Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Nessuna risposta

Tra codici e silenzi. Bernardo Provenzano, come prevedibile, al primo interrogatorio si è avvalso della facoltà di non rispondere.

21 aprile 2006

Come da copione, nulla di strano o di inaspettato. Bernardo Provenzano si è avvalso della facoltà di non rispondere. E' durato pochissimo il primo interrogatorio che i pm di Palermo hanno rivolto al boss dei boss rinchiuso nel carcere di Terni.
Accompagnato dagli agenti del Gom della polizia penitenziaria, Provenzano è arrivato nella stanza del carcere di Terni in cui lo attendevano i magistrati Giuseppe Pignatone, Marzia Sabella e Michele Prestipino e il vice questore dello Sco, Renato Cortese, il poliziotto che lo ha arrestato l'11 aprile scorso. Con loro c'era anche il suo difensore, l'avvocato Franco Marasà.
Provenzano è entrato nella stanza e ha salutato stringendo la mano a tutti. Poi si è seduto accanto al proprio difensore e davanti a loro, separati da un grande tavolo, si sono sistemati magistrati e investigatori.
Provenzano ha risposto solo alle domande sui dati personali mentre si è avvalso della facoltà di non rispondere per quanto riguarda le indagini coordinate dal procuratore aggiunto. L'ex superlatitante si è definito nullatenente e ha detto di aver frequentato solo la prima elementare.
Alla domanda se è sposato, il capomafia ha risposto: ''Nel mio cuore si''. Provenzano era il convivente di Saveria Benedetta Palazzolo dalla quale ha avuto due figli, Angelo e Francesco Paolo, che sono nati durante la latitanza. La coppia è rimasta in ''clandestinità'' fino alla primavera del 1992 quando la donna insieme ai figli è tornata a Corleone.

A chiedere a Provenzano se fosse sua intenzione rispondere o meno è stato il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone. ''Esistono dei ruoli gerarchici - ha spiegato l'avvocato Marasà - in base ai quali la domanda doveva essere posta dal procuratore aggiunto. Così come è avvenuto''. Il legale ha parlato di ''grande professionalità da parte dei magistrati''. ''C'è stata una domanda e una risposta - ha spiegato ancora il difensore del boss ai giornalisti che gli chiedevano come si fosse svolto l'interrogatorio - e il tutto è durato pochi minuti''. Alla domanda su come sta Provenzano il suo difensore si è limitato a rispondere: ''Sta'', precisando poi che ''è sereno''.
Riguardo all'atteggiamento in carcere del boss corleonese, l'avvocato Marasà ha detto: ''E' l'atteggiamento di un detenuto...''. ''Faccio l'avvocato - ha aggiunto - non lo psicologo''.

Il boss è stato interrogato sul fascicolo (Rgnr Dda 13030/03) aperto dalla procura per la sua cattura e poi sui documenti trovati la scorsa settimana nel covo di contrada Montagna dei Cavalli a Corleone. I magistrati hanno avvisato Provenzano che gli avrebbero posto delle domande alle quali lui non si sarebbe potuto sottrarre: dati anagrafici, pendenze penali e condanne subite.
Provenzano ha quindi risposto a queste domande, citando anche alcune condanne che gli sono state inflitte in questi anni e poi, una volta conclusa questa discussione che è stata registrata e verbalizzata, il boss si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Gli inquirenti hanno quindi lasciato la stanza in cui si trovava il capo di Cosa nostra che è rimasto solo con il suo difensore con il quale ha parlato per circa un'ora.
I magistrati, dopo un paio di ore, hanno lasciato il carcere senza parlare con i giornalisti che li attendevano.

Provenzano quindi, com'era prevedibile, non ha parlato davanti ai pm, come non ha parlato in tanti e tanti anni di latitanza.
Ha comunicato Provenzano, ma mai parlato, nei suoi ''pizzini'' contavano i segni e i simboli non le parole, e le parole importanti erano mute rese silenziose dai suoi codici.
Prendendo spunto proprio dai ''pizzini'' di Provenzano e dalle difficoltà di decifrarli, per gentile concessione dell'Editore, vogliamo di seguito pubblicare uno stralcio del libro di Agostino Spataro dal titolo ''Sicilia, cronache del declino'', in corso di stampa per i tipi delle ''Edizioni Associate'' di Roma, nel quale, partendo dai ''pizzini'' usati dal boss, si parla di questa antica pratica di corrispondenza, con riferimento al ''Codice cifrato del Duca di Cesarò''.

n un tempo in cui la comunicazione, anche epistolare, ha raggiunto livelli davvero inimmaginabili (basti pensare alle e-mail), fa un certo senso leggere che nell'ambiente mafioso, per altro molto internazionalizzato, si usi ancora il cifrario per comunicare.
Evidentemente, mittenti e destinatari ritengono più sicuro questo mezzo e perciò vi si affidano anche per comunicare con i familiari, su problemi di routine della vita quotidiana.
La scoperta in un covo di mafia di lettere cifrate scritte dai familiari di Bernardo Provenzano mi ha riportato, con la mente, al rinvenimento di alcune lettere crittografiche che feci, alcuni anni addietro, tra le carte polverose dell'archivio amministrativo della ''segrezia'' del Castello di Joppolo Giancaxio, appartenuto ai duchi Colonna di Cesarò, potente famiglia nobiliare siciliana che ha svolto un ruolo importante nelle vicende politiche siciliane e nazionali, prima e dopo l'Unità.
Nel nostro caso, autore delle missive, in gran parte vergate nel 1875, era il duca Gabriele Colonna di Cesarò, giovane deputato della Sinistra eletto alla Camera nel collegio di Aragona, protetto da Crispi in persona e cognato di Sydney Sonnino futuro capo del governo italiano.
Per avere un'idea dello spessore politico della famiglia, aggiungo che il di lui padre, Giovanni Antonio Colonna Filangeri, fu nominato da Garibaldi primo governatore di Palermo liberata e dai Savoia senatore del Regno e prefetto, mentre il di lui figlio, Giovanni Antonio, fu deputato e ministro del primo governo Mussolini dal quale si dimise, nel 1924, con una durissima e memorabile polemica alla Camera contro il fascismo e il suo Capo...

Il duca-deputato aveva per le mani un affare di grande valenza economica, ma difficile da sbrogliare poiché doveva scontrarsi con la curia vescovile di Girgenti.
La posta in gioco era il possesso del feudo Realturco, ovvero una distesa di feraci colline rossastre coperte di vigne e di campi di grano.
Un contenzioso pluridecennale che il duca-deputato era deciso a vincere ad ogni costo, usando tutta l'influenza che godeva in alto loco e tutti i mezzi disponibili, compresa la corruzione, mediante tangenti (allora si chiamavano''regalie'') ad avvocati, a faccendieri e perfino ai funzionari della controparte, le Opere pie gioenine, la fondazione economica della curia di Agrigento.
Nella lettera in cifra, datata Palermo 28 aprile 1875, il Colonna scrive al suo amministratore di Joppolo, don Michelino Turbacco, incitandolo a corrompere con ''un ingente regalo'' gli amministratori delle gioenine, per annullare l'asta di vendita di Realturco e ''vendere il feudo a me privatamente, senza asta''.
Ed ecco il testo integrale della lettera: ''Palermo 28 aprile 1875. Carissimo D. Michelino, 1878- 2927 mi scrive chiedendomi un 0469 per 6915 da presentarsi alla 6626 del 959- 440-3376.
Voi sapete sul proposito le mie idee. Si tratterebbe di 5624 il 0504 del 7127 più 1404 il 0264 della primitiva assegnazione, riprendendo invece 8641- 5669 del 8482; ovvero 5624 il 0504 del 7127 a patto di 8295 il 8482 a 11- 8464- 5035- 9441.
Il 1964- 7029 potrebbe però grandissimamente 4054- 2739- 7461- 9968- 9430-9278- 8889 di 2927 alla 5211 della 1514 con 1969- 8117- 7438- 4489.
Parlate con 2927 e venite al 1806- 4160 la 2759. V. aff/mo Di Cesarò''
 
Il duca usava il cifrario segreto poiché temeva che se la corrispondenza fosse caduta in mano dei suoi avversari ne sarebbe derivato un grave scandalo che avrebbe mandato a monte l'affare e incrinato seriamente la sua immagine di patriota eroico, di paladino della giustizia e della legalità.
Solo pochi mesi prima (nel novembre del 1874), in un memorabile discorso agli elettori di Aragona, aveva accusato apertamente prefetti e funzionari governativi di agire in combutta con la mafia e con i briganti.

E il primo dicembre 1875, espose davanti alla Commissione d'indagine sulla Sicilia il suo interessante punto di vista sulle origini e sul ruolo della mafia: ''...tutti i baroni, tutti i proprietari tanto delle città come dell'interno hanno avuto sempre una forza che stava attorno a loro e della quale essi si sono sempre serviti per farsi giustizia da se senza ricorrere al governo e della quale forza si sono serviti ogni qual volta si è dato il segnale della rivoluzione... Per furti, per le vendette personali, nonché per qualunque oggetto per cui in altre condizioni si sarebbe dovuto ricorrere alle autorità si ricorreva a questa gente, e per me qui sta l'origine della mafia...''
A conferma di questa sua tesi, il Colonna indicava i nomi delle più importanti famiglie mafiose di Palermo: ''andando a guardare quali sono i mafiosi più reputati nel paese non si trovano, nome per nome, che i Licata, i Cusumano, i Di Cristina...''
Anche in diversi dibattiti parlamentari il deputato Colonna di Cesarò si schierò coraggiosamente contro la mafia e soprattutto contro il connubio mafia-politica che, già a quel tempo, condizionava il governo della Sicilia e in una certa misura anche quello di Roma.
Eppure anche lui, patriota insigne, uomo di spicco della Sinistra, fustigatore di mafiosi e dei loro complici nei palazzi del potere, per impossessarsi di Realturco ricorreva al linguaggio cifrato per mettere in atto una grande corruzione.


Cercando fra centinaia e centinaia di fascicoli ho scovato un prezioso incartamento contenente i codici del cifrario segreto e così sono riuscito a decrittare il testo della compromettente missiva.
Per gli amanti della crittografia trascriverò il significato dei numeri contenuti nella lettera; così, se vorranno, potranno risolvere il rebus della condotta contraddittoria di Calogero Gabriele Colonna, duca di Cesarò, barone di Joppolo, del Godrano e di Fiumedinisi, deputato della sinistra al Parlamento.

Ecco, di seguito, il significato dei numeri utilizzati:
1878= marchese, 2927= Contarini, 0469= progetto, 6915=realturco, 6626= amministrazione, 959= opere, 440= pie, 3376= gioenine, 5624=pagare, 0504= rimanente, 7127= debito, 1404= rimborsare, 0264= prezzo, 8641= assoluta, 5669= proprietà,8482= feudo, 8259= vendere, 11=a me, 4864= privatamente, 5035= senza, 9441= asta, 1964= primo, 7029= partito, 4054= preferibile, 2739= però, 7467= bisogna, 9968= provvedere, 9430= segretamente, 9278=mediante, 8889= relazione, 5211= ?, 1514= offerta, 1969= promessa, 8117= corrispondere, 7438= ingente, 4489= regalo, 1806= connesso, 4160= stracciate, 2759= presente.

Agostino Spataro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

21 aprile 2006
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia