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Nei pizzini di Raccuglia...

Nel covo di Calatafimi ne sono stati trovati una trentina. Per gli investigatori si tratta di materiale ''molto interessante''

17 novembre 2009

Ha trascorso la notte in una camera di sicurezza nel reparto della squadra mobile di Palermo il boss Domenico Raccuglia, arrestato domenica pomeriggio dagli agenti della sezione catturandi e dello Sco, dopo 13 anni di latitanza, in un appartamento a Calatafimi, nel Trapanese (LEGGI).
All'ex latitante sono state notificate le ordinanze di custodia cautelare pendenti a suo carico e, in tarda mattinata, è stato portato nel carcere palermitano dei Pagliarelli. Una destinazione provvisoria che potrebbe presto essere sostituita dal carcere duro in un istituto di pena di massima sicurezza, come ha annunciato ieri il ministro della Giustizia Angelino Alfano, "pronto a disporre il 41 bis".
La convalida del fermo del capomafia dovrebbe essere effettuata dal gip di Trapani competente per territorio visto che l'arresto è avvenuto in quella provincia, ma la contestazione dell'aggravante mafiosa al reato di detenzione di armi, accusa che ha giustificato il fermo dell'altro ieri, potrebbe fare spostare la competenza a Palermo, sede della Direzione distrettuale antimafia. Analogo discorso potrebbe essere fatto per i favoreggiatori del boss, Benedetto Calamusa, 44 anni, e la moglie Antonia Soresi, di 38, entrambi incensurati e proprietari dell'abitazione in cui Raccuglia si nascondeva all'interno di in un modesto appartamento - unico lusso un tapis roulant e un attrezzo per il potenziamento degli addominali - al quarto piano della palazzina.
Il capomafia, che ha già tre ergastoli definitivi per omicidio, è considerato il numero 2 di Cosa nostra, dopo il boss, ancora latitante, Matteo Messina Denaro.

Come accadde per il capomafia corleonese Bernardo Provenzano anche per la cattura di Raccuglia è stata decisiva, per gli inquirenti, la rete dei pizzini. Gli investigatori, da oltre un anno, tenevano sotto controllo i "postini" che curavano i contatti del boss con i suoi uomini. In tutto circa 8 persone che si muovevano tra Altofonte e Camporeale per consegnare e prendere i pizzini diretti e inviati dal boss. Seguendo i postini la polizia è arrivata fino al covo di Calatafimi. Gli agenti controllavano l'abitazione di via Cabasino da sabato, sospettando che dentro ci fosse il capomafia. Domenica, a dare il segnale che in casa ci fosse qualcuno, è stato il bagliore della tv accesa da Raccuglia, visibile dall'esterno quando il boss ha aperto la finestra del balcone.
E una trentina di "pizzini" scritti a mano da Mimmo Raccuglia sono adesso al vaglio degli inquirenti. Alcuni con nomi e, accanto, cifre: certamente una sorta di contabilità del pizzo. Sotto esame anche un block notes con la copertina rossa fitto di annotazioni. Sembra che siano già stati decrittati i primi nomi, ma al momento sono top secret. E, segnati in un foglietto, i giorni delle vacanze scolastiche per le festività natalizie. Documenti e appunti personali che Raccuglia, detto il "veterinario", custodiva gelosamente.
ll boss sembra era solito utilizzare il block notes per appuntare nomi e cifre della riscossione del pizzo; per quanto riguarda il calendario con le vacanze scolastistiche, è parso chiaro che il boss, anche per le imminenti festività natalizie, stava organizzando un incontro con la moglie e i figli. Prassi costante della sua latitanza, interrotta solo la scorsa estate.

Oltre al blocchetto per gli appunti e i "pizzini", sono stati rinvenuti anche 138 mila euro in contanti, una mitraglietta e due pistole (una calibro 357 e un'arma svizzera), tutto dentro un grosso zaino che il boss ha lanciato dalla finestra quando ha tentato di sfuggire alla cattura. Nella sacca c'erano anche decine di guanti da chirurgo e numerosi proiettili, "tutto l'armamentario - ha detto il pm della Dda di Palermo Francesco Del Bene che ha coordinato le indagini sulla cattura - di un killer di tutto rispetto come era Raccuglia". Gli inquirenti non escludono che il capomafia abbia recentemente partecipato ad alcuni degli omicidi che tra il 2005 e il 2009 hanno insanguinato la zona di Partinico. Otto delitti che s'inquadrano in una faida combattuta tra Raccuglia, che dopo l'arresto dei Vitale aveva esteso il suo dominio fino a Partinico e la cosca di Borgetto vicina al capomafia Salvatore Lo Piccolo.

Il "veterinario" non è ancora stato interrogato dagli inquirenti. La legge impone che primi a sentirlo siano i gip che hanno emesso eventuali misure cautelari a suo carico - al momento ce ne è una pendente - e il giudice trapanese che convaliderà il fermo disposto ieri.

Calatafimi e Altofonte dopo Raccuglia - A Calatafimi, il paese del trapanese dove Mimmo Raccuglia è stato catturato, la gente è scesa subito in strada non appena ha saputo dell'arresto del capomafia apostrofandolo con un insulto bruciante: "scemo, scemo...". Ad Altofonte, paese natale di Raccuglia e di altri boss mafiosi di rango, pochi invece hanno festeggiato. Nella piazza principale del "Parco", come viene chiamato il comune alla periferia di Palermo che domina gli agrumeti della Conca d'oro, bocche cucite di fronte ai taccuini dei cronisti, tranne qualche giovane che esprime soddisfazione per la cattura di un altro capomafia storico. Una soddisfazione condivisa dal sindaco, Vincenzo Di Girolamo: "Per anni - dice - Raccuglia ha macchiato l'immagine di Altofonte e dell'intera provincia di Palermo. Oggi è un giorno di festa per i miei concittadini e per tutti i siciliani onesti che rifiutano la violenza e la sopraffazione, armi con cui la mafia ha umiliato la nostra terra". Toni diversi usa invece il parroco del paese, Nino La Versa, intervistato dalla Rai, che parla con accenti affettuosi dei due figli di Raccuglia, un maschio di 13 anni e una ragazzina di dieci, quest'ultima concepita durante la latitanza del boss: "Sono ragazzi ben educati, che frequentano la parrocchia. Di loro non posso dire che bene".
L'abitazione di Raccuglia, dove i due figli abitano con la madre, Maria Castellese, ha le finestre sbarrate. Nessuno risponde al campanello, anche se i carabinieri dicono che i familiari del boss sono in paese. E ad Altofonte abita anche un'altra donna che porta lo stesso cognome, anche se non è parente della moglie di Raccuglia, Franca Castellese, madre del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bimbo di 11 anni sequestrato e ucciso dopo una prigionia durata oltre due anni. Un rapimento deciso dal boss Giovanni Brusca, per convincere il padre del ragazzo, il pentito Santino Di Matteo, anche lui mafioso del "Parco", a ritrattare. Tra le persone condannate all'ergastolo per quell'omicidio efferato figura proprio Mimmo Raccuglia: fu lui a recapitare le ultime lettere scritte dal piccolo Giuseppe al nonno, prima che i suoi carcerieri lo strangolassero con una corda sciogliendo poi il suo corpo nell'acido. "Nonostante il grande dolore che continuo a provare non si plachi, sento per la prima volta di essere vicina alla Giustizia", commenta Franca Castellese, affidando questo messaggio di speranza al suo legale, l'avvocato Monica Genovese. La speranza di un futuro senza mafia ad Altofonte, dove vittime e carnefici rischiano di incontrarsi per strada.

L'arresto di Raccuglia: una nuova rottura per gli equilibri di Cosa Nostra

di Aaron Pettinari (ANTIMAFIA duemila, 16 novembre 2009
)



La sezione Catturandi della squadra mobile di Palermo lo ha arrestato alle 17,30 presso un'abitazione di Calatafimi in via Cabbassini 80. Il boss originario di Altofonte era inseguito da tre condanne all'ergastolo, di cui una per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, 20 anni di reclusione per omicidio ed altre pene per associazione mafiosa. Un killer spietato, considerato come il successore del boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca. Così Raccuglia ha scalato i vertici di Cosa Nostra fino a diventare il numero due dell'organizzazione mafiosa, immediatamente dopo il superlatitante Matteo Messina Denaro.
Durante la latitanza è stato chiamato a "commissariare" un mandamento spigoloso come quello di Partinico, falcidiato da guerre intestine ed arresti eccellenti come quelli dei Vitale "Fardazza". Un ruolo che ha saputo gestire con occulatezza riducendo al minimo i propri spostamenti e rendendosi irreperibile spesso anche per i suoi stessi uomini. Solo pochi fidatissimi sapevano come mettersi in contatto con il boss.
E' durante la latitanza che il "peso" di Raccuglia all'interno di Cosa Nostra si è rafforzato. Con la cattura di Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni ed Enzo Brusca il "veterinario" non era più solo un killer ma una figura carismatica che aveva esteso il proprio dominio in tutto il territorio nella provincia di Palermo e non solo. Nel tempo era diventato uno specialista nella gestione degli appalti pubblici e poteva contare su importanti appoggi anche oltreoceano, laddove aveva trascorso parte degli ultimi quindici anni. Negli ultimi mesi, complice anche la scarcerazione di Michele Vitale, aveva abbandonato i territori di Partinico e Borgetto.

Gli inquirenti lo sospettavano da tempo ed alla fine le indagini hanno portato fino alla provincia di Trapani, nei territori controllati da Matteo Messina Denaro. 
Ed è proprio sulla vicinanza tra i due padrini che si stanno concentrando adesso le attenzioni della Dda. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia ed i pm Francesco Del Bene e Roberta Buzzolani, coordinatori dell'indagine della squadra mobile, hanno detto ieri:"Dalle indagini è emerso che il capomafia aveva stretto un’alleanza con il latitante di Castelvetrano e recentemente aveva spostato i suoi interessi proprio nel trapanese".

Quali rapporti avevano stretto i due boss? Che la riorganizzazione di Cosa Nostra passasse da loro vi sono pochi dubbi. I segnali di un possibile coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nel tentativo di istituire una nuova commissione erano già emersi nell'inchiesta Perseo. Sia il gruppo vicino ai Capizzi, favorevole alla nuova commissione, sia quello avverso capeggiato dalla famiglia di Porta Nuova vantavano contatti con il boss di Castelvetrano: alcuni tramite pizzini, altri con l'intermediario "zio Franco" (Franco Luppino di Campobello di Mazara). "Abbiamo accettato un certo tipo di situazione di parlare con lui per andare fuori" raccontava Sandro Capizzi a Giovanni Adelfio e Pino Scaduto. E riguardo il progetto sulla nuova commissione aggiungeva: "lo Zio Franco mi ha detto 'sistematevi tutte cose... anzi ci avete perso tempo... dopodiché non cambia niente… o prima o dopo da parte nostra avrete il massimo appoggio".
E' forse dopo le operazioni dell'ultimo anno che i due boss avevano deciso di stringere un nuovo patto. Secondo gli inquirenti Raccuglia stava trascorrendo la propria latitanza a Calatafimi da almeno un mese e mezzo e non era un ospite ma un boss in "piena attività" tant'è vero che 
in alcune intercettazioni di recenti inchieste antimafia tra Alcamo e Castellammare non mancherebbero riferimenti all'ex latitante. Qualche settimana fa, in un blitz compiuto dai carabinieri presso la sua abitazione ad Altofonte, erano stati rinvenuti 12.500 euro in contanti nascosti dentro i piedi del letto. Denaro liquido che è stato rinvenuto anche nel blitz di ieri. Ben 138 mila euro che il boss ha cercato di nascondere in un borsone gettandolo poi dalla finestra. Soldi provenienti dalle estorsioni e, si sospetta, anche dagli appalti dei lavori pubblici in corso nel trapanese. A confermare il ruolo di comando di Raccuglia sono stati rinvenuti anche numerosi "pizzini", ora all'attenzione degli investigatori.
E' possibile che tra questi vi possa essere qualche comunicazione con Messina Denaro anche perché sembra impossibile che il boss di Castelvetrano potesse ignorare la presenza di una figura così "importante" sul proprio territorio. Un rapporto che potrebbe affondare le proprie radici ancor più indietro nel tempo. Entrambi non avevano simpatie per i Lo Piccolo con contrasti che si sono presentati in momenti differenti. 
Altro aspetto da non sottovalutare è anche l'appartenenza storica dei due boss all'ala "Corleonese" di Cosa Nostra quella più sanguinaria e spregiudicata. Lo stesso si può dire per il capomandamento di Pagliarelli Gianni Nicchi ("delfino" di Nino Rotolo) che oggi il Procuratore capo di Palermo ha indicato come possibile capo a Palermo. "I boss mafiosi pensano di investire sul latitante Gianni Nicchi - ha detto - Ha una forte protezione dell'organizzazione mafiosa. Le recenti indagini su questo fronte fanno pensare che l'organizzazione mafiosa investirà su di lui. Negli ultimi tempi ha acquisito una certa visibilità mediatica, è collegato alla Cosa Nostra americana. Insomma, è stato inserito in un contesto di una certa rilevanza".
Raccuglia poteva essere il trade d'union tra Palermo e Trapani. Cosa accadrà ora che l'equilibrio è saltato? Il rischio è che Cosa Nostra possa tornare a far sentire il rumore delle armi per una nuova spartizione del potere a meno che i due latitanti, Nicchi e Messina Denaro, stringano un nuovo patto in nome degli affari.

- Intervista al capo della Catturandi di Palermo Mario Bignone di Lorenzo Baldo (ANTIMAFIA duemila, 16 novembre 2009
)

- Il sacrificio degli agenti: le spese anticipate di tasca propria di Salvo Palazzolo (Repubblica.it)

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17 novembre 2009
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