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Non è un partito per vecchi gattopardi...

La Direzione nazionale del Pdl ha approvato a maggioranza il documento finale di Silvio Berlusconi

23 aprile 2010

Quanto è successo ieri nella prima parte della Direzione nazionale del Pdl tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini oramai lo sanno tutti (LEGGI), e francamente non abbiamo voglia di tornarci nuovamente. Quello che ci interessa adesso è vedere come è finita la giornata e quali decisioni sono state prese dal Popolo delle libertà durante il loro congresso, definito da tutti "giorno della verità".

Dunque, dopo le scintille, le accuse, le urla e gli "spettacolini" abbastanza vergognosi per i due "padri fondatori" del Pdl, la direzione nazionale del partito ha approvato a maggioranza il documento finale di Berlusconi: solo 11 voti contrari (Donato Lamorte, Carmelo Briguglio, Pasquale Viespoli, Adolfo Urso, Italo Bocchino, Andrea Augello, Flavia Perina, Fabio Granata, Silvano Moffa, Salvatore Tatarella, Cesare Cursi) ed un astenuto. Gli aventi diritto al voto alla Direzione nazionale sono 172. Ieri sera, il ministro delle Politiche europee, Andrea Ronchi, ha fatto sapere di aver votato contro il documento facendo salire a 12 i 'no' rispetto agli 11 annunciati dal coordinatore Denis Verdini.
"Il documento finale della Direzione nazionale era inaccettabile", ha commentato Donato Lamorte, tra i 12 parlamentari vicini a Gianfranco Fini e membri della direzione nazionale del Pdl che hanno votato contro spiegando che "la direzione è formata da 172 persone, di cui 17 sono ex di An".
Fabio Granata
, deputato "finiano", ha detto che avrebbero dovuto votare contro in 18, ma in sette non erano presenti. "Non penso ci sia stato un motivo politico, si vede che hanno visto come è andata la Direzione e dunque si sono allontanati" ha spiegato il deputato siciliano lasciando la Direzione del Pdl. "Non conta essere in 11 o in 18 - ha aggiunto - conta che quanto è accaduto sia sotto gli occhi dell'opinione pubblica". "Siamo soddisfatti per come è andata - ha detto ancora -, abbiamo ribadito le nostre posizioni: non si può pensare a un grande partito dove non c'é dibattito sulle grandi questioni come l'immigrazione o la cittadinanza".

Nel documento si legge: "Le correnti negano la natura stessa del Popolo della Libertà". "La Direzione Nazionale sottolinea la vittoria del centrodestra con un risultato storico" dove "il centrodestra si è confermato maggioranza nel Paese" e "tutto ciò è paradossale per alcuni aspetti della polemica interna" e "certe polemiche pubbliche pretestuose". E' quanto recita il documento conclusivo della Direzione Nazionale del Pdl letto da Maurizio Lupi. "Una volta assunta una decisione negli organi democratici" del Pdl "tutti si adeguano alla decisione".
In un altro dei passaggi del documento si legge: "Una forte e autorevole leadership, quale è quella assicurata dal presidente Berlusconi, garantirà il raggiungimento" degli obiettivi prefissati. "La leadership forte - continua il testo - è ormai un tratto caratteristico dei moderni sistemi politici e gli italiani non rimpiangono certo le leadership deboli e i governi deboli del passato". "Del resto - si legge ancora - i risultati elettorali ne sono una conferma e la stabilità rafforza altresì il prestigio internazionale dell'Italia. Una leadership forte non significa affatto rinunciare al dibattito libero e democratico che è anzi previsto dallo statuto ed è testimoniato sia dalle innumerevoli iniziative politico-culturali, dal grado di libertà che connota il dibattito interno nelle sedi delegate e nelle riunioni dei gruppi parlamentari; sia dall'esistenza di fondazioni, riviste, centri di riflessione e di elaborazione".
"Tutte le scelte politiche, anche quelle che hanno riguardato le candidature per le elezioni regionali e l'alleanza con le altre formazioni politiche, sono state compiute dall'ufficio di presidenza attraverso un dibattito aperto e libero". "In un grande partito democratico - si legge ancora nel testo - si deve poter discutere di tutto, ma a due condizioni: che non si contraddica il programma elettorale votato dagli elettori e che, una volta assunta una decisione negli organi deputati, tutti si adeguino al risultato del voto".
"Il Popolo della libertà - continua il documento - non può contravvenire ai principi di quella democrazia degli elettori che ha fortemente voluto e che impone che il patto stipulato con i cittadini al momento del voto sul programma sia vincolante. Rispetto a quel patto non sono possibili deroghe: come è stato ribadito anche a piazza San Giovanni lo scorso 20 marzo dal Popolo della libertà''. "Così come - prosegue il documento - non sono possibili deroghe rispetto alla nostra Carta dei valori che è la stessa della grande famiglia del Partito popolare europeo e che enuncia i nostri valori fondamentali che sono: la dignità della persona, la libertà e la responsabilità, l'eguaglianza, la giustizia, la legalità, la solidarietà e la sussidiarietà". "I temi che non rientrano nel programma elettorale e di governo possono essere invece oggetto di dibattito e di discussione nell'ambito degli organismi statutari. Non vi è nulla di negativo se in quella sede emergono opinioni diverse. Purché sia chiaro a tutti che il principio della democraticità del dibattito non esonera dalla responsabilità di assumere decisioni finali. E che una volta che tali decisioni siano state assunte, all'unanimità o a maggioranza, acquistano carattere vincolante per chiunque faccia parte del Pdl, sia che le abbia condivise, sia che si sia espresso in dissenso". "In tal senso questa Direzione nazionale dà mandato al presidente e ai coordinatori di assumere ogni iniziativa utile ad assicurare la realizzazione del programma e delle decisioni assunte dagli organi statutari, stabilendo il rispetto delle decisioni votate democraticamente".
"Non siamo un vecchio partito. Non vogliamo dividere ma unire - si legge ancora -. Siamo al servizio del popolo italiano e del suo bene comune. Le ambizioni dei singoli non possono prevalere sull'obiettivo di servire il popolo italiano. Del pari le 'correnti' o 'componenti' negano la natura stessa del Popolo della libertà ponendosi in contraddizione con il suo programma stipulato con gli elettori e con chi è stato dagli stessi elettori designato a realizzarlo attraverso il governo della Repubblica".
"Quando gli italiani che amano la libertà, che vogliono restare liberi, che non si riconoscono nella sinistra, si riunirono sotto un solo simbolo e una sola bandiera, scelsero - prosegue il testo - che su quel simbolo e su quella bandiera ci fosse scritto 'Popolo della libertà' e non 'Partito della libertà'. Il riferimento al 'popolo' deve quindi essere un principio costante dell'azione politica del Popolo della libertà che deve sempre più radicarsi sul territorio e incardinarsi nella storia d'Italia".

Al di la di tutti i contenuti del documento approvato, al di la del segno che la giornata di ieri ha potuto lasciare nell'animo di ogni singolo presente alla direzione generale, Gianfranco Fini non ha intenzione di lasciare la presidenza della Camera. "Non ho nessuna intenzione di dimettermi dalla presidenza della Camera. Né tantomeno di lasciare il partito". La circostanza delle dimissioni potrebbe verificarsi "solo qualora - ha spiegato - qualcuno potesse dimostrare che il presidente della Camera non si attiene all'imparzialità nella conduzione dei lavori". "Oggi è un giorno importante per il Popolo della Libertà - ha aggiunto infine -: viene meno la fase dell'unanimismo o della totale convergenza e si apre una positiva e democratica fase di discussione". Per Fini, ora "c'è una minoranza interna, di tipo politico culturale che supera la vecchia divisione tra Alleanza nazionale e Forza Italia". Il presidente della Camera ha quindi sottolineato di ritenere di avere "pieno diritto nell'ambito del partito che ho contribuito a fondare di porre questioni politiche".

E quindi, cosa succederà adesso? Secondo Umberto Bossi "siamo davanti a un crollo verticale del governo e probabilmente di un'alleanza, quella di Pdl e Lega. Fini, invidioso e rancoroso per le nostre ripetute vittorie ha rinnegato il patto iniziale e non ha fatto altro che cercare di erodere in continuazione ciò che avevamo costruito". Il leader del carroccio, in un'intervista concessa alla Padania, ha definito il presidente della Camera "un vecchio gattopardo democristiano" e ha aggiunto che Berlusconi "avrebbe dovuto sbatterlo fuori subito senza tentennamenti invece di portarlo in tv dandogli voce e rilievo".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa]

 

 

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23 aprile 2010
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