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Morti nostri. In memoria di Pier Paolo Pasolini e di Giorgio e Tony, uccisi per la loro diversità

02 novembre 2005

Uccidendo Pasolini hanno soprattutto ucciso un poeta, e in un Secolo di poeti ne nascono pochissimi, uno, al massimo due...

La notte tra il primo ed il 2 novembre del 1975, all'Idroscalo di Ostia venne ucciso Pier Paolo Pasolini, 53 anni, scrittore, poeta, regista, intellettuale, personalità unica e certamente irripetibile della cultura italiana. Il 2 novembre, giorno dei morti, in uno squallido sterrato non lontano dal mare, adiacente a una baraccopoli estiva dove il proletariato romano trascorre le sue povere vacanze, fingendo di essere in villa, viene trovato il suo cadavere martoriato. Del suo assassinio viene accusato un 17enne borgataro, Giuseppe Pelosi, detto ''Pino la rana'' (per i suoi occhi sporgenti).
Sembra un nemesi ineluttabile: Pasolini è stato ammazzato brutalmente da uno di quei ragazzi di vita che tanto aveva amato, di cui tanto aveva scritto, per la cui omologazione sociale e culturale tanto si era rattristato.

Un delitto tra ''froci'', lasciano intendere le cronache. Pasolini, che non aveva mai fatto mistero della sua omosessualità - pur rifuggendo con cura gli orpelli dannunziani o estetizzanti di cui la moderna cultura gay ama adornarsi - era stato ucciso da un giovane sbandato in cerca di denaro, che lo scrittore aveva ''rimorchiato'' nei torbidi dintorni della stazione Termini a Roma, con il quale si era appartato in cerca di sesso mercenario. Alla base della tragedia, una lite finita in dramma per prestazioni sessuali che Pasolini esigeva e "Pino la rana" non voleva concedergli.
Così alla fine arriverà a stabilire la sentenza della Corte di Cassazione, tre anni e mezzo dopo i fatti. Tutto chiaro, allora. Pasolini è rimasto vittima dei suoi vizi e della sue turpi manie.

Ma è davvero tutto così spaventosamente lineare? Nei mesi immediatamente successivi alla sua morte, una campagna stampa del settimanale ''L'Europeo'' - un altro fiore all'occhiello della cultura italiana - in cui fu parte attiva  la giornalista Oriana  Fallaci,  cerca di dimostrare che Pasolini è stato ucciso non solo dal minorenne Pelosi, ma che assieme a lui quella sera c'erano altre persone: altri borgatari, forse legati a quel mondo della malavita dalla coloritura neofascista che odiava Pasolini per la sua diversità, per la sua capacità di essere controcorrente, per le sue posizioni di sinistra, appunto per la sua non omologazione.
Una banda pronta a punire ''il frocio'' Pasolini, un banda che - sostengono alcune testimonianza - già lo aveva minacciato. C'è anche chi si spinge fino ad ipotizzare che quello di Pasolini sia un delitto su commissione, un delitto di Stato: l'intellettuale, caustico nemico del potere, assassinato da scherani del potere stesso. Non si trattava, però, di fantasie giornalistiche. Senza avventurarsi fino a simili conclusioni, il tribunale dei minori (presieduto dal prof. Alfredo Carlo Moro, fratello di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate rosse che in prima istanza, nel giugno del '76, condanna Pelosi a 9 anni e sette mesi di reclusione per ''omicidio volontario in concorso con ignoti'',  stabilisce che quella   notte Pino la rana ''non era solo e non agì da solo''. Una sentenza che sarà poi ribaltata in appello nel dicembre dello stesso anno e poi in Cassazione, nell'aprile del '79. Sentenze che ridurranno di poco l'entità della condanna.

A trent'anni dalla sua morte, i dubbi su chi realmente assassinò Pier Paolo Pasolini sono tutti ancora intatti. Pasolini continua a vivere nelle opere che ci ha lasciato e nella coscienza di chi continua ad aborrire ''Il Potere'' in tutte le sue stratificazioni.
Quanto al suo assassino ufficiale, Giuseppe Pelosi, è tornato in libertà quest'anno e ha clamorosamente dichiarato di non essere stato lui ad assassinare Pasolini, ma un commando di tre uomini, con l'accento meridionale, che gli tesero un vero e proprio agguato.
Quando sarà fatta giustizia per questo nostro ineguagliabile poeta?

- Pier Paolo Pasolini: la voce, lo sguardo, le parole 

- Le ceneri di Gramsci

E insieme all'indelebile figura di Pasolini, vogliamo qui ricordare un fatto nostro, anzi un fattaccio nostro, siciliano, consumato lo stesso giorno di cinque anni più tardi.
Il 2 novembre del 1980 vennero trovati, nelle campagne di Giarre (CT), i cadaveri di due giovani omosessuali. Si trattava di una coppia di giovani amanti, che a quel tempo, a causa del forte pregiudizio omofobico, assai radicato al Sud, la gente non lasciava vivere in pace.
Alla notizia del ritrovamento dei due cadaveri la rabbia di migliaia di omosessuali siciliani esplose in rivolta, con manifestazioni di piazza  pilotate dal ''FUORI! NAZIONALE'' (movimento di liberazione sessuale ed omosessuale federato al Partito Radicale). Da quella rivolta dei gay siciliani, in seguito ai fatti di Giarre, nacque a Palermo la prima Arcigay Nazionale.
A tutt'oggi l'ombra del mistero rimane fitto sopra i reali accadimenti dietro a queste morti. Mai si è venuto a sapere se i due giovani furono uccisi o decisero di suicidarsi per liberarsi dall'impossibilità di vivere senza maschere la propria vita.
Nel venticinquennale di quegli avvenimenti storici (e tragici) per il movimento gay italiano, l'Amministrazione comunale di Bagheria e il poeta Piero Montana, nonché consulente del Sindaco di Bagheria per la realtà omosessuale, nel voler ricordare le vittime di Giarre, ma anche per continuare un impegno - che già a novembre del 2003 -, ha portato all'istituzione del registro delle unioni civili per un riconoscimento istituzionale delle coppie di fatto, ha deciso di pubblicare il componimento poetico ''La Caccia. Giarre, 1980''.
Scritto da Piero Montana, ''La caccia'' può essere considerato l'ideale proseguimento di ''Omocaust'' (Settembre 2004) dove Montana rendeva omaggio agli uomini del ''triangolo rosa'' (gli omosessuali perseguitati e uccisi dalla follia nazista), al poeta Alfredo Ormando (poeta gay nisseno che nel gennaio del '98 si diede fuoco a Roma a Piazza San Pietro), e a Pier Paolo Pasolini.
''...Ad un certo punto ho pensato che scrivere versi per degli omosessuali assassinati, potesse anche avere un significato recondito, potesse anche equivalere ad un atto, ad un gesto di pietà, al gesto di portare fiori sulle loro tombe spesso anonime ed illacrimate. Semplicemente ho scritto dei versi [...], perché non ho mai avuto modo di deporre sulle loro tombe delle rose rosse, che alla mia immaginazione richiamano il colore del sangue versato nel loro martirio, nel loro sacrificio. Si può dunque scoprire che la poesia molto spesso mette in scena un suo peculiare aspetto, quello volutamente liturgico e religiosamente mistico''.

- ''La Caccia. Giarre 1980'' di Piero Montana

 

 

 

 

 

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02 novembre 2005
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