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Non bussare alla mia porta

Un'America bellissima (da guardare) quella western contemporanea di Wenders

04 ottobre 2005









Noi vi segnaliamo...
NON BUSSARE ALLA MIA PORTA
di Wim Wenders
 
Wim Wenders fa un bilancio 'nel corso del tempo'. Il regista tedesco torna in America, negli scenari western che aveva idolatrato da ragazzo, per raccontare con il grandissimo occhio del cinemascope una storia di rimpianti. Presentato a Cannes, il film mette in scena il disorientamento di un uomo di mezza età usando ancora una volta la metafora cinematografica (il protagonista è un'ex star del western) per far esplodere il conflitto tra illusione e realtà. Colonna sonora firmata T-Bone Burnett, gloriosa seconda chitarra di Bob Dylan.
Le nuvole corrono nel cielo americano, il cow boy è troppo stanco per continuare a fare il cow boy. Wenders riflette sull'età che incalza e la nostalgia raccontando la storia di un attore sul viale del tramonto. Abbandonato il set di punto in bianco, tenta di rimettere insieme i cocci della propria vita partendo dalla casa materna: sarà proprio la madre a fargli scoprire di avere una figlia nata da un'antica relazione, unica traccia positiva, forse, di una vita che gli appare senza senso. Un uomo intanto vorrebbe riportarlo a lavoro...

''Non definirei Don't come Knockin' un film sulla paternità, quanto piuttosto una storia d'amore e di occasioni perdute. Howard non si è accorto di aver perso gli appuntamenti più importanti della sua vita. Quello con l'amore per una donna, per dei figli, per un luogo in cui costruirsi una vita. Direi che è un film che parla soprattutto della disgregazione della famiglia''.
Wim Wenders

Distribuzione Mikado
Durata 98'
Regia Wim Wenders
Con Sam Shepard, Jessica Lange, Tim Roth
Genere Drammatico

La critica
"Jarmusch e Wenders non si sono mai visti in vita loro, ma raccontano (quasi) la stessa storia e cominciano (quasi) allo stesso modo. Nubi grigie e malinconiche per Jarmusch, nuvole lievi e svelte per Wenders, che ottiene anche una specie di effetto-Magritte inquadrandole da dietro un paio di occhi, in realtà due strani buchi fra le rocce di un canyon. Scritto e interpretato dall'ultimo cowboy Sam Shepard, 'Don't Come Knocking' comincia infatti come un western (...) Fino a quando Spence vaga fra i casinò che hanno invaso il Nevada (dal western alle slot machines, fine di una civiltà), o si sveglia non sa neanche lui come con tre ragazze accanto, Wenders sorprende e emoziona. Ma scivola nell'artificio e nel cliché quando il cowboy ritrova la sua antica fiamma e con lei il figlio che non conosceva. Mentre quella fanciulla (Sarah Polley) che si aggira per il Nevada con un'urna contenente le ceneri di un'altra mamma (e tre!) porta nel film il soffio angelico e salvifico che per Wenders è ormai un marchio. Peccato perché, 'Don't Come Knocking' ha momenti molto belli, specie quando guarda al passato ('Paris, Texas', sempre da Shepard, è del 1984, e i 21 anni si sentono tutti). Ma il dettaglio più wendersiano è forse il cartello finale, autentico, che indica le strade per le città di Wisdom (cioè saggezza) e Divide (qui non serve traduzione)."
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero'

"Grosse nuvole attraversano il cielo di 'Don't Come Knocking', variando l'illuminazione dell'inquadratura. A Wenders, invece, non passa più nulla per la testa. Ci avesse risparmiato, almeno, la solita tirata con annesso 'volemose bene', come nel penultimo 'La terra dell'abbondanza'."
Roberto Nepoti, 'la Repubblica'

"Non è la replica di 'Paris, Texas', ma anche Butte, Montana è una cittadina-fantasma sperduta sotto il Grande Cielo che sembra inventata apposta per dilatare l'occhio dell'anima di Wim Wenders. In 'Don't Come Knocking' incarna l'ultima frontiera del declinante divo del cinema Howard Spence (Sam Shepard), che ha appena appreso dalla vecchia madre (Eva Marie Saint) di averci lasciato crescere un figlio mai conosciuto, fugace corollario di uno dei troppi amori della sua vita spericolata. Con questo film che può degnamente aspirare alla Palma il sessantenne regista di Dusseldorf ritrova, insomma, il nerbo drammaturgico a più riprese sperperato perfezionando, nel contempo, il consueto feeling con le vertiginose vibrazioni del paesaggio umano e naturale americano. Il copione scritto a quattro mani con Shepard - il fascinoso attore, sceneggiatore e regista che nei diversi ruoli ha legato il suo nome a titoli di culto come 'I giorni del cielo', 'Uomini veri', 'Zabriskie Point' e, appunto, 'Paris, Texas' - non è forse esente da forzature e salti, ma la sua limpida cifra narrativa e la sua intima adesione melodrammatica si traducono in una ballata intensa e ispirata, un apologo sulla perdita delle radici e dell'identità, un rovesciamento dalle tonalità ironiche e donchisciottesche del mito dei naufraghi della celebrità. Grazie alla formidabile fotografia in Scope del giovane e già complice Franz Lustig, 'Don't Come Knocking' riesce a far parlare i panorami ad alta voce, a collegarli ai pensieri più che ai dialoghi, a coordinarli in virtuosistico equilibrio con i gesti e le azioni dei principali personaggi."
Valerio Caprara, 'Il Mattino'

"Il fallimento d'una vita, l'età che avanza, le occasioni perdute, la solitudine, il rimpianto: certo. Ma il film avrebbe poco valore se non fosse per due elementi: l'America bellissima di Wenders, vasti cieli azzurri, brandelli di nuvole candide, strade solitarie, pianure polverose. E la figura romantica di Sam Shepard, 62 anni, gli occhi come fessure e la faccia come cancellata, lo Stetson sempre in testa, la cognizione del dolore."
Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'

"Con questo post western Wenders fa ciao ciao all' America sognata, un ultimo omaggio ai suoi splendidi paesaggi e ai suoi infelici cowboy. Come Sam Shepard che, fuggito dal set per ritrovare mamma, moglie e figlio ignoto, tampinato da un misero assicuratore (superbo Tim Roth), rimpiange il mondo affettivo che il cinema non ha saputo sostituire. A vent' anni da Paris, Texas, reso più conciliante dall' età, il 60enne Wim torna sui luoghi del delitto con struggenti corde della chitarra di T Bone-Burnett (e un dono di Bono). Momenti memorabili, lunghezze, tutto sincero: un grande autore può permettersi un po' di manierismo, nelle calde tonalità marroni e cinemascopiche del Montana, con divani gettati via insieme ai sentimenti. Vittoria ai punti alle donne: le magnifiche, pazienti Jessica Lange e Eve Marie Saint, uniche coi piedi per terra fra uomini smarriti."
Tullio Kezich, 'Corriere della Sera'

Presentato in concorso al 58mo Festival di Cannes (2005)

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04 ottobre 2005
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