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Mori, Obinu, Brusca, Ciancimino, Dell'Utri e Berlusconi

Il pentito Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino chiamati nuovamente a testimoniare nel processo Mori

16 marzo 2011

Il pubblico ministero Nino Di Matteo ha chiesto di sentire nuovamente Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino nel processo ai carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu, per favoreggiamento aggravato dall'avere agevolato la mafia, che si svolge davanti alla quarta sezione del Tribunale di Palermo. Il pm ha chiesto inoltre l'audizione del pentito Angelo Siino.
"Chiediamo di risentire Massimo Ciancimino - ha detto Di Matteo, che ha depositato 1.800 pagine di verbali e documenti - su circostanze emerse solo ultimamente e cioè sulla genesi della nomina dell'avvocato Nicolò Amato come legale di Vito Ciancimino, che sarebbe stato frutto di un suggerimento dei carabinieri che in quel periodo incontravano l'ex sindaco di Palermo".
Il figlio dell'ex sindaco palermitano dovrebbe inoltre riferire sul contenuto di alcuni dattiloscritti di Vito Ciancimino, con annotazioni a mano, nel periodo dei contatti con Mori e De Donno, che conterrebbero "riferimenti espliciti sulle rassicurazioni offerte anche da Mori sull'esito della 'trattativa' tra mafia e Stato nel periodo delle stragi".



Angelo Siino (foto a sinistra) ha invece parlato con i pm dei colloqui investigativi tra il 1993 e il 1994 con Mori e il colonnello dei carabinieri Giuseppe De Donno sulle ricerche dei latitanti Giovanni Brusca e Bernardo Provenzano. "Siino dice - ha spiegato Di Matteo - che le indicazioni su Provenzano non interessavano più ai carabinieri e che ci si doveva concentrare su Brusca. Il pentito ha anche parlato del ruolo di Massimo Ciancimino come 'postino' delle comunicazioni tra Provenzano e Ciancimino con l'intermediazione di Pino Lipari o della sua famiglia".
Il pm infine ha chiesto un nuovo esame di Giovanni Brusca sul "terminale politico" delle richieste allo Stato sintetizzate nel papello. "Nel precedente esame Brusca aveva detto di non saperne il nome – ha puntualizzato il pm -. Solo adesso ha chiesto di essere risentito dicendo che Riina gli avrebbe fatto il nome di questo soggetto: il senatore Nicola Mancino". Brusca, che ha chiesto negli scorsi mesi di essere risentito dai pm sulla trattativa, ha parlato anche di quanto avrebbe appreso da Salvatore Riina dopo l'omicidio di Salvo Lima sul ruolo assunto da Vito Ciancimino e Marcello Dell'Utri come "nuovi referenti politici dei mafiosi".
"Brusca ha parlato inoltre di uno sviluppo ulteriore della trattativa anche dopo l'arresto di Riina e sulle ulteriori comunicazioni e richieste che lui e Bagarella fecero pervenire a Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi attraverso Vittorio Mangano – ha concluso il pm -. Sempre da Dell'Utri e Berlusconi e sempre attraverso Vittorio Mangano, Brusca e Bagarella avrebbero avuto alcune rassicurazioni sulla prosecuzione della trattativa".

Nel faldone di 1.800 pagine di cui il pm Nino Di Matteo ha chiesto l'acquisizione, nel processo ai carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu, c'é anche un nuovo verbale dell'ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli, in cui ribadisce di aver detto a Mancino quanto aveva appreso da Liliana Ferraro sui contatti tra Vito Ciancimino e il Ros dopo la morte di Giovanni Falcone. Tra i documenti anche una nota del 6 marzo 1993 firmata dall' allora dirigente del Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria) Nicolò Amato e indirizzata al capo del gabinetto del ministero della Giustizia in cui si fa riferimento all'opportunità di abrogare il 41 bis, a cui sarebbe stato favorevole l'allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi. Nel faldone anche altre note del Dap sulla corrispondenza tra Amato e Conso nel febbraio del 1993 concernenti l'avvenuta revoca del 41 bis primo comma ai detenuti del carcere di Poggioreale e Secondigliano e l'elenco dei detenuti a cui è stato revocato o non rinnovato il 41 bis tra il 1993 e il 1996.
Potrebbero entrare nel processo anche le testimonianze di alcuni dirigenti del Dap sul 'dimissionamento', come lui stesso l'ha chiamato, di Nicolò Amato, che nel 1993 al vertice del Dap. Infine il pm ha chiesto l'acquisizione dei verbali resi da Carlo Azeglio Ciampi, che nel 1993 era presidente del Consiglio, da Oscar Luigi Scalfaro, allora presidente della Repubblica, e da Giovanni Conso, ex ministro della Giustizia.
La difesa di Mori, rappresentata dall'avvocato Basilio Milio, ha chiesto un termine per pronunciarsi sull'acquisizione dei documenti e sulle nuove audizioni. L'udienza è stata rinviata al 22 marzo, quando il Tribunale deciderà sulle richieste del pm.

E Brusca torna a parlare di Berlusconi - Giovanni Brusca, l'attentatore di Capaci passato tra i ranghi dei collaboratori di giustizia eccellenti, è tornato davanti ai magistrati della Procura di Palermo, che con le sue parole hanno riempito pagine di verbali anche su presunti investimenti che la mafia avrebbe fatto, negli anni '70, nelle attività imprenditoriali di Silvio Berlusconi e tentativi di avvicinamento del premier, da parte di Cosa nostra, nel 1993, alla vigilia della sua discesa in politica.
Le dichiarazioni del pentito - alcune nuove e inedite, molte altre già rese ai pm e in processi come quello al senatore del Pdl Marcello Dell'Utri - sono state pubblicate dal settimanale L'Espresso.
Dopo anni di silenzio, dunque, l'ex boss di San Giuseppe Jato che avrebbe continuato a gestire, all'insaputa degli inquirenti, un vero e proprio tesoro, sarebbe tornato a fare il nome di Berlusconi e Dell'Utri approfondendo verità già dette e svelando nuovi particolari. Una mossa, quella del boia di Capaci, che potrebbe però rivelarsi un boomerang. Il pentito, infatti, alle prese con nuovi guai giudiziari proprio per le ricchezze illecite accumulate, starebbe tentando di riaccreditarsi per evitare la revoca del programma di protezione, ma, svelando cose mai dette, rischierebbe grosso, visto che la legge impone ai pentiti un termine entro il quale riferire quanto a loro conoscenza. Oltre ai presunti investimenti della mafia nelle attività economiche di Berlusconi, Brusca avrebbe raccontato che l'allora imprenditore dava al clan Bontate 600 milioni l'anno: versamenti cessati dopo l'assassinio del boss e ripresi quando il capomafia Ignazio Pullarà piazzò dell'esplosivo davanti alla casa milanese del premier di via Rovani.
Brusca avrebbe poi ricordato i tentativi di agganciare Berlusconi tramite lo stalliere di Arcore Vittorio Mangano - argomento di cui il collaboratore ha già parlato -, facendo intendere, sostiene L'Espresso, però, che l'ambasciata avrebbe avuto buon esito. Il pentito ha raccontato anche che il boss Raffaele Ganci aveva rassicurato Totò Riina che Dell'Utri "era a disposizione". Già note, invece, le dichiarazioni del collaboratore sull'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e sul suo ruolo nella cosiddetta trattativa. Circostanza sempre smentita dall'ex politico democristiano.

Giovanni Brusca, nell'interrogatorio reso il 29 settembre del 2010 davanti al procuratore capo di Palermo Francesco Messineo e il pm Lia Sava, ha detto tra l'86 e l'87 Cosa nostra avrebbe preparato un attentato al cancello della villa del premier Silvio Berlusconi "per indurlo a tornare a pagare". "Nell'86 o '87, ora non mi ricordo, il mandante era Ignazio Pullarà e gli esecutori erano Peppuccio Contorno della famiglia di Santa Maria di Gesù e un certo Francesco o Salvatore Zanca, questo è scomparso per lupara bianca - dice ancora Brusca nel verbale depositato ieri al processo Mori a Palermo - Costoro sono stati quelli che hanno fatto l'attentato al... nel cancello della villa di Berlusconi per indurlo a tornare a pagare la cosiddetta messa a posto, che dopo la morte di Stefano Bontade l'aveva sospeso, e credo che si trattava di 600 milioni l'anno, ora non mi ricordo, comunque Ignazio Pullarà mi ha detto la cifra". E prosegue: "Avevano sistemato tutto attraverso Cinà, quello morto. Dopodiché a causa di questo fatto che Ignazio Pullarà aveva preso di iniziativa sua senza dire niente a Riina, più altre cose che io purtroppo non ho avuto il tempo di approfondire".
Il pentito sostiene che il boss "Ignazio Pullarà diciamo fu estromesso dal suo ruolo di reggente, che poi fu il ruolo che prese Pietro Aglieri. So che la gestione di questi soldi poi passò in mano a Salvatore Riina, che io non ho mai visto, so che arrivavano questi soldi, li gestiva, in particolar modo li dava alla famiglia di Resuttana dove era impiantato l'antenna e poi pensava per tutti gli altri, cioè necessità di processi, carcerati. So che li divideva in questa maniera, li faceva arrivare alle famiglie".
Notizie che Brusca aveva fino ad oggi volutamente taciuto. "Chiedo scusa, perché ho taciuto... taciuto inizialmente... purtroppo dal dire al fare, collaborare non è... inizialmente inquadravo le situazioni...".
Parlando ancora del ruolo che avrebbe svolto Vito Ciancimino, Brusca ha spiegato: "Ciancimino se la sbrigava direttamente lui, era sempre di potere ottenere benefici di legge, processi, qualche cosa... avere un contatto a livello nazionale, più che altro andare a riprendere il posto... di andare a riprendere il posto dell'onorveole Andreotti che ha completamente... ha cambiato idea nel... nell'82... nell'82! Nel '92.. lui ha cambiato idea prima che cominciò la collaborazione di Stefano... di Tommaso Buscetta e da quando Tommaso Buscetta cominciò a collaborare, Andreotti ha chiuso ogni... ogni porta e quindi ci veniva difficile poter ottenere quel risultato positivo, perché i Salvo a livello locale qualche cortesia riuscivano a farla, a livello nazionale... a livello nazionale non sono stati piu' in condizione di poterci favorire".

Massimo Ciancimino: "I pizzini di mio padre a Berlusconi e Dell'Utri" - In un "pizzino" inviato mentre era agli arresti domiciliari Vito Ciancimino avrebbe chiesto un "aiuto" a Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. L'ex sindaco di Palermo condannato per mafia credeva che i destinatari dei messaggi potessero contribuire a risolvere i suoi problemi giudiziari. E' uno dei documenti che Massimo Ciancimino ha consegnato nei giorni scorsi ai pm della procura di Palermo Nino Di Matteo e Lia Sava.
In passato il figlio di Ciancimino aveva parlato di presunti rapporti tra il padre e Berlusconi sin dai tempi in cui il presidente del Consiglio progettava Milano 2. Nella nuova "rata" di carte consegnate ai magistrati Massimo Ciancimino ha portato alcuni "pizzini": non è chiaro se si tratti di copie o di originali. E non è neppure certo che i messaggi siano arrivati a destinazione.
Il capitolo dei presunti rapporti di don Vito con Berlusconi ruota attorno alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino che dai faldoni di famiglia, in cui sono raccolti documenti e manoscritti del padre, ogni tanto recupera nuove carte. Anche la moglie di don Vito, Epifania Scardina, ha parlato recentemente di un incontro del marito con Berlusconi in un ristorante milanese. L'interesse dell'ex sindaco era quello di orientare i suoi investimenti sulla piazza milanese e per questo avrebbe avviato una rete di relazioni con gli ambienti imprenditoriali.
Nell'incontro con i magistrati, durato oltre tre ore, Massimo Ciancimino ha depositato anche "pizzini" del padre diretti al boss Bernardo Provenzano che di solito faceva recapitare attraverso un mediatore. Altri documenti riguardano gli affari più recenti di Ciancimino. Per mandare avanti le sue iniziative avrebbe stabilito rapporti interessati con vari politici. A qualcuno, secondo il figlio Massimo, il padre avrebbe versato anche tangenti.
I magistrati hanno secretato il verbale del nuovo interrogatorio e la descrizione del contenuto delle nuove carte che sarebbero state portate da Massimo Ciancimino in Procura come riscontro a precedenti dichiarazioni. Il figlio dell'ex sindaco, solitamente molto loquace e disponibile con i cronisti, questa volta, dopo l'interrogatorio con i pm, ha preferito non rilasciare dichiarazioni.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, LiveSicilia.it, Corriere del Mezzogiorno.it]

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16 marzo 2011
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