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Naufragio, omicidio volontario plurimo e tratta di esseri umani...

Il "Comandante" del motopesca naufragato a Lampedusa è un tunisino di 35 anni: "Ero un passeggero"

09 ottobre 2013

Ieri la Procura di Agrigento ha disposto il fermo del presunto scafista del naufragio di Lampedusa. E' il tunisino Kaled Ben Salam, di 35 anni, indicato da alcuni testimoni come il "Comandante". E' indagato anche per naufragio e omicidio volontario plurimo.
Il provvedimento, che ipotizza anche il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, è stato eseguito dalla squadra mobile della Questura di Agrigento su disposizione della Procura.
Lui si è difeso così: "Ero un passeggero, ho pagato mille euro per imbarcarmi". Ha confermato di essere stato nell'isola delle Pelagie l'11 aprile di quest'anno. In quel caso, ha confessato ora, da scafista assieme a tre marocchini. Ma fu obbligato, ha spiegato ai pm, dall'allora suo datore di lavoro che minacciandolo con una pistola gli impose di fare "un trasporto di clandestini verso l'Italia". Arrivò, ma non fu indagato e fu espulso. Per quanto riguarda l'ultima traversata, quella per cui è indagato, ha detto che era organizzata da libici che non conosceva e di avere viaggiato tutto il tempo in una cella frigorifera. Ai magistrati che gli hanno contestato un'ustione al braccio sinistro ha spiegato di essersela procurata salendo sul ponte quando la nave si è fermata. Ha sostenuto di avere visto l'uomo che ha involontariamente appiccato il fuoco, ma di non conoscerlo e di non averlo visto tra i superstiti.

Non sono d'accordo sei eritrei che lo hanno indicato come lo scafista, e anche come il capitano. L'equipaggio era composto da due persone, compreso un giovane che potrebbe essere un minorenne suo connazionale, che non è tra i superstiti.
Il presunto comandante avrebbe avuto anche un ruolo nell'incendio del peschereccio. Elementi non certi, tanto che la magistratura non gli contesta il reato di incendio. L'incendio era stato appiccato, hanno confermato i sopravvissuti, per fare notare la presenza della nave alle autorità italiane, affinché li portassero a Lampedusa. Un testimone racconta di "avere visto il capitano versare benzina o gasolio su una coperta", ma "non può dire che sia stato lui ad accendere". È certo che "si è incendiata una parte dell'imbarcazione e tutti si sono riversati verso prua e la barca si è ribaltata". "Non l'ho visto dare fuoco - racconta un altro - ma ho sentito dire da molte persone che era stato lui involontariamente a dare fuoco al ponte dell'imbarcazione". Un terzo sopravvissuto ricostruisce così la dinamica dell'accaduto: "Mi hanno chiesto un coltello" e "nel frattempo c'è stata una vampata che ha causato l'incendio a bordo. E in quel momento - ricorda - che ho visto il capitano, l'arabo più grande, correre insieme a altre persone verso la mia direzione, a poppa".

I testimoni, sentiti dalla procura di Agrigento, hanno poi raccontato di essere stati convogliati in un centro di raccolta a Tripoli. I migranti avrebbero pagato tra 1.600 e i 2.000 dollari a persona, sono stati ospitati, chi per giorni chi per settimane, in un grande capannone e poi, condotti, su cassoni di camion telati chiusi, in un porto. Infine imbarcati su piccole barche che li hanno condotti al largo dove li attendeva la nave che, dopo poco più di un giorno di navigazione, il 3 ottobre scorso ha fatto naufragio davanti il porto di Lampedusa. Sull'imbarcazione erano oltre 500 stipati su tre livelli, tanto da non potersi muovere durante la navigazione. E per questo gli eritrei avrebbero nominato quattro loro "rappresentati": due per la poppa e altrettanti per la prua. Servivano, spiegano, a fare da coordinatori con gli altri migranti. Uno di loro sarebbe morto, tre invece sarebbero sopravvissuti.

La Direzione distrettuale antimafia di Palermo, dopo un vertice con i Pm di Agrigento, ha deciso di aprire un'indagine per tratta di esseri umani a seguito del naufragio di giovedì scorso davanti alle coste di Lampedusa. I pm di Agrigento continueranno a indagare per immigrazione clandestina i superstiti, per favoreggiamento lo scafista tunisino fermato anche per omicidio plurimo e naufragio, mentre la Dda di Palermo indagherà sulla tratta di esseri umani. A coordinare l'inchiesta saranno il procuratore aggiunto Maurizio Scalia e il Pm Geri Ferrara che hanno acquisito i verbali presi dagli immigrati superstiti sentiti come indagati di reato connesso, con l'assistenza del difensore, in quanto accusati di immigrazione clandestina. Nel fascicolo sono finiti anche i verbali di fermo dello scafista tunisino. Le due Procure sentiranno tutte le persone informate sui fatti in incidente probatorio: il timore degli inquirenti è che i superstiti nei prossimi mesi lasceranno l'Italia e le loro dichiarazioni, quindi, vengono considerate come atti irripetibili. [Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]

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09 ottobre 2013
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