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NON E' UN PAESE PER GIOVANI

L'Italia invecchia e il sistema di potere lascia poco spazio alle nuove generazioni

21 marzo 2009

"L'Italia è un paese vecchio: si vive più a lungo e si fanno meno figli. Tuttavia, la società italiana sta invecchiando non solo per motivi demografici, ma anche perché il sistema di potere lascia poco spazio alle nuove generazioni. I meccanismi di formazione e di selezione delle e'lite sono infatti caratterizzati da una bassa capacità di ricambio e da una pronunciata longevità grazie alla pervicacia con la quale la classe dirigente nostrana difende le posizioni acquisite".
Lo afferma una ricerca del Cnel, in collaborazione con Unicredit Group, presentata nei giorni scorsi a Roma, con il titolo "Urg! Urge ricambio generazionale".

L'indagine ha preso in considerazione quattro ambiti, ovvero il mercato del lavoro, la politica, l'università, le libere professioni.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro
la ricerca sottolinea anzitutto che il fatto che "stando ai dati dell'Istat la trasformazione delle collaborazioni in contratti a tempo indeterminato non è affatto la norma: il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 erano assunti con un contratto di collaborazione, a distanza di un anno erano ancora nella stessa posizione. Il passaggio al lavoro dipendente è diventato realtà solo per un giovane collaboratore su cinque (22,6%); peraltro questo passaggio per circa la metà dei neodipendenti ha significato accontentarsi di un contratto a tempo determinato. In pratica, nell'arco di un anno, solo un collaboratore su dieci è entrato a pieno titolo nel mondo del lavoro standard, ottenendo un contratto a tempo indeterminato".
Insomma, "le carriere si allungano e chi ha un percorso lavorativo molto frammentato ogni volta è costretto a ricominciare dalla base della piramide, rimanendo di fatto escluso dalle posizioni di vertice. Ecco emergere un altro tratto del sistema italiano: l'assunzione di posizioni di rilievo dipende dall'esperienza lavorativa, intesa semplicemente in termini di anzianità aziendale, a prescindere dai livelli di produttività e delle competenze di ciascuno". Non a caso, quindi, secondo la ricerca del Cnel, "considerando le posizioni dirigenziali del lavoro dipendente, si nota che in dieci anni il contributo dei giovani all'interno dei ruoli direttivi passa dal 9,7% al 6,9%, tra i quadri invece dall'17,8% del '97 si scende al 12,3% dello scorso anno. Lo stesso andamento si rileva anche tra i liberi professionisti: in dieci anni diminuiscono anche i giovani imprenditori (dal 22% al 15%) e i giovani impegnati nelle libere professioni passano dal 30% al 22%".
Accanto al precariato, "crescono di circa 200mila unità i giovani inattivi, cioè ragazzi che non lavorano e non cercano lavoro. All'interno di questo grande gruppo (in totale si tratta di sei milioni di persone), oltre agli studenti e alle casalinghe, sono presenti anche persone che hanno già avuto una qualche esperienza lavorativa".

Le cose non vanno meglio, secondo il rapporto del Cnel, nel mondo della politica: "dal 1992 ad oggi i deputati under35 non hanno mai raggiunto la soglia del 10% degli eletti alla Camera, fatta eccezione per la XII Legislatura (1994-1996 - 12,4%)". E malgrado "gli annunci e le candidature estemporanee nelle ultime elezioni di alcuni ventenni, non si è materializzato il paventato ricambio anagrafico". Quanto al perché gli under35 sono una rarità in Parlamento, il rapporto del Cnel sottolinea che "i giovani non hanno gareggiato ad armi pari nella competizione elettorale. Con l'abolizione delle preferenze, i partiti riescono a pilotare meglio il processo di selezione della classe dirigente: per blindare un candidato è sufficiente collocarlo nelle posizioni apicali delle liste elettorali. Il problema è che i giovani non godono, quasi mai, di questo privilegio".

Note dolenti anche nelle università. In base agli ultimi dati messi a disposizione dal ministero dell'Istruzione, dell'Universià e della Ricerca "l'età media dei docenti universitari è di 51 anni. Tuttavia, il dato non dà a pieno la misura della deriva gerontocratica dell'università italiana. Se, infatti, si considerano solo gli ordinari, i docenti all'apice della carriera, l'età media raggiunge i 59 anni. Nel dettaglio la metà dei professori di prima fascia ha superato i 60 anni e circa 8 docenti su cento (7,6%) hanno compiuto 70 anni". Il progressivo invecchiamento della popolazione accademica "è un fenomeno che si è accentuato nell'ultimo decennio. E' sufficiente fare un semplice confronto dell'età dei docenti nel 1997 e alla fine del 2007: mentre dieci anni fa la classe più consistente da un punto di vista numerico era costituita dai docenti con un'età compresa tra i 46 e 50 anni, al momento attuale, la classe modale sia rappresentata dai docenti 56-60enni con l'assoluta marginalità degli under35".
Nel giornalismo i "giovani sono costretti ad attraversare un vero e proprio limbo esistenziale, fatto di lavoro non riconosciuto e di formazione che in realtà lavoro. Per i più stage, tirocini gratuiti e condizioni di estremo precariato o sotto-occupazione si susseguono senza soluzione di continuità fino a oltre 40 anni. L'età media degli iscritti alle diverse categorie professionali la dice lunga circa la lunghezza dei tempi che si prospettano a quanti decidono di intraprendere la professione del giornalista. Se, infatti, l'età media dei giornalisti professionisti è di 54 anni, i pubblicisti non sono certo molto più giovani (52 anni). Anche l'età media dei praticanti, 36 anni, è decisamente elevata rispetto a quella che dovrebbe essere l'età di chi si affaccia al mondo del lavoro".

Nel campo della medicina, poi, "quella dei favoritismi e delle raccomandazioni è una pratica dura a morire anche in campo medico", accusa il rapporto. Una conferma di quanto sia lungo l'iter per diventare medici la dà il dato sull'età dei medici iscritti all'Albo professionale nel 2007: "i medici con non più di 35 anni sono poco meno del 12%".
Peculiare è poi la situaziune nell'avvocatura: "La percentuale di under35 iscritti all'Albo degli avvocati è tutt'altro che irrilevante, essendo quasi un terzo del totale (27,8%). La maggior parte di essi esercita nelle regioni del Sud (43,5%) dove, probabilmente, le scarse opportunità lavorative incoraggiano i giovani a 'crearsi' delle opportunità, magari intraprendendo la strada della libera professione. Nel mondo dell'avvocatura la questione giovanile non è tanto legata all'accesso alla professione, ma piuttosto alle condizioni lavorative in cui versano i giovani professionisti e alle difficoltà che questi incontrano ad affermarsi in un mercato nel quale i grandi studi e i nomi di grido lasciano ben poco spazio alle nuove leve".
Diverse le problematiche nel notariato che è "una professione elitaria per definizione, cui hanno accesso solo 4.726 persone. "Addirittura - evidenzia il rapporto del Cnel - i giovani sono talmente pochi che, nei dati pubblicati dal Consiglio Nazionale del Notariato, la soglia più bassa per le diverse classi d'età è fissata a quarant'anni. Gli under40 sono, infatti, solo 766 (il 16,2% del totale). Ai notai attualmente in esercizio andrebbero aggiunti altri 168 notai, freschi di nomina, di cui ben 125 non hanno più di 35 anni; tale aggiornamento porterebbe la quota dei notai under40 al 19% del totale. Anche se teoricamente l'accesso al notariato è aperto a tutti, con l'83,8% di professionisti over40, i notai si confermano dunque essere una categoria chiusa, quantomeno ai giovani, tanto più se non sono 'figli d'arte'. Questi ultimi sono infatti il 17,5%". [Adnkronos/Ign]

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21 marzo 2009
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