Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Nessuno si preoccupa della sorte dei nostri connazionali rapiti in Somalia?

Dopo oltre tre settimane nessuna notizia di Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini

17 giugno 2008

Un silenzio troppo lungo, che "preoccupa" molto, perché sa di "rassegnazione e fatalismo": "Sembra quasi che i sequestri siano cronicizzati, un po' come la situazione politica in Somalia, terra di nessuno da diciotto anni, e questo non deve assolutamente passare".
Sergio Marelli, presidente della rete delle Ong italiane, misura le parole e non perde mai di vista il limite istituzionale di quello che può essere detto oppure no in questi casi. Il suo però è un atto di denuncia, e di accusa, molto serio per come governo, media e opinione pubblica stanno gestendo e affrontando il caso dei due cooperanti italiani, la siciliana Jolanda Occhipinti e il pistoiese Giuliano Paganini - rapiti in Somalia il 21 maggio scorso.
"Ci avevano detto e spiegato e garantito che sarebbe stato un sequestro lampo, qualcosa che si sarebbe risolto in pochi giorni, questione di ore" ha detto Marelli. "Per questo abbiamo rispettato il silenzio stampa richiesto dalla Farnesina. In questo silenzio però, lungo ormai 26 giorni, accade che dei nostri cooperanti non si sappia più nulla; che il disinteresse nell'opinione pubblica sia totale e che ci siano informazioni circa il passaggio di mano degli ostaggi da una banda all'altra". Insomma, ha ribadito Marelli, "pur nel rispetto delle trattative è un silenzio dannoso che rischia di togliere l'attenzione".

Per tutti questi motivi la rete delle Ong italiane lo scorso 10 giugno ha sottoscritto un appello ai sequestratori per l'immediata liberazione di Jolanda Occhipinti, Giuliano Paganini e Yusuf Arale, volontari del Cins (Cooperazione italiana Nord-sud). Un appello "pressante ai rapitori e a tutti i somali di buona volontà per favorire la liberazione dei nostri colleghi". (LEGGI)
L'appello è stato tradotto in somalo e diffuso dalla Bbc e via web. In sostanza è un via libera a che siano attivati tutti i tipi di canali paralleli e ufficiosi per la liberazione dei cooperanti. "Massimo rispetto ovviamente per i canali attivati dalle autorità italiane e somale - precisa Marelli - ma poiché per noi la priorità è la salvezza degli ostaggi, ecco che a noi va bene ogni tipo di canale pur di ottenere la liberazione".  "Le Ong italiane chiedono che questo caso resti sotto la pressione internazionale" insiste Marelli, "temiamo che sia dimenticato e sottovalutato come del resto tutta la situazione in Somalia". Perché, ad esempio, "non ci sono gigantografie in Campidoglio?". Perché "non ci sono state né marce né appelli?".
Fino ad ora l'appello sembra non abbia causato reazioni di alcun genere. "Non possiamo che denunciare e ribellarci con i nostri mezzi - conclude Marelli - a questa impotenza generalizzata che sa di rassegnazione e fatalismo".

Somalia, i rapiti dimenticati
UN MILIONE PER LIBERARLI
«Le condizioni dei due italiani sono drammatiche»
di Massimo A. Alberizzi (Corriere.it, 17 giugno 2008)

Sono arrivati gli sciacalli. Decine di somali si sono fatti avanti chiedendo soldi in cambio di informazioni sulla sorte di Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, i due italiani rapiti il 21 maggio a una sessantina di chilometri a sud di Mogadiscio. Cento dollari per prendere un taxi, andarli a trovare e riferire sulle loro condizioni; diecimila per ricevere una telefonata degli ostaggi, centomila per ottenere una foto scattata dai rapitori, infine un milione, più o meno 600 mila euro, per ottenere la liberazione. Tutti offrono notizie a pagamento, nessuno informazioni certe. Il proliferare di «gente che sa» rende piuttosto difficile identificare chi è affidabile e chi invece cerca solo di spillare denaro.
Con i due italiani è stato sequestrato anche il direttore somalo del progetto agricolo del Cins - l'organizzazione non governativa per la quale lavorano - e capo della sicurezza, Abdirahaman Yussuf Harale, detto John. «Abbiamo identificato il gruppo che li tiene prigionieri - spiega uno suo strettissimo parente contattato al telefono - ma ora non sappiamo bene chi ha i titoli per negoziare la loro liberazione». La famiglia di Abdirahaman è molto potente a Mogadiscio e tutti i congiunti sono impegnati nella ricerca dei rapiti. «Il fatto che il sequestro non è stato mai rivendicato spiega chiaramente che non c'è un movente politico. Abbiamo avuto le prove che i tre sono vivi e stanno bene. Avremmo voluto comunicare con loro ma non ci siamo riusciti».

La Somalia sta vivendo uno dei momenti più drammatici da quando è cominciata la guerra civile 17 anni fa. Mogadiscio è devastata da continui scontri, bombardamenti, rappresaglie, omicidi a sangue freddo. Da un lato le truppe governative, spalleggiate dai soldati etiopici; dall'altro gli insorti islamici. I mercati sono vuoti e non c'è nulla da mangiare. «Le condizioni degli ostaggi sono drammatiche - spiega il congiunto di Abdirahaman - abbiamo chiesto se possiamo mandare cibo, medicinali, acqua pulita da bere, ma i contatti si sono persi e non siamo riusciti a far passare nulla». Il Paese, tra l'altro, è in piena stagione della piogge. A Mogadiscio l'ultimo temporale è durato 48 ore consecutive ed è finito ieri mattina. L'area intorno alla capitale è alluvionata. I capi clan hanno lanciato un appello per aiutare le popolazioni che hanno avuto le capanne invase dall'acqua. «Che ne sarà degli ostaggi? - si domanda il nostro testimone -. Da quello che sappiamo i rapitori, per paura di essere individuati, si spostano in continuazione. Dormono all'addiaccio nelle campagne o in qualche casa di fortuna. Insomma la loro prigione sembra "mobile". In Somalia sono poche le abitazioni in muratura intatte. Le altre sono semidiroccate. Occuparne una ogni notte non è un problema per loro; ma poi è bene abbandonarla subito la mattina presto. Qualcuno potrebbe fare la spia».
«Secondo informazioni di cui sono in possesso - continua il parente stretto di John che ha chiesto di restare anonimo perché vuol trattare direttamente la liberazione del suo caro - la banda in un primo tempo ha portato gli ostaggi a Mogadiscio e si è sistemata in un quartiere settentrionale della città, vicino all'ex pastificio. Lì si è fermata qualche giorno, poi il rischio di essere scovata è aumentato. Così i rapiti sono stati spostati a sud della Somalia, verso Brava. Poi sono tornati verso nord, in un villaggio, Lanta Buur, a una trentina di chilometri a sud della capitale, dove ai tempi della dittatura di Siad Barre c’era una prigione». E a Lanta Bur alla fine della scorsa settimana i governativi hanno tentato un'incursione per liberare gli ostaggi. L'operazione è andata a vuoto, quando i soldati sono arrivati i rapitori erano già scappati portandosi dietro i rapiti.

Secondo voci insistenti i due italiani sono stati venduti dal gruppo che li aveva catturati il 21 maggio a un'altra gang, forse addirittura sono passati di mano un paio di volte. A catturare gli italiani e il loro compagno somalo sembra essere stata una banda di criminali comuni, guidati da un certo shek Mohamud. Una gang che non c'entra nulla con gli shebab, i giovani integralisti che combattono contro il governo. Un somalo interpellato dagli italiani per cercare un contatto con i rapitori, è piuttosto seccato: «I banditi hanno chiesto 10 mila dollari per far parlare al telefono Jolanda e Giuliano ma nessuno vuol sborsare un centesimo alla cieca. Ne abbiamo messi assieme 5000 e sono già a Mogadiscio; ora ne servono altri 5000». I nostri servizi di intelligence hanno spedito a Nairobi sei agenti. Non risulta che nessuno di loro si sia avventurato nella giungla della capitale somala. La questione viene gestita direttamente da Roma. L'ambasciata italiana a Nairobi, la cellula dei servizi e l'ufficio dell'inviato italiano per la Somalia, Mario Raffaelli, sono stati pregati gentilmente di farsi da parte e di non occuparsi della faccenda. Peccato, forse loro qualche contatto ce l'hanno. La robusta rete di informatori che il nostro Paese poteva vantare in Somalia, infatti, è andata completamente distrutta una decina di anni fa, dopo essere stata abbandonata a se stessa. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

17 giugno 2008
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia