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Non seppellite la Verità!

Rischia l'archiviazione l'inchiesta sull'assassinio del giornalista Mauro Rostagno, ucciso a Trapani da...

05 gennaio 2006

«Ti rivedo sulla strada per Pizzolungo, appoggiato al cippo che ricorda le vittime dell'attentato a Carlo Palermo. Dolcemente in posa per la fotografia, con quel lampo di profonda solitudine negli occhi. In quell'attimo m'eri sembrato improvvisamente vecchio e stanco: forse c'erano molte cose da raccontare, quella lapide di bronzo e le troppe rivoluzioni mancate, i giudici e i reduci, i morti, le follie, i rimpianti? Ma non ne avremmo avuto il tempo: solo un'ultima foto, la macchia bianca della tua camicia, il mare di Trapani color piombo, questo lieve sentore di alghe marce nell'aria» - Claudio Fava -

La sera del 26 settembre del 1988, Mauro Rostagno fu ucciso a colpi di fucile.
Era torinese di nascita ma trapanese d'adozione e di morte. Trapani, la città a cui si era dedicato, dopo anni di attività sociale, lo uccise in una buia serata di settembre.
Dopo essere stato il leader carismatico del movimento studentesco trentino, aver co-fondato Lotta continua a Torino, e aver abbracciato il credo del Baghwan in India, Mauro Rostagno si ritirò in Sicilia, e vicino a Trapani fondava ''Saman'', una comunità per il recupero dei cosiddetti tossicodipendenti.
A Trapani, inoltre, da una piccola emittente televisiva locale (RTC), Rostagno inventatosi giornalista, denunciava il malaffare della provincia, con uno stile ironico e pungente e facendo nomi e cognomi dei mafiosi e dei collusi con la mafia, spesso insospettabili o persino rappresentanti della amministrazione pubblica. Lo faceva senza paura.
La popolazione locale imparò subito ad apprezzare ''i programmi'' di quel loro concittadino venuto dal Nord.

La buia sera del 26 settembre, Mauro Rostagno veniva freddato nelle campagne di Lenzi, un borgo tra la montagna solitaria e un mare dove in lontananza sembra quasi affondare la città di Trapani.
Sin dall'inizio la stampa suffragò la pista mafiosa, ma in seguito gli inquirenti ritennero che il delitto fosse maturato all'interno della comunità stessa. Si disse anche che ad armare la mano di qualche giovane ospite di Saman fosse stato Francesco Cardella, proprietario della struttura della comunità che aveva usato per i suoi loschi traffici, appoggiato dalla dirigenza dell'allora imperante PSI, e i cui interessi nel traffico di tangenti, armi e droga potevano essere stati scoperti da Rostagno. Qualcuno disse che la regia e/o la complicità nel delitto, potessero essere attribuiti a qualche ex Lc, alla vigilia della imprevedibile deposizione di Rostagno al processo Calabresi, oramai chiuso.
Ipotesi, solo ipotesi che negli anni sono state via via escluse. Negli anni è caduta la ''pista interna'' alla comunità Saman, dove Mauro Rostagno viveva con la sua compagna Chicca Roveri in mezzo a tossici che trafficavano. Sepolta per sempre l'ipotesi ''rossa'', qualcuno di Lotta Continua mandante dell'omicidio alla vigilia di un interrogatorio del processo Calabresi. Sfumati i forti sospetti sugli 'affari' internazionali del guru Francesco Cardella e della sua corte. Sempre più nebulose e incerte le ipotesi sulla compravendita di armi pesanti e anche quelle sul riciclaggio dei soldi di Tangentopoli.

Dalla fine degli anni '90, che il ''delitto Rostagno'' fosse l'ennesimo omicidio di mafia era rimasta l'ultima ipotesi. Quel giornalista ''tanto speciale'', barbuto, simpatico e con la camicia bianca, era stato l'ennesimo giornalista ucciso dalla mafia. Perché in Sicilia ci furono anni nei quali fare il giornalista era pericoloso tanto quanto fare l'artificiere.
Assassinato per volere del boss Vincenzo Virga, un mago in materia di appalti, con le mani in pasta nella politica, che è buon amico dei potenti della città più 'svizzera' dell'isola, la Trapani delle cento banche e delle mille finanziarie.
''E' stato lui a organizzare tutto... dopo che i suoi amici di Mazara del Vallo gli chiesero la cortesia di farlo fuori perché stava sulle scatole a Mariano Agate... non sopportavano Rostagno per i commenti che faceva ogni giorno dalla sua televisione... dissero a Virga di uccidere Rostagno, toccava a lui perché Trapani era il suo territorio''. Questo aveva confessato nel 1997 il pentito Vincenzo Sinacori ai magistrati. Da allora si sviluppa per la prima volta l'investigazione verso Cosa Nostra. L'inchiesta è trasferita: da Trapani alla Procura antimafia di Palermo. Si ricominciò tutto daccapo. Un'altra volta. Dopo i depistaggi, le 'dimenticanze', le frettolose archiviazioni, le sbandate investigative, gli errori giudiziari, il 'caso' finisce in mano del sostituto procuratore Antonio Ingroia.

Negli anni dell'omicidio Rostagno ne hanno parlato i pentiti Francesco Marino Mannoia, Francesco Milazzo, Giovanni Brusca. Nel fascicolo sulla morte mafiosa del giornalista entra alla fine anche il racconto di Angelo Siino, il famoso ministro dei Lavori pubblici della mafia siciliana. Siino racconta ai magistrati che lo sapeva anche lui di Cosa Nostra e del 'problema' che i suoi capi avevano a Trapani. Il ricordo di Siino è proprio alla vigilia del delitto: ''Mi sono mosso per salvarlo, non volevo che si facesse troppo rumore con quell'omicidio...''.

Delitto di alta mafia a carico di ignoti. E' questo ancora oggi l'omicidio di Mauro Rostagno, che si trova ad un passo dall'archiviazione per scadenza dei termini.
A 17 anni dall'omicidio la sorella di Mauro, Carla Rostagno, ha chiesto ad Antonio Ingroia e al giudice Marcello Viola, i magistrati palermitani eredi dei 34 faldoni trasmessi dai loro colleghi trapanesi, d'indagare ancora.''L'inchiesta ha troppi vuoti, ci sono testimoni mai ascoltati e reperti mai cercati...''.
E' il giallo delle registrazioni di Mauro Rostagno che non hanno mai trovato. Registrazioni che sono scomparse subito dopo l'omicidio e che Rostagno teneva sempre nella sua borsa. Poi ne sono sparite altre, in più circostanze. In quelle cassette ci potrebbe essere, forse, il movente di uno dei grandi delitti siciliani, un altro di quei casi ''a carico di ignoti''.
Le prime sono quelle che suo fratello non lasciava mai dalla fine di quella primavera del 1988. ''Pressappoco dai giorni in cui parlò con il giudice Falcone'', ricorda la sorella Carla. Una era una cassetta audio e l'altra era una cassetta video con su scritto ''Non toccare''. Qualcuno sospetta che su quei nastri ci siano le immagini di un traffico d'armi, un filmato girato segretamente tra il giugno e il settembre dell'88 all'aeroporto abbandonato di Kinisia, che è a qualche decina di chilometri da Trapani. Probabilmente quelle cassette le hanno prelevate i killer.

Ma ce ne sono altre quattro che non si trovano più. Sono quelle che Caterina Bulgarella, l'editrice di RTC - la televisione che Mauro dirigeva - consegnò tre settimane dopo ai carabinieri di Trapani. Agli atti dell'inchiesta questi nastri non ci sono. Nessuno ne conosce il contenuto. E nessuno ha mai chiesto a Caterina Bulgarella se lei avesse visto o meno quei filmati.
Nella lista delle cassette mai arrivate all'autorità giudiziaria c'è anche un'intervista concessa alla Rai (e mai trasmessa) da Alessandra Faconti, una ragazza della comunità di Saman che era molto vicina a Mauro. Il regista la consegnò sempre ai carabinieri ma dalla caserma non arrivò mai in tribunale. Un maresciallo ricordò inizialmente di averla ricevuta, in un secondo tempo precisò ''che era stata
consegnata ma non direttamente a me''.
Tanti ''buchi'', tanti reperti introvabili. Come quelle bobine, le intercettazioni telefoniche ordinate qualche mese dopo il delitto sulle utenze della comunità Saman gestita da Francesco Cardella. Sparite alcune conversazioni.

Elementi buoni affinché l'inchiesta non venga chiusa, dice Carla Rostagno, che ha deciso di chiedere un'altra indagine dopo un viaggio a Trapani, per riprendersi quasi 3 mila videocassette sepolte in un magazzino, dove c'era RTC. Tutti gli interventi di suo fratello. Videocassette lasciate  a marcire per troppi anni e ritrovate da una studentessa che sta preparando una tesi sul ''caso Rostagno e la stampa''.
Ma come finirà l'inchiesta? ''Sono pronto a riprenderla se il gip dovesse ordinare nuovi accertamenti, mi sono fermato per la scadenza dei termini'', spiega il sostituto Ingroia. Dopo 17 anni forse si ricomincerà a indagare, come capita spesso in Sicilia quando in troppi vogliono la morte di qualcuno.

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05 gennaio 2006
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