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No woman, No cry...

Oggi, 25 novembre, si celebra in tutto il mondo la ''Giornata internazionale contro la violenza sulle donne''

25 novembre 2006

Oggi, 25 novembre, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Moltissime le manifestazioni in Italia, tra cui quella nazionale a Brescia, e in tutti i principali capoluoghi della nazione.
Nonostante le mobilitazioni, e alcuni segnali positivi mandati negli ultimi tempi dalla politica, la situazione rimane inquietante. I dati ufficiali arrivano da un rapporto Istat presentato a Montecitorio, due giorni fa, il 23 novembre, in occasione della Giornata parlamentare contro la violenza alle donne. Secondo lo studio, che prende in esame i dati dal 1997 al 2002, in Italia 10 milioni di donne tra 14 e i 59 anni nel corso della loro vita hanno subito violenze, molestie o ricatti sessuali; si pensi che, a questo proposito, i dati dicono che sono ben 900mila le donne che hanno subito avance sessuali per essere assunte o per aver un avanzamento di carriera.
Dalle 500mila denunce che invece riguardano stupri o tentativi di violenza carnale emerge un altro dato allucinante: solo il 5,3% degli abusi sessuali viene commesso da estranei.
Ma le donne non sono vittime solo di violenze: dall'ultima ricerca dell'Eures, relativa al 2004, (''L'omicidio volontario in Italia'') emerge che un omicidio su quattro in Italia avviene in famiglia, tra le mura domestiche e che il 70% delle vittime sono donne, soprattutto casalinghe oltre i 64 anni di età e nella fascia 35-44 anni. In 8 casi su 10 l'autore è un uomo.
E infine non si può tacere di un fenomeno sempre più diffuso: la tratta di esseri umani che riguardano le donne straniere e che sta assumendo proporzioni rilevanti anche nel nostro Paese.

L'indagine Istat - Sono 10 milioni le donne tra i 14 e i 59 anni che hanno subito molestie o ricatti sessuali nel corso della vita. Sono 900mila i ricatti sessuali che avvengono sul lavoro e 500mila gli stupri o i tentati stupri. Le molestie fisiche sessuali avvengono solitamente da parte di estranei (58,2%), per la strada (19%), sui mezzi di trasporto pubblico (31,6%), sul posto di lavoro (12,1%), in pub o in discoteca (10,5%). Invece gli stupri e i tentati stupri avvengono ad opera di familiari. Solo il 3,5% avviene per mano di estranei.
Più frequentemente si tratta di amici (23,8%), conoscenti (12,3%), fidanzati o ex fidanzati (17,4%), mariti o ex mariti (20,2%). I luoghi più a rischio sono i più familiari. Solo il 21% delle violenze sessuali avviene per strada e il 14% in auto. Per il resto si tratta di casa propria, di case di amici, di parenti o dell'aggressore. I ricatti sessuali sul lavoro sono 900mila all'assunzione o per fare carriera. Centomila donne hanno subito ambedue le violenze.
Linda Laura Sabbadini, direttrice generale dell'Istat, sottolinea che quando avviene la violenza sessuale, questa è spesso violenza ripetuta e le donne non se la sentono di denunciarla nel 90% dei casi, o perché hanno paura di essere giudicate male (28,6%), o per vergogna (22,1%) e mancanza di fiducia nelle forze dell'ordine (11,6%). ''Un terzo delle donne non parla con nessuno dell'accaduto e ne ha parlato per la prima volta con noi''.

Il governo da parte sua ha annunciato una nuova iniziativa legislativa per tutelare maggiormente il ''sesso debole'' a fronte di studi condotti in ambito comunitario che, come ha reso noto il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, dicono che in Europa la violenza subita rappresenta la prima causa di morte delle donne nella fascia di età compresa tra i 16 e i 50 anni.
Il ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, ha annunciato entro 15 giorni la presentazione di una proposta di legge ''contro la violenza alle donne che tuteli ancora di più le donne e sia un appoggio per coloro che volendosi liberare dalle persecuzioni e dalle molestie, possano trovare un punto di riferimento''.
Gli esponenti di maggioranza sollecitano un maggiore impegno e chiedono che si passi dalle parole ai fatti.
Il direttore centrale dell'Istat, Linda Laura Sabbadini ha ricordato l'esigenza di poter disporre di statistiche disaggregate per sesso per legge, senza doversi affidare alla sensibilità di chi dirige l'istituto di statistica o di chi siede ai ministeri preposti.
Sabbadini, infine ha fatto notare come a subire i ricatti sessuali sono ''più le disoccupate che le occupate; più le impiegate che le operaie, perché le prime hanno più opportunità di carriera delle seconde e quindi sono più esposte al rischio; più le lavoratrici indipendenti che le dipendenti: l'ingresso diffuso di donne in settori tradizionalmente maschili è fenomeno recente ed è stato dirompente in un mondo così maschile come quello delle imprese. Quando le donne cercano di concludere un affare, effettuare una vendita, acquisire un cliente si creano i presupposti per i ricatti sessuali sulle donne''.

Lo status delle donne in Italia. Una ricerca del World Economic Forum - Se si vuole sapere chi, nel mondo, sta andando bene, chi così e così, chi decisamente male, lo si può capire consultando la classifica, pubblicata qualche giorno fa oggi, sullo status della condizione femminile in 115 Paesi che coprono il 90% della popolazione mondiale.
Ancora un volta, si tratta di una classifica, di quelle che fanno discutere e nella Penisola si tende a mettere sotto il tappeto. Ma che in questo caso è importante per almeno due ragioni. Prima di tutto, lo status delle donne nel mondo non è solo una questione di parità ma oggi può essere preso come un indice (certo non perfetto ma molto significativo) delle prospettive di un Paese: sia la loro partecipazione all'economia che alla politica sono infatti elementi chiave della crescita, sia nei Paesi avanzati sia in quelli in via di sviluppo. In secondo luogo, l'indice sul quale è costruita la classifica è piuttosto serio: pubblicato dal World Economic Forum, l'organizzazione famosa per il summit invernale di Daovs, è stato realizzato da due super economisti: Ricardo Hausmann, direttore del Centro sullo Sviluppo Internazionale della Harvard University, e Laura Tyson, che oggi è rettore della London Business School e fu la prima donna, con la presidenza di Bill Clinton, a dirigere il Consiglio economico della Casa Bianca.

Gli esperti hanno preso una serie di pubblicazioni e condotto indagini (il rapporto dettagliato si trova all'indirizzo www.weforum.org/gendergap) per assegnare a ciascun Paese un punteggio in ciascuna di quattro aree: partecipazione e opportunità economica delle donne, cioè un'analisi dei salari, dei livelli di partecipazione al mondo del lavoro e del grado di accesso alle posizioni più qualificate; l'accesso all'educazione, sia quella di base che quella più elevata; l'influenza politica, cioè il grado di partecipazione alle strutture decisionali; le differenze tra uomo e donna in termini di salute e di aspettative di vita. I quattro indici, poi, sono stati riassunti in uno generale che è la base della classifica finale.
L'Italia ha un risultato disastroso: numero 77 su 115, ultima dell'Unione europea se non si considera Cipro, e superata da decine di Paesi in via di sviluppo. Nei quali, evidentemente, la condizione della donna è relativamente più vicina a quella dell'uomo che da noi. Nei quattro indicatori, il peggiore è quello della partecipazione delle donne italiane all'economia: 87esimo posto. In questo campo, nessun Paese al mondo ha un indice uguale a uno, che significherebbe parità assoluta (mentre zero significa disuguaglianza assoluta) ma l'Italia si ferma a 0,5265, non arriva cioè alla sufficienza.
E' invece piuttosto clamoroso, sempre nel campo della partecipazione al mondo del lavoro, il fatto che ai primi posti arrivino Paesi ad altissima emigrazione femminile come la Moldavia (seconda), le Filippine (quarta), la Giamaica (settima), la Tailandia (tredicesima): segno evidente che sono le donne, come in molti altri Paesi, a guidare l'emersione dalla povertà.

In termini di educazione, l'Italia non va male: 26esima con 0,997. Ci sono però 11 paesi al mondo che in questo settore hanno chiuso completamente il gap di genere, hanno cioè indice uno (tra essi Danimarca, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Regno Unito - e ancora le Filippine).
Molto peggio, anche se non ce lo si aspetterebbe, quando si passa alla salute e alle aspettative di vita: l'Italia è nella posizione numero 77, lontana dai 34 Paesi che stanno al primo posto a pari punti (ci sono ancora la Moldavia, le Filippine e la Tailandia).
L'accesso femminile al potere politico è il territorio in cui le cose vanno peggio in tutto il mondo. Nessuno guadagna una sufficienza piena: la Svezia - che è il Paese che arriva al numero uno in questa classifica come in quella generale – si ferma a 0,5501.
Ma l'Italia è davvero in condizioni pessime: non tanto per il 72° posto ma per il punteggio, 0,0872, che è come non prendere nemmeno 1 in un compito in classe. Le Filippine, almeno, arrivano a 0,2695, che è il 16° posto.

Perché Il 25 Novembre è ''Il Giorno Contro La Violenza Verso La Donna''.
La scelta del 25 di novembre come data internazionale della lotta contro la violenza sulla donna fu un accordo preso dalle partecipanti all'Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi che si realizzò a Bogotà nel 1981, accettando il sollecito della delegazione della Repubblica Dominicana che proponeva che in questo modo si rendesse omaggio alle sorelle Mirabal: Minerva, Patria e María Teresa. Esse sono un esempio vivo del tipo di donna impegnata nelle lotte del suo paese.
Le tre sorelle caddero per la violenza dal regime di Trujillo che mantenne il paese dominicano nell'arretratezza per 30 anni, nell'ignoranza e nel caos. Nel 1960, il paese dominicano scontento e stanco di una dittatura tanto lunga, tutti i giorni portava a termine lotte nelle strade contro le forze militari repressive che sostenevano il dittatore.
Le sorelle Mirabal nacquero nella sezione Ojo de Agua, provincia di Salcedo, Repubblica Dominicana. Le condizioni di vita che si davano nel paese e la zona dove vissero, conseguenza del dominio statunitense ed il ritardo delle relazioni di produzione, determinarono la loro sensibilità di fronte agli acuti problemi sociali. La partecipazione attiva delle sorelle Mirabal nella lotta contro Trujillo guadagnò loro la fama di rivoluzionarie, motivo più che sufficiente affinché in una certa occasione Trujillo manifestasse davanti ad un gruppo di persone che i suoi due unici problemi erano le sorelle Mirabal e la Chiesa.

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25 novembre 2006
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