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Morti come le mosche

Ancora un'altra strage sul lavoro: cinque operai uccisi dalle letali esalazioni di un'autocisterna

04 marzo 2008

Sono morti come quelle mosche atratte dalle piante carnivore: sul ciglio dell'enorme bocca della pianta, dai colori e dai profumi invitanti, scivolano giù all'improvviso, e una volta dentro l'antro annaspano un po' prima di morire avvelenate... Oppure come quelle mosche che rimangono intrappolate nella tela del ragno: volano e non vedono quelle funi trasperenti, fino a che non ci vanno a finire contro. Si dimenano disperate fino all'arrivo del ragno che le avvelena e le ingerisce.
Cinque uomini ieri sono morti come quelle mosche...
Un tragico incidente sul lavoro in un'autocisterna nella zona industriale di Molfetta (BA). Quattro vittime sono decedute subito: Vincenzo Altomare, 63 anni, titolare della ditta di lavaggio di autocisterne “Truck Center”; Guglielmo Mangano, 43 anni; Luigi Farinola, 36 anni; Biagio Sciancalepore, 22 anni. Michele Tasca, 20 anni, è morto stamane all'alba a causa dell'aggravamento del quadro clinico. In nottata il bollettino medico parlava di "grave compromissione dello scambio respiratorio legato a stato di edema polmonare acuto" e le sue condizioni erano disperate.

Come le mosche, cinque uomini sono cascati dentro il ventre di una autocisterna, fulminati dalle esalazioni. Uno dietro l'altro, cercando di salvarsi, si sono invece spinti come folli tra le fauci di un vorace mostro. Morti, uno dietro l'altro.
Cosimo Ventrella, 57 anni, poteva essere la sesta vittima. E' sopravvissuto invece, e ha chiamato i soccorsi. Ma è stato inutile.
"Saranno state le 15 all'incirca". Ventrella è entrato nella cabina di guida del mezzo, mentre i suoi colleghi hanno cominciato a lavare il resto della vettura. "A un certo punto non ho sentito e visto più nessuno intorno. E' stato un attimo, mi è bastato per capire tutto".
"Non avevano le mascherine" hanno raccontato i soccorritori. No, non ne avevano, ha confermato Cosimo.
"Mi sono arrampicato sulla cisterna e li ho visti là infondo. Sentivo qualche voce, speravo di salvarli". Però Cosimo non si è calato nell'antro dell'autocisterna, "perché ho capito che quella sarebbe stata la mia tomba. Ho messo la testa, mi sono legato, poi ho buttato quella fune per cercare di tirarli su". A quel punto è arrivato il titolare dell'azienda, "gli ho detto di non calarsi, avevo capito il pericolo, ma non mi ha voluto sentire". Si è buttato, Vincenzo Altomare. Ed è morto. "Io non ho moglie, non ho figli, solo un fratello e una sorella. E poi i miei amici, i miei colleghi erano tutto quello che avevo. Niente di più. Loro, soltanto loro: mi sono morti sotto gli occhi, li ho visti là in fondo e non ho potuto fare niente".

Secondo la ricostruzione dei vigili del fuoco, gli operai stavano lavorando alla manutenzione di un'autocisterna adibita al trasporto di zolfo in polvere. In particolare, dovevano procedere al lavaggio della cisterna. Quando il primo operaio, Guglielmo Mangano, ha accusato un malore all'interno del serbatoio, per soccorrerlo è intervenuto il titolare della ditta, Vincenzo Altomare. A causa delle esalazioni, però, Altomare non è riuscito ad aiutare il suo collega e a questo punto sono intervenuti l'autista di un camion di un'altra ditta che opera nella zona industriale e altri due operai. La strage si è compiuta in pochi minuti.
Franco Sarto
, vicepresidente dell'Anmelp (Associazione nazionale dei medici del lavoro pubblici), ha spiegato che "quegli operai avrebbero dovuto essere protetti da scafandri. Nelle autocisterne è difficile entrare con le bombole - ha aggiunto - per questo ci sono gli autorespiratori, collegati all'esterno con dei tubi".
La dinamica dell'incidente, però, va chiarita. Come spiega infatti il professor Giancarlo Umani Ronchi, ordinario di Medicina Legale all'Università "La Sapienza" di Roma, negli ultimi decenni episodi del genere hanno pochissimi precedenti (tanto che la casistica degli esperti, più che sugli incidenti sul lavoro di età industriale, si fonda ancora sulle vecchie solfatare). "Sinceramente - ha confessato - in tanti anni è la prima volta che sento un episodio del genere, sono casi rarissimi". Rari, ma fatali: "Quando si formano vapori di zolfo di anidride solforosa o idrogeno solforato - ha provato a spiegare l'esperto - il sangue non si ossigena più, viene bloccata l'emoglobina, e si muore per asfissia. Non respiratoria, ma sanguigna". E la morte è rapida: "Non c'è molto tempo, quasi subito interviene la perdita di conoscenza, che probabilmente è quello che è capitato agli operai scesi nella cisterna per tentare di soccorrere la prima vittima, e si muore. C'è poco da fare, ci vorrebbe (ma solo se sono passati pochi istanti di esposizione) un'immediata rianimazione e un soccorso con ossigeno, ma anche in questo caso le speranze sono pochissime, lo zolfo è un elemento che una volta respirato non perdona".

Già, lo zolfo non perdona, e più in generale sembra che sia il lavoro a non perdonare. Giorno dopo giorno aumentano le croci nel cimitero delle morti bianche.
Ieri, davanti al cancello della “Truck Center”, i parenti delle vittime erano mischiati ai tanti carabinieri, ai politici, ai vigili del fuoco. Tra loro una donna incinta piangeva tra le altre donne che il lavoro ha reso vedove: la moglie di uno degli operai morti intossicati. Darà alla luce una bambina tra qualche settimana ma la bambina non vedrà mai il suo papà.
L'azienda è stata sequestrata, l'autocisterna e il capannone dove era posteggiata sigillato da un nastro rosso e bianco. Con molta probabilità il magistrato non ordinerà l'autopsia delle vittime perchè è "palese la causa di morte". Adesso tutto è nelle mani dei carabinieri del Nucleo ispettorato del Lavoro che stanno studiando a fondo normative e decreti sui lavaggi delle cisterne, per capire se ci siano state violazioni delle procedure obbligatorie di sicurezza.

[Infomazioni tratte da: Corriere.it e Repubblica.it]

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04 marzo 2008
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