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Morti senza tombe

Sospese le ricerche dei 68 dispersi in seguito ai due naufragi di sabato e domenica al largo di Lampedusa

22 agosto 2006

Dispersi, poi scomparsi del tutto. Il mare li ha definitivamente occultati all'esistenza. Forse più in la, magari nei prossimi giorni, brandelli di corpi umani rimarranno impigliati nelle reti dei pescatori, e allora si aggiungerà una cifra in più al numero delle vittime accertate.
Le ricerche dei 68 immigrati dispersi in seguito ai due naufragi di sabato e domenica al largo di Lampedusa (il primo avvenuto a 10 miglia dall'isola, con un bilancio di 10 morti, 70 persone salvate e 40 dispersi; il secondo a 70 miglia dalle coste siciliane, con 10 persone salvate, un cadavere recuperato e 28 dispersi), sono state sospese ieri sera, intorno alle 21.
Dal comando della Capitaneria di porto di Palermo hanno spiegato come ormai non ci siano più speranze di salvare le vite, speranza che - per dirla con la brutale realtà dei fatti - si è spenta dopo il primo giorno di ricerche, ma che è continuata. Un'attività di perlustrazione che ha coinvolto sette unità navali di Guardia costiera, Guardia di Finanza e Carabinieri, e altrettanti mezzi aerei, compreso un elicottero della Protezione civile.
Le ricerche proseguiranno - hanno detto alla Capitaneria di porto - nell'ambito della normale attività di perlustramento del Canale di Sicilia.

E sono dunque altri 68 morti, senza nome e senza tombe, che si vanno ad unire ai tanti altri cadaveri strappati all'esistenza, cancellati, come se mai fossero stati su questa terra.
Come le dieci vittime del naufragio avvenuto sabato scorso (tra le quali anche donne e minori), che non hanno ancora né nome, né una nazionalità. Quasi certamente non saranno mai identificati: due di loro sono già stati sepolti nel cimitero di Favara, otto in quello di Agrigento.
Un aspetto drammatico di una situazione tragica che ieri è stato sollevato dalla portavoce in Italia dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Laura Boldrini, e dagli stessi superstiti della tragedia, che hanno chiesto di potere vedere le foto delle vittime per contribuire all'eventuale identificazione di familiari o conoscenti.

Nei cimiteri dell'agrigentino che ospitano i clandestini morti nel Canale di Sicilia la scena si ripete uguale. Sopra le tombe ci sono lapidi senza nome che riportano solo una data segnata: quella della tragedia che li ha uccisi. La scelta dei luoghi di sepoltura viene presa dalla Prefettura competente, d'intesa con i comuni. La stessa sorte che è toccata a tanti altri immigrati morti in questi anni, chiusi in bare numerate poi tumulate lì dove c'è posto.
''È difficile dare una identità alle vittime di queste sciagure; i corpi raccolti in buono stato vengono fotografati e gli investigatori prendono anche le impronte digitali. Se il clandestino era già stato in Italia c'è qualche probabilità di dargli un nome altrimenti le possibilità sono remote'',  ha spiegato il procuratore di Agrigento Ignazio De Francisci. ''Le ambasciate dei Paesi d'origine - ha aggiunto il procuratore - non mostrano certo grande interesse per queste vittime e l'identificazione non avviene quasi mai''.
Cancellati dal mare ma non dall'affetto dei i familiari che spesso cercano notizie del loro congiunto e vorrebbero piangerne le spoglie. Proprio nei giorni scorsi una donna eritrea ha chiesto al comune di Favara, dov'è stato sepolto un clandestino trovato morto su un barcone dall'equipaggio di un peschereccio francese a poche miglia da Lampedusa lo scorso luglio, di avere il corpo del figlio che sarebbe proprio quel giovane.
Ma il problema del riconoscimento dell'identità e ancor prima della nazionalità è difficile da risolvere dagli organi inquirenti: ''Manca la collaborazione degli stati di provenienza di questa gente - ha confermato un investigatore - e spesso le famiglie delle vittime non hanno neanche i soldi per fare una telefonata in Italia e chiedere notizie''.

E non è certo facile la vita per chi è scampato alla morte. L'inumano sforzo sia fisico, sia economico, sarà stato vano, e dopo aver visto la fine dei propri giorni nel volto immenso del mare, verranno rimpatriati.
Prima però faranno parte di una nuova emergenza per il Centro di prima accoglienza di Lampedusa, dove in centinaia stanno ammassati aspettando di essere rispediti nei luoghi da dove sono fuggiti. Un emergenza allarmante e continua: il Cpa di Lampedusa, che ha una capienza di 190 posti, accoglie adesso poco meno di 400 persone.
L'altro ieri un centinaio di extracomunitari sono stati trasferiti in aereo nei Cpt di Reggio Calabria e Crotone. Per oggi dovrebbero essere predisposti altri due trasferimenti. ''La struttura, dopo i lavori di ristrutturazione dei mesi scorsi - ha spiegato Simona Moscarelli, rappresentante dell'Oim, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni - è molto migliorata. Innanzitutto è stata creata un'ala dedicata alle donne e ai bambini: ciò ha consentito una maggiore tutela di persone spesso più vulnerabili''. ''Si è anche riusciti a realizzare container con bagni e poi, finalmente si è eliminata la recinzione in filo spinato che dava al centro l'aria di un lager''.

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22 agosto 2006
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