricorso degli eredi di Davanzali, disponendo un nuovo esame della vicenda davanti alla corte d'appello di Roma.
In particolare, piazza Cavour, bacchettando il giudice di merito, sottolinea che bisognerà verificare se la "situazione di irrecuperabile dissesto effettivamente preesistesse al disastro aereo o se in quale misura fosse determinata o aggravata in modo decisivo proprio dalla riconosciuta attività di depistaggio e di conseguente discredito comerciale dell'impresa" di cui Davanzali era presidente e amministratore.
Davanzali venne accusato per la morte degli 81 passeggeri. Per molti mesi l'ipotesi principale fu di "cedimento strutturale". Davanzali, si disse, faceva viaggiare su "bare volanti". Ora la Cassazione ha accolto il ricorso, spiegando che è stato ampiamente accertato che sulla strage di Ustica c'è stata una "significativa" attività di depistaggio che può avere influito sul fallimento dell'Itavia.
Per la Cassazione, inoltre, sul disastro di Ustica è stata "abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile, sparato da aereo ignoto", quando la Terza Sezione Civile si è pronunciata sui risarcimento ai familiari delle vittime il 5 maggio 2009. Piazza Cavour sottolinea che la tesi del missile "risulta ormai consacrata pure nella giurisprudenza".
Sia in primo che in secondo grado (Corte appello Roma, ottobre 2010), Aldo Davanzali si era visto negare il risarcimento danni, patito dopo il fallimento richiesto a Palazzo Chigi e ai ministeri della Difesa, delle Infrastrutture e Trasporti sulla base del fatto che era da escludersi una connessione tra il "depistaggio", avvenuto intorno alla strage di Ustica e il dissesto dell'Itavia che era da ritenersi "pregresso date le gravissime difficoltà economiche". Gli eredi di Davanzali si sono battuti con successo in Cassazione, insistendo "nella prospettazione del depistaggio - mediante omertà e menzogna - sulla tesi del cedimento strutturale del velivolo".
Nell'accogliere il ricorso, la Cassazione ricorda che "il giudice di primo grado ha ritenuto dimostrata una intenzionale attività di inquinamento probatorio, ripetuta, duratura nel tempo, svolta a livelli decisionali e operativi, posta in essere da militari dell'Aeronautica militare, sia presso le strutture di base, sia presso il vertice dell'Amministrazione".
La Cassazione sottolinea come sia "defintivamente accertato" che attorno alla vicenda di Ustica vi sia stata un'operazione di "depistaggio". Dunque, "se depistaggio deve qui aversi per definitivamente accertato esservi stato, risulta oltretutto perfino irrilevante ricercare la causa effettiva del disastro, nonostante la tesi del missile sparato da aereo ignoto, la cui presenza sulla rotta del velivolo Itavia non era stata impedita dai Ministeri di difesa e trasporti, risulti ormai consacrata pure nella giurisprudenza della Corte".
Alla luce di questi punti fermi, la Cassazione bolla come "del tutto incongruo e contrario a criteri di logicità attribuire - come fa la corte territoriale - alla sola revoca di concessione e convenzione, intervenuta circa sei mesi dopo il disastro di Ustica e la significativa attività del depistaggio, di per sé sola in astratto atta ad avvalorare la tesi del cedimento strutturale del velivolo e così dell'inaffidabilità tecnica e commerciale della compagnia aerea, il riconoscimento di una situazione di dissesto preesistente al medesimo disastro e da esso del tutto indipendente, che si vorrebbe conclamata dagli stessi provvedimenti di revoca".
La Cassazione dice chiaramente che il fallimento dell'Itavia può essere stato "aggravato in modo decisivo proprio dalla riconosciuta attività di depistaggio e di conseguente discredito commerciale dell'impresa. Il tutto - evidenzia la Cassazione con una notazione di attualità - in un mercato assai peculiare, come quello del trasporto aereo nazionale, da poco - per fatto notorio - avviato timidamente verso la liberalizzazione e la progressiva apertura all'iniziativa economica dei privati".
A questo punto, dice la Cassazione, la Corte d'appello di Roma, riaffrontando il caso Ustica, dovrà rinnovare "la valutazione dell'incidenza di quell'attività di depistaggio e discredito" che si è svolta attorno alla strage del 27 giugno 1980 e dovrà applicare "il criterio del 'più probabile che non', in ordine alla determinazione delle cause del definitivo dissesto della compagnia, regolandosi poi di conseguenza in ordine alle domande del Davanzali ed ora delle eredi".
La Cassazione riporta in ballo eventuali responsabilità ministeriali e dice chiaramente che "il giudice di rinvio dovrà verificare se le condotte del depistaggio ritenute già provate dal giudice di primo grado con conferma di quelli d'appello, risultino, anche in parte, ascrivibili al Ministero dei Trasporti e, in caso di risposta positiva, con quale efficienza causale in ordine all'evento dannoso". La Suprema Corte dice inoltre che "la ritenuta sussistenza dell'attività di depistaggio avrebbe dovuto rilevare anche nell'ipotesi di esclusione del nesso causale con la progressiva dissoluzione di Itavia, siccome autonomamente in grado di produrre danni anche non patrimoniali per il carattere intrisencamente lesivo della reputazione commerciale e delle capacità imprenditoriali della compagnia aerea, di cui Davanzali era socio, amministratore, presidente".
Lo scorso gennaio la Cassazione ha sancito il diritto al risarcimento dei familiari di quattro vittime della strage di Ustica, che nel '90 si erano rivolti al giudice civile. Nel procedimento davanti ai giudici romani lo Stato si era difeso sostenendo la tesi della prescrizione (giudicata "infondata" dalla Suprema Corte) e poi della non imputabilità perché, in assenza di prove certe su quanto era accaduto nei cieli di Ustica la sera del 27 giugno 1980, non si poteva parlare di "omissione di condotte doverose". La Cassazione aveva replicato che "è pacifico l'obbligo delle amministrazioni ricorrenti di assicurare la sicurezza dei voli", e che "è abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile" accolta dalla Corte d'appello di Palermo nel primo verdetto sui risarcimenti del 14 giugno 2010.
La citazione per i risarcimenti parte nel 1990 da due familiari delle vittime, Gaetano La Rocca e Marco Volanti, difesi dall'avvocato di Palermo Vincenzo Fallica e dal suo collega di Bologna Giorgio Masini. In seguito i parenti di Elvira De Lisi e Salvatore D'Alfonso si aggiungono ai primi due. Secondo i legali, non c'era alcun dubbio processuale che il Dc 9 fosse caduto per un'esplosione ("non importa - scriveva Fallica - se l'ordigno era dentro l'aereo o se la caduta sia stata provocata da un missile"). Nel primo caso "c'è responsabilità degli organi preposti dallo Stato per il controllo della sicurezza dei voli. Seguendo l'ipotesi che l'ordigno sia esploso dall'esterno non appare dubbio che essa debba considerarsi connessa all'esercizio dell'attività militare svolta dalle Forze armate in ordine a eventuali esercitazioni o di controllo di attività militari straniere".
Nel maggio 2007 lo Stato viene condannato a risarcire 980 mila euro a favore dei parenti delle 4 vittime. Nel giugno 2010, in appello, la cifra sale a 1,24 milioni. Il 28 gennaio scorso la Cassazione respinge il ricorso dell'avvocatura dello Stato. La Suprema corte, inoltre, rimanda alla corte d'appello la decisione su una nuova quantificazione del danno, chiesta dai legali di De Lisi e Volati, che ritengono non sufficiente il risarcimento.
Dopo la prima sentenza civile del 2007 anche altri familiari di vittime hanno citato i ministeri della Difesa e dei Trasporti e la presidenza del Consiglio e nel settembre 2011 il tribunale civile di Palermo ha ancora condannato lo Stato a risarcire 81 parenti di una quarantina di vittime con oltre 100 milioni di euro. L'avvocatura dello Stato ha ottenuto la sospensiva dei pagamenti e l'appello per questo processo è fissato per il 21 maggio 2014.
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA]