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Nel blu del mare più blu

Tutti dicono "blu come il mare"... ma voi sapete perché il mare è blu?

18 agosto 2011

Una domanda semplice si affaccia in questi giorni alla mente di chi contempla le distese marine: perché il mare è blu?
La scienza risponde: il colore del mare è la risultante delle radiazioni che riflette, quando viene investito dall'energia luminosa. L'acqua, come altre superfici, funziona come un filtro selettivo che attenua alcune lunghezze d'onda rispetto ad altre. Il colore rosso, ad esempio, viene quasi completamente assorbito già a un metro di profondità, mentre scendendo ancora più di quota vengono a sparire via via gli altri colori, fino a che verso i 10 metri rimane il blu. Per rivedere altre tinte occorre, a quel punto, l'uso di una pila.
L'acqua limpida fornisce la massima trasparenza e la lunghezza d'onda visibile all'occhio umano come blu, riesce a raggiungere anche le grandi profondità, dando al mare il suo inconfondibile colore.
Il primo che cercò di dare una spiegazione scientifica del fenomeno fu l'indiano Chandrasekhara Venkata Raman, nobel per la Fisica nel 1930. Durante una traversata che dall'Inghilterra lo avrebbe portato alla terra natia, osservò che, anche con le onde e il cielo nuvoloso, il colore del mare non cambiava. Formulò allora l'ipotesi che le molecole dell'acqua diffondessero la luce. Dopo due anni di studi, scoprì quello che a tutt'oggi viene chiamato "effetto Raman", circa la diffusione anelastica di fotoni, che comunque non spiega la ragione del blu, dovuto invece al fenomeno dell'assorbimento.

Le profondità marine sono un ambiente inospitale: la luce arriva fino a quasi 200 metri, la temperatura diminuisce per arrivare, oltre i 3000 metri di profondità, a sfiorare gli zero gradi centigradi, mentre la pressione, al contrario, aumenta di un'atmosfera ogni dieci metri. Condizioni estreme che farebbero pensare a un panorama desolato e inanimato, se non fosse che sovvertendo ogni logica dell'esistenza in superficie, lo scenario si apre su ecosistemi completamente nuovi. Ogni tanto vengono alla luce esemplari nuovi dai nomi fantastici, come il "Fangtooth" dai denti acuminati e lunghissimi; il "Blobfish" (nella foto), il cosiddetto "pesce triste" vista la sua buffa espressione, una creatura che, grazie alla propria densità inferiore a quella dell'acqua, riesce a spostarsi sotto una pressione altissima, senza sprecare energie.  E ancora il "Dragonfish", dotato di capacità luminescenti o lo spaventoso "Calamaro Vampiro", in grado di emettere un flash luminoso che disorienta le sue vittime. Per l'uomo non sono pericolosi, soprattutto per la scarsa accessibilità dell'ambiente in cui vivono. Sono piuttosto loro a corre dei rischi, nel caso vengano cacciati, come trofei. [Adnkronos/Ing]

 

 

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18 agosto 2011
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