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Nel Paese dove nulla funziona...

La storia di un'azienda fallita a causa di una Pec errata mandata dal tribunale

25 settembre 2014

Verrebbe quasi da dire che si stava meglio quando si stava peggio, senonché, analizzando bene la situazione attuale, la conclusione sembra sia che il peggio è proprio nell’oggi, e che il peggio di ieri tutto sammato era veramente meglio... Parliamo di nuovi modi di concepire tempi ed azioni che si scontrano con incapacità e mostruosi gap tecnologico-amministrativo.
E’ notizia recente quella del fallimento di un’azienda causato da un errore giudiziario, a sua volta causato dall’incapacità di utilizzare la Pec, la Posta elettronica certificata.
Ma andiamo a raccontare la storia...

A Padova esiste un’azienda che si occupa di progettazione di arredi. Una ditta nel pieno della sua attività, che conta 11 dipendenti, che lavora a pieno ritmo e che vanta commesse per milioni di euro.
Ebbene, il proprietario dell’immobile dove ha sede l’azienda sembra non abbia riceve l’affitto da diversi mesi e presenta istanza di fallimento per i suoi inquilini.
Il Tribunale di Padova accoglie l’istanza di fallimento e invia all’azienda una mail a mezzo Pec che però i titolari non riescono ad aprire perché sforniti di una Casella di Posta Certificata, ma se anche lo fosse stata sarebbe comunque servito a poco, infatti la mail inviata dal Tribunale era sprovvista di qualsiasi allegato. Una email certificata ma vuota.
Insomma, i proprietari rimangono all’oscuro del fatto che la loro azienda è fallita e che dopo qualche mese avrebbero dovuto presentarsi alla prima udienza.

Ovviamente, a quella prima udienza dell’azienda non si presenta nessuno. "Per una sentenza emessa con leggerezza e senza le opportune verifiche - racconta la proprietaria - la nostra azienda viene a trovarsi, senza esserne a conoscenza, nel portale dei fallimenti. Nessun messo del tribunale, nessuna informativa se non una Pec inapribile e comunque vuota per un errore della cancelleria, che doveva informarci che il proprietario dell’immobile su cui svolgevamo la nostra attività da sette anni (che in questo periodo ha incassato 1.200.000 euro di canoni di locazione) e con il quale eravamo in trattativa per una riduzione dell’affitto, per spaventarci ha richiesto nei nostri confronti invece che uno sfratto, un’istanza di fallimento". Fallimento reso celermente esecutivo e che ha in poche parole rovinato la vita di diverse persone. "Presentiamo ricorso in Corte d’Appello a Venezia - continua a raccontare la propietaria -, che viene discusso e accolto in 60 giorni..." quindi l'azienda torna "in bonis" come non fosse mai fallita ma la famiglia di imprenditori è rovinata: il curatore fallimentare ha infatti requisito le chiavi della ditta, bloccato i conti correnti bancari e licenziato gli undici dipendenti. Persi i lavori in corso e le commesse, nonostante la richiesta dell’esercizio provvisorio dell’attività (questo negato dal giudice) in attesa della sentenza di ricorso, per garantire l’occupazione ai dipendenti e limitare i danni. "Ora stiamo facendo la conta dei danni subiti che nessuno ci risarcirà, come nessuno risarcirà i nostri dipendenti per essere ingiustamente disoccupati, né tutti coloro che lavoravano con e per la nostra azienda".

Quindi, beati i tempi in cui si mandavano le raccomandate? Difficile rispondere di sì se consultiamo un’altra recentissima notizia che racconta di una lettera spedita da Agrigento con la posta prioritaria e arrivata a destinazione, ad Oristano, ben nove anni, due mesi e 27 giorni dopo!
La missiva è stata spedita il 6 luglio 2005 dalla città siciliana, ed è stata, incredibilmente, recapitata solo nei giorni scorsi al destinatario che abita nel capoluogo sardo...
Insomma, si stava meglio quando si stava peggio? No, in Italia sembra che si sia stati sempre peggio. Una terra dove le cose hanno sempre funzionato male e nella quale mai nessuno si prende la responsabilità o viene punito per gli sbagli commessi.

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25 settembre 2014
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