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Nessun complotto contro Bruno Contrada. L'ex funzionario Sisde, condannato per mafia, rimarrà in carcere

09 gennaio 2008

Niente domiciliari e niente pena differita per l'ex dirigente del Sisde Bruno Contrada, condannato a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Il Tribunale di Sorveglianza di  di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato la richiesta di differimento pena o, in subordine, di detenzione domiciliare di Contrada. L'avvoctao difensore dell'ex funzionario del servizio segreto civile, Giuseppe Lipera, aveva chiesto l'immediata liberazione o la detenzione domiciliare del detenuto a causa delle condizioni di salute in cui si troverebbe Contrada. Il magistrato di sorveglianza, dopo aver esaminato le consulenze sanitarie sullo stato di salute di Bruno Contrada, depositate dall'avvocato Lipera, ha ritenuto che "non ricorrono tuttora i presupposti per accedere al differimento dell'esecuzione della pena". "Nulla quaestio in merito - si legge nel provvedimento del giudice - all'istanza di detenzione domiciliare, misura che nel caso in specie può essere concessa esclusivamente dal tribunale di sorveglianza".
Contestualmente alla decisione del Tribunale di sorveglianza sono arrivate le motivazioni della sentenza della Cassazione con la quale è stato condannato in via definitiva l'ex dirigente del Sisde.
Per la Suprema Corte sono molte e ricche di riscontri le testimonianze dei pentiti contro Contrada, testimonianze che hanno avuto un peso decisivo sulla sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, pronunciata dalla Corte d'appello di Palermo a febbraio del 2006 e poi confermata poco più di un anno dopo dalla stessa Cassazione. Non solo. Contro di lui non c'è stata nessuna cospirazione per incastrarlo. Ecco perché il 10 maggio scorso, la sesta sezione penale della Suprema corte ha confermato la condanna all'ex numero due del Sisde.
Le motivazioni sono state rese note ieri con il deposito della sentenza 542.

In 68 pagine di motivazione la VI Sezione penale di Piazza Cavour - presidente Giorgio Lattanzi, relatore Giacomo Paoloni - sottolinea il lavoro "commendevole" svolto dai giudici della Corte di appello di Palermo che nel giudizio bis di secondo grado, il 25 febbraio 2006, ribadirono la colpevolezza del super-poliziotto dopo l'annullamento dell'assoluzione che ribaltò la condanna a 10 anni emessa in primo grado.
Ad avviso degli Ermellini, in nessun modo la difesa di Contrada - a sostegno della tesi del complotto dei pentiti - "fa riferimento alcuno a prove di incontri tra l'uno o l'altro dei dichiarati esaminati nel processo che divengano suscettibili di delineare l'effettivo verificarsi, anche solo in parte, di episodi di 'inquinamento probatorio' rapportabili agli specifici apporti conoscitivi dei collaboranti che accusano l'imputato".
In sostanza, per la Cassazione le accuse contro l'alto funzionario del Sisde non sono delle "trame calunniose e mistificatorie e in nessun modo si può definire come asfittica la meticolosa disamina con la quale i giudici di Palermo si sono fatti carico di verificare, ed escludere, possibili episodi di inquinamento o condizionamento riscontrabili nelle plurime esternazioni dei collaboranti".
Per quanto, inoltre, riguarda l'entità della pena inflitta a Contrada, la Cassazione rileva che i giudici di Palermo hanno ritenuto di non concedere le attenuanti generiche per il "concreto disvalore" della sua condotta contraria alle leggi e per "l'intensità del tono che la ha caratterizzata". I supremi giudici ricordano, infine, che ad inchiodare Contrada all'accusa di aver aiutato i boss a sfuggire alle operazioni di polizia e a favorirne la latitanza, non ci sono solo le parole dei pentiti ma anche le testimonianze di numerosi suoi colleghi, anche di alto grado, che sospettavano di lui e ne chiedevano l'allontanamento da Palermo.

Ai microfoni di Sky Tg24, Bruno Contrada ha detto: “Sono convinto che sarebbe opportuno che una commissione parlamentare svolgesse un lavoro approfondito e facesse degli accertamenti approfonditi [...] Vorrei che ci fosse un momento di verità. Sono condannato con una sentenza definitiva, confermata in Corte di cassazione - ha aggiunto Contrada - ma sono convinto che la mia vicenda giudiziaria non si chiuda con questa sentenza, perché non è possibile che una storia del genere rimanga sepolta in atti giudiziari. Sono convinto che ci sia necessità di una verità storica, oltre che di una verità giudiziaria".

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09 gennaio 2008
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