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Nuova ipotesi sull'omicidio di Pio La Torre

Il procuratore nazionale antimafia cita il pentito Mannoia e avanza nuove ipotesi sull'assassinio del parlamentare del Pci

04 novembre 2009

Nell'omicidio di Pio La Torre, (avvenuto a Palermo il 30 aprile 1982) parlamentare del Pci, e padre della legge che ha introdotto il reato di mafia e il sequestro dei beni mafiosi firmata insieme all'allora ministro Dc Virgilio Rognoni, oltre alla mano di Cosa nostra potrebbe esserci anche l'apporto di "elementi esterni" non estranei al sistema del potere politico dominante in Sicilia all'epoca.
L'affermazione è del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, intervenuto alla presentazione - nella sede della Rai di viale Mazzini - della puntata di 'La Storia siamo noi' che andrà in onda su Rai Storia la prossima domenica e che è dedicata alla figura di Pio La Torre.

Il procuratore nazionale ha fatto riferimento alle parole del pentito Francesco Marino Mannoia. In particolare Grasso ha ricordato che Mannoia, a proposito dell'uccisione di Pio La Torre nella quale, venne colpito a morte anche il suo autista Rosario Di Salvo, disse, in sostanza, che l'esponente del Pci fu ucciso per la sua azione politica di contrasto e non fu ucciso in quanto uomo politico. "Se tutti quelli che fanno politica dovessero essere ammazzati - ha detto Grasso riferendo le parole di Mannoia - allora dovremmo sterminare l'umanità". Grasso ha spiegato queste affermazioni del pentito dicendo che, in questo modo, Mannoia "ammetteva la possibilità che ci fossero elementi esterni nella decisione di uccidere La Torre, ma non ne aveva le prove. Non dobbiamo dimenticare che i vertici assoluti di Cosa nostra, i quali potrebbero fornire informazioni importanti sulla stagione dei cosiddetti delitti politici della mafia, non hanno fatto la scelta di collaborare con lo stato".

Piero Grasso non è voluto tornare sul tema della trattativa stato-mafia, sul quale è stato interpellato ieri sera durante un'audizione secretata davanti alla Commissione Antimafia, ma ha detto - rispondendo ad una domanda di Giovanni Minoli - che certamente "con l'arresto di Vito Ciancimino, uno degli intermediari della trattativa che riferiva a Totò Riina, si interrompe questo flusso per riprendere la trattativa avevano individuato me come capro espiatorio: uccidermi con un attentato".

Trattativa mafia-Stato: indagato anche Bernardo Provenzano -
Ora nel fascicolo della procura di Palermo, per attentato agli organi costituzionali dello Stato, finisce anche Bernardo Provenzano. L’inchiesta, già archiviata cinque anni fa, che coinvolgeva Totò Riina, Vito Ciancimino e Antonino Cinà, coinvolge anche l’ultimo dei corleonesi. Ne ha dato notizia l’edizione odierna del Giornale di Sicilia. Ma nel mirino del pool coordinato dall’aggiunto antimafia Antonio Ingroia - con i sostituti Di Matteo, Guido e Scarpinato - ci sono anche politici, colletti bianchi ed esponenti delle forze dell’ordine. Fra questi l’ex colonnello del Ros dei carabinieri Mario Mori, già sotto processo a Palermo per favoreggiamento alla mafia, e il capitano Giuseppe De Donno dello stesso reparto.
I due alti ufficiali hanno collocato i contatti con Vito Ciancimino dopo la strage di via D’Amelio, diversamente da quanto affermato dall’ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli e dall’ex direttore degli affari penali, Liliana Ferrara. I due, che saranno risentiti dai magistrati palermitani, hanno parlato della comunicazione che a loro era pervenuta sull'intenzione di Vito Ciancimino di cercare una "copertura politica" per mettere fine alle stragi, collocandola fra le stragi di Falcone e Borsellino.
Anche Massimo Ciancimino - che oggi parlerà ai magistrati della procura di Catania - sarà risentito dai pm. Insieme alla copia del "papello", il figlio di Don Vito ha consegnato ai giudici alcuni nastri del padre contenuti nella stessa cassetta della banca del Liechtenstein.

[Informazioni tratte da La Siciliaweb.it, LiveSicilia.it]

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04 novembre 2009
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