Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Non si devono dimenticare gli Eroi

All'indomani delle commemorazioni in Via D'Amelio e al messaggio del ''capo dei capi''...

20 luglio 2009

"Esempio di abnegazione fino all'estremo sacrificio nella lotta contro le forze del crimine, della violenza, dell'anti-Stato". Questo l'omaggio alla memoria del giudice Paolo Borsellino, di cui ieri è ricorso il 17simo anniversario del suo assassinio, quella strage di Via D'Amelio che il 19 luglio 1992 vide morire il giudice insieme ai cinque agenti della sua scorta, del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "Eroe della legalità" per il presidente del Senato, Renato Schifani. "Una figura che scuote le coscienze e rappresenta un perenne simbolo di eroismo, sensibilità istituzionale, etica della legalità e della libertà" per il presidente della Camera Gianfranco Fini.
Insomma, le alte cariche delle istituzioni si sono "ricordate" del giudice Borsellino. Meno se lo sono ricordati i palermitani.
Il comitato organizzatore, tra cui l'associazione di 'Ammazzateci tutti', ieri aveva invitato gli abitanti di via d'Amelio, dove abitava anche la madre del giudice, a esporre lenzuola e manifesti per ricordare Borsellino, ma gran parte delle finestre è rimasta chiusa. Solo poco meno di cento persone hanno preso parte alla manifestazione.
"Dove sono finiti i palermitani che il giorno del funerale di mio fratello gridavano 'Paolo, Paolo'? Palermo ha purtroppo dimenticato la promessa fatta a Paolo proprio il giorno del suo funerale". Queste le parole di Salvatore Borsellino, fratello del giudice e organizzatore di alcune delle manifestazioni di ieri . "Il problema - ha detto - è l'indifferenza. Oggi si è dimenticata la memoria dopo l'iniziale risveglio delle coscienze dopo la strage. A parte il comitato organizzatore mancano i cittadini comuni. Avrei sperato che i cittadini pelermitani si svegliassero ma così non è stato".

Una cerimonia commemorativa per ricordare il giudice e i suoi 'angeli custodi' si è tenuta alla Caserma 'Lungaro' di Palermo. Corone di fiori sono state deposte dalle autorità sulla lapide nella sezione scorte che ricorda tutti gli agenti di polizia uccisi da Cosa nostra. Presente alla cerimonia, tra gli altri, il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Sulla strage di via D'Amelio "cerchiamo la verità", ha ribadito Grasso. Parlando dell'ipoesti di riapertura delle indagini sulla strage, l'ex capo del pool antimafia di Palermo ha spiegato: "Sono ipotesi e le ipotesi devono necessariamente essere riscontrate. La verità passa anche attraverso filoni investigativi che però vanno verificati''. Grasso ha ricordato poi: "Pochi giorni prima che lo uccidessero, Borsellino mi disse che molti amici l'avevano invitato a lasciare tutto, ad andar via. Lui però rimase. Non se la sentiva, non voleva tradire le aspettative dei tanti che avevano fiducia in lui e nel suo lavoro. E' proprio questo il messaggio di Paolo: non mollare mai e fare il proprio lavoro, anche sapendo che si va incontro alla morte, è quello che più mi è rimasto dentro". E ha concluso: "Questa lezione ispira tutta la mia vita. Io vado avanti sempre".

A "ricordarsi" del giudice Borsellino anche il capo dei capi di Cosa Nostra, Totò Riina, che ha indicato lo Stato come responsabile delle stragi degli anni '90. Per la prima volta dalla sua cattura, avvenuta il 15 gennaio del 1993, il boss ha rotto il silenzio incaricando il suo avvocato, Luca Cianferoni, di rendere pubblico il suo pensiero sulle stragi mafiose e sugli attentati avvenuti nel 1992 e nel 1993 in Italia. "Non guardate sempre e solo me, guardatevi dentro anche voi", Borsellino, dice: "L'ammazzarono loro", gli uomini di Stato.
Le dichiarazioni affidate al legale sono state riportate ieri  dal quotidiano 'La Repubblica' (LEGGI).

"Mi ha dato incarico di far sapere fuori, senza messaggi e senza segnali da decifrare, cosa pensa - ha spiegato Cianferoni -. Lui è stato molto chiaro. Mi ha detto: 'Avvocato, dico questo senza chiedere niente, non rivendico niente, non voglio trovare mediazioni con nessuno, non voglio che si pensi ad altro. Insomma, il mio cliente sa che starà in carcere e non vuole niente. Ha solo manifestato il suo pensiero sulla vicenda stragi".
Il legale ha assicurato che Riina, condannato in Cassazione per gli omicidi di Falcone e Borsellino, non si aspetta di trarre beneficio da queste sue rivelazioni: "Mi ha ripetuto più volte: avvocato parlo sapendo bene che la mia situazione processuale nell'inchiesta Borsellino non cambierà, fra l'altro adesso c'è anche Gaspare Spatuzza che sta collaborando con i magistrati quindi...". "Pensa che la sua posizione rimarrà quella che è e che è sempre stata, non si sposterà di un millimetro - ha insistito l'avvocato -. Ma questa mattina ha voluto dire anche il resto. E cioè: non guardate solo me, guardatevi dentro anche voi".
A proposito della trattativa, il boss sostiene di essere stato "oggetto e non soggetto". "Lui - ha continuato l'avvocato - sostiene che la trattativa è passata sopra di lui, che l'ha fatta Vito Ciancimino per conto suo e per i suoi affari e insieme ai carabinieri: e che lui, Totò Riina, era al di fuori. Non a caso io, come suo difensore, proprio al processo per le stragi di Firenze già quattro anni fa ho chiesto che venisse ascoltato Massimo Ciancimino in aula proprio sulla trattativa. Riina voleva che Ciancimino deponesse, purtroppo la Corte ha respinto la mia istanza".

Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Igroia ha commentato così l'uscita clamorosa del padrino di Corleone: "Fino ad ora Riina aveva lanciato  messaggi sibillini e vaghi. Adesso mi pare che faccia dichiarazioni precise. Se questo vuol dire che ha intenzione di dare un contributo alla scoperta della verità sulle stragi, sappia che l'autorità giudiziaria, senza pregiudizi o inviti alla collaborazione, è pronto ad ascoltarlo".
Su chi sia il destinatario del messaggio lanciato da Riina, Ingroia ha detto: "Non voglio entrare nel merito della vicenda, certamente non si riferiva all'autorità  giudiziaria. Se avesse voluto parlare con i magistrati avrebbe scelto altri canali"
Non crede alle rivelazioni tardive del boss, Salvatore Borsellino. "Quello che Riina manda dal cercere sono messaggi in codice a chi è fuori dalla galera e che sono ancora più responsabili di lui, i mandanti occulti della strage in cui morì mio fratello". "Quelle di Riina - ha continuato il fratello del giudice - sono messaggi ai suoi complici esterni, i mandanti esterni della strage. Sta alzando il tiro, i messaggi li ha sempre lanciati ma adesso è diverso e ritengo che continuerà ad alzare il tiro sempre di più. Riina ha certamente partecipato alla strage di via D'Amelio, ci sono anche collaboratori di giustizia che dicono che alcune cosche erano contrarie all'assassinio subito dopo la stage di Capaci, ma Riina non ne volle sapere e così - ha concluso - ha voluto uccidere anche mio fratello".

Un chiaro invito alla cautela nell'interpretazione del messaggio lanciato da Riina è arrivato da Claudio Martelli, che da Guardasigilli con Giovanni Falcone e Vincenzo Scotti guidò l'offensiva dello Stato contro Cosa Nostra. "Quando sono i mafiosi a chiamare in causa lo Stato credo si debba essere molto prudenti. E' vero che la situazione processuale di Riina probabilmente non cambierebbe, visto che è stato condannato a diversi ergastoli; ma come mai sente il bisogno di parlare ora per escludere le sue responsabilità nella strage di via d'Amelio e accreditare le ultime ricostruzioni?" si chiede Martelli. E sulla storia della trattativa osserva: "E' possibile che vi sia stato qualche azzardo da parte delle forze dell'ordine, ma da qui a imputare loro di connivenza ce ne corre. Come pure ci penserei un milione di volte prima di imputare all'allora ministro dell'Interno responsabilità di questa natura", dice riferendosi alla chiamata in causa da parte di Riina dell'attuale vice presidente del Csm Nicola Mancino

Massimo Ciancimino: "Pronto ad un confronto con Riina"  - E' disposto a sottoporsi ad un confronto col boss Totò Riina; nega di essere un pentito, anzi prende le distanze da collaboratori storici come Giovanni Brusca "colpevole di avere ucciso bambini"; dice di avere paura del padrino di Corleone.
Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, parla col massmediologo Klaus Davi conduttore del programma KlausCondicio in onda su You Tube dopo le rivelazioni fatte da Riina al suo legale.
Il boss ha smentito di avere avuto un ruolo nella strage in cui morì il giudice Borsellino e ha fatto il nome di Ciancimino e del padre, indicandoli come protagonisti della trattativa che le cosche avrebbero fatto con pezzi dello Stato per porre fine alla strategia stragista.
"Credo che sia venuto il momento di smetterla coi messaggi cifrati e in codice e di affrontare le questioni in modo diretto. - dice Ciancimino jr. - Dopo che avrà parlato con i magistrati, io sono disponibile a un confronto con Riina per fare luce sui fatti avvenuti e fugare ogni dubbio".
"Il mio collaborare, anche se la parola non mi piace, - prosegue - è un limitarsi a rispondere a tutte le domande che mi sono state fatte. Io non cerco impunità, sia chiaro". "Mi dicono: 'sei un pentito come Brusca'. - aggiunge - Io messo sul piano di quell'assassino che ha fatto una strage, ha ucciso un bambino e voleva ammazzarmi".
Sulla trattativa poi conferma quanto detto ai magistrati di Palermo e cioè che il padre, che aveva contatti con gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno, chiese a fonti che Ciancimino non rivela "se i due soggetti avessero una copertura politica ad alto livello perché se no non li avrebbe ricevuti. Nel momento in cui da questi canali ha avuto questo tipo di rassicurazioni è andato avanti". "E da allora - prosegue - si passò alla seconda fase della trattativa di cui non posso parlare".
Un "no comment" alla domanda se abbia consegnato ai magistrati il cosiddetto papello con le presunte richieste di Riina allo Stato chiude la conversazione.

"Il papello? Ciancimino non ce l'ha dato, se ce lo vuole consegnare siamo qui. Certo non possiamo torturarlo per averlo". Lo ha detto il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari a margine delle commemorazioni per la strage di Via D'Amelio.
Sempre riferendosi a Massimo Ciancimino, che ha annunciato che avrebbe consegnato ai pm il cosiddetto papello, il documento che conterrebbe le richieste fatte dalla mafia allo Stato tra le stragi di Capaci e via D'Amelio, Lari ha aggiunto: "Siamo pronti a parlare con Ciancimino che non è un pentito, ma un imputato di reato connesso" (Ciancimino jr è stato condannato per il riciclaggio del denaro del padre a 5 anni e 4 mesi).

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, La Siciliaweb.it, Ansa.it, Rainews24.it]

- "Patto con la mafia, lo Stato disse subito no" di F. Viviano e A. Bolzoni

- Misteri, veleni e «mandanti» di Giovanni Bianconi

- "Riina vuole depistare" di Guido Ruotolo

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

20 luglio 2009
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia