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Nessun miracolo nella realtà del lavoro nero

Dopo due giorni sotto le macerie di una palazzina crollata a Licata (AG), l'operaio romeno è morto

23 settembre 2006

Un miracolo! L'unica maniera per descrive quello che era successo a Torre di Gaffe, nei pressi di Licata (AG). Vivo per due giorni sotto le macerie di una palazzina di cinque piani sfracellatasi rovinosamente. Sembrava avesse un lieto fine la storia di Mircea Spiridon, muratore romeno di 32 anni, sposato e con due figli, ennesima vittima del lavoro. Un finale che vedeva un ''vinto'' riabbracciare la propria famiglia dopo aver convissuto con la propria morte per ben due giorni. Ma purtroppo, sembra non ci sia posto per i miracoli nella realtà del lavoro sommerso.

Alla fine, infatti, Mircea ce l'ha fatta. Per due giorni ha resistito sotto le macerie, fino a quando i cani della Protezione civile lo hanno trovato. Vivo ma bloccato sotto una parete di cemento armato ed alcuni rottami di un'auto. Chi lo ha soccorso non ha avuto scelta: per liberarlo, i medici hanno dovuto amputargli entrambi i piedi. Nonostante la corsa in ospedale con un elicottero del 118, appena ricoverato a Caltanissetta è morto.
Come ha confermato uno dei vigili del fuoco, che da ieri mattina hanno ininterrottamente scavato sotto le macerie, le necrosi ai piedi hanno provocato gravi problemi alla circolazione del sangue. I vigili del fuoco hanno tentato per dieci ore di estrarlo da quel groviglio di cemento e ferro ma non ci sono riusciti. C'era il rischio che l'intervento delle gru finisse per innescare un altro crollo. E poi le condizioni dell'operaio peggioravano di ora in ora: ieri pomeriggio aveva perso conoscenza e il dolore alle gambe imprigionate sotto i detriti era diventato insopportabile. ''I medici - ha spiegato il vicecomandante dei Vigili del fuoco di Agrigento, Andrea Abruzzo - sono stati costretti ad amputare i piedi perché stavano andando in cancrena. Non c'era altra scelta''.
L'operazione per liberarlo è stata resa ancora più difficile dalla compattezza delle macerie, spiegano i vigili del fuoco, ''dovuta al materiale scadente utilizzato per la costruzione dell'edificio''. Accanto ai soccorritori la moglie Daniela che non ha mai lasciato il cantiere, neppure durante la scorsa notte, convinta che il marito prima o poi sarebbe stato trovato ancora vivo sotto le macerie. Così è stato, ma la gioia ha lasciato subito il posto al dolore.

Prima che la tragedia si concludesse tragicamente, Mircea, bisbigliando ai suoi soccorritori, aveva fatto intendere che al momento del crollo, con lui c'erano altri compagni, ma una volta liberato da buona parte dei detriti che lo sommergevano, l'operaio ha riferito che era solo al lavoro quel giorno. I vigili del fuoco hanno comunque sondato l'area intera del crollo ma né il geofono (una sofisticata apparecchiatura capace di rilevare i battiti del cuore sotto le macerie) né i cani hanno rilevato la presenza di altre persone vive sotto le macerie. Secondo il vicecomandante dei vigili del fuoco di Agrigento, Andrea Abruzzo, dalla comunità rumena di Palma di Montechiaro non vi sono denunce di scomparsa e nessuno mancherebbe all'appello. Si riduce così di molto la possibilità che sotto le macerie della palazzina vi siano altri operai rumeni che lavoravano in nero.
In nero, esattamente, così come veniva pagato dall'impresa Di Vincenzo che stava ristrutturando l'edificio, anche Mircea, sostengano i sindacati. Per la ditta il ''povero operaio romeno'' non esisteva nella contabilità ufficiale e i responsabili del cantiere hanno anche dimenticato di segnalarlo ai vigili del fuoco dopo il crollo avvenuto mercoledì scorso.
Nessuno si è preoccupato di sapere che fine avesse fatto Mircea Spiridon. Nessuno aveva detto che sotto quella montagna di detriti e sbarre di ferro ci poteva essere qualcuno. E' stata, infatti, la moglie a denunciare la scomparsa del rumeno dopo che la sera non lo aveva visto rincasare.

La Procura della Repubblica di Agrigento ha aperto un'inchiesta per disastro colposo, e dopo la morte di Mircea la posizione delle persone iscritte nel registro degli indagati si è aggravata. Al disastro colposo si è aggiunto anche l'omicidio colposo. Tra gli indagati ci sono i titolari dell'impresa che stava eseguendo i lavori di ristrutturazione, ma anche i proprietari della palazzina di Torre di Gaffe, edificata abusivamente negli anni Settanta a due passi dal mare. I magistrati stanno tentando adesso di capire il perché del crollo e soprattutto, quante persone vi lavoravano senza il rispetto delle norme.

''Siamo di fronte a un evidente comportamento criminale del titolare dell'impresa edile e a gravi ritardi nei soccorsi''. La Cgil siciliana chiede l'apertura di un'inchiesta. ''Perché - chiedono Italo Tripi, segretario generale della Cgil siciliana, ed Enzo Campo, segretario del sindacato edili - l'imprenditore non ha detto subito che mancavano all'appello alcune persone? Perché si è dovuto aspettare la denuncia della moglie dell'operaio? E perché dopo la denuncia prima che scattassero i soccorsi sono trascorse 24 ore?''. Secondo Tripi e Campo ''c'è un comportamento colpevole di chi ha pensato a sé stesso anziché alla vita di tre persone, e questo solo perché clandestini quindi 'invisibili'. Ma vorremo anche comprendere perché i soccorsi sono arrivati così in ritardo''. Il sindacato ha sottolineato che ''vicende come quella di Licata accadono in Sicilia perché mancano i controlli e ci si può consentire di tenere in nero lavoratori clandestini, sfruttarli e in caso di incidenti lasciarli al proprio destino. Alle associazioni di categoria chiediamo di emarginare chi fa impresa senza rispettare le regole''.

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23 settembre 2006
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