Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Nuove rivelazioni di Giovanni Brusca al processo di Firenze

I rapporti tra mafia e politica, la trattativa, i contatti con Berlusconi e Dell'Utri, Nicola Mancino come "committente finale" del papello di Totò Riina

03 maggio 2011

Il pentito Giovanni Brusca, ha deposto oggi al processo per la strage di via dei Georgofili a Firenze, che vede imputato Francesco Tagliavia, il boss di Brancaccio accusato di aver partecipato all'organizzazione delle stragi mafiose del 1993 a Firenze, Roma e Milano.
Davanti ai giudici fiorentini, l'ex boss di San Giuseppe Jato ha parlato dei rapporti della mafia con la politica, della trattativa, dei contatti con Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, di Nicola Mancino come "committente finale" del papello di Totò Riina.
Il pentito ha sostenuto, prima di tutto, che "nel 1992 Cosa nostra aveva rapporti con la sinistra, con politici locali, con Lima e a livello nazionale con Andreotti".

"Finalmente si sono fatti sotto, gli ho consegnato un 'papello' con tutta una serie di richieste, come ad esempio i benefici per i carcerati". Sono queste le parole che il capo di Cosa nostra, Totò Riina, disse a Giovanni Brusca, nel luglio 1992, 15-20 giorni prima della strage di via D'Amelio a Palermo, dove morì il giudice Paolo Borsellino. "Non l'ho visto (il papello, ndr) ma sapevo quali erano le richieste", ha precisato Brusca.
Alla domanda del presidente della Corte d'Assise d'Appello se Riina gli avesse fatto i nomi delle persone attraverso le quali il 'papello' era stato consegnato alle istituzioni dello Stato, il pentito ha risposto "Riina non mi disse il nome del tramite. Mi fece però il nome del committente finale: quello dell'allora ministro dell'Interno, onorevole Nicola Mancino".
Il pentito ha precisato che è "la prima volta che in dibattimento pubblico" fa il nome dell'ex ministro Mancino come 'referente' della trattativa instaurata da Riina. "Più che una trattativa, io parlo di un'offerta", ha precisato Brusca. Anzi, ricordando anche di aver fatto il nome di Mancino al pm Gabriele Chelazzi, scomparso qualche anno fa, che all'epoca indagava sulla strage di via dei Georgofili a Firenze e in seguito alla Procura di Palermo.
Al presidente della Corte che gli ha chiesto perché non avesse fatto prima il nome di Mancino in un'aula, visto a tutti i processi a cui è stato sottoposto, Brusca ha risposto: "Non per paura", e ha aggiunto tutta una serie di motivi collegati alla "vita pesante" del pentito.

Brusca, nel corso della sua deposizione, ha spiegato anche che la strategia mafiosa decisa dal capo dei capi Totò Riina di "attaccare lo Stato" fu presa dopo il maxi processo istruito da Giovanni Falcone. "La causa di tutto è il maxi processo", ha affermato Brusca.
Al presidente della Corte che gli ha chiesto più volte se la strategia stragista decisa da Riina non fosse da ricondurre al regime del carcere duro inflitto ai mafiosi con l'articolo del 41bis, Brusca ha risposto: "Quello era un fatto momentaneo, entrato in corso d'opera. Ma la causa di tutto, ripeto, era il maxi processo. Del resto, l'attacco cominciò con l'uccisione di Falcone e poi di Borsellino. E se non ricordo male il regime del 41 bis cominciò dopo Borsellino". Tra i motivi che sarebbero stati all'origine dell'aggressione "al cuore dello Stato" ci sarebbero stati, secondo Brusca, "i maltrattamenti nelle carceri, le cosiddette violenze generalizzate" contro i detenuti mafiosi, in particolare quelli che avvenivano nelle carceri di Pianosa e dell'Asinara.
Brusca ha ripercorso anche la trasformazione della strategia mafiosa decisa dalla cupola guidata da Riina, che in un primo momento comprendeva anche "l'uccisione di alcune guardie giurate" nelle carceri dopo che erano giunte segnalazioni di maltrattamenti di detenuti mafiosi. Poi si pensò anche a "azioni dimostrative", come ad esempio, ha ricordato Brusca, "il posizionamento di una bomba a mano nei Giardini di Boboli a Firenze". Quindi si innalzò il livello degli attacchi, decidendo di colpire "anche le opere d'arte".
Brusca ha confermato che l'obiettivo del 'papello' era principalmente "ricattatorio" nei confronti dello Stato. Ha parlato poi di contatti con militari dei carabinieri e "non meglio specificati politici" che sarebbero stati contattati dopo l'estate 1992. Il pentito Brusca ha anche riferito di un successivo incontro con Riina il quale riferì che gli esponenti politici a cui si era rivolto presentando il 'papello' avevano definito "esose, perché erano tante" le richieste per addivenire ad un accordo che avrebbe fermato gli attentati. E a proposito di attentati progettati e non messi in atto, Brusca ha parlato anche di un piano per uccidere l'attuale procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.

Brusca ha parlato anche del presidente del Consiglio e di Marcello Dell'Utri. "Berlusconi e dell'Utri come mandanti esterni delle stragi di mafia, lo ripeto e l'ho sempre detto, non c'entravano nulla". Il pentito ha riferito di aver contattato Silvio Berlusconi nel 1993 attraverso Mangano e Dell'Utri. Nella seconda metà del 1993, dopo un colloquio con Leoluca Bagarella, che aveva preso posto di Totò Riina al vertice della cupola mafiosa, "mandai Mangano a Milano ad avvertire Dell'Utri e, attraverso lui, Berlusconi che si apprestava a diventare premier, che senza revisione del maxiprocesso e del 41 bis , noi avremmo continuato con gli attentati, a buttare le bombe", ha detto. "Mangano - ha aggiunto - tornò dicendo che aveva parlato con Dell'Utri, che si era messo a disposizione". Un altro avvicinamento ci sarebbe stato nel 1994. "Nel 1994, con Bagarella ho un contatto con Dell'Utri, attraverso Mangano", per avere modo di "arrivare" a Silvio Berlusconi, ha detto ancora Brusca nella sua deposizione. A Dell'Utri fu detto che il governo, allora guidato dal centrosinistra, sapeva e che "da lì in poi per avere benefici si era intavolato un altro rapporto politico. Mancino non c'era più". Questo contatto con dell'Utri venne fuori perché Brusca sapeva che Mangano lavorava ad Arcore. A Mangano "chiesi se conosceva Berlusconi e lui disse di sì e che ci saremmo potuti arrivare tramite dell'Utri", contattabile attraverso un uomo delle pulizie di Canale 5. La richiesta era l'allentamento del 41 bis. "Era la fine del 1993 o l'inizio del 1994, dopo la vicenda Contorno", che è nel 1994, ha detto Brusca. Poi ha aggiunto che la trattativa si arenò poco dopo: "Tutto si è bloccato con l'arresto di Mangano". Con le stragi del '93 Berlusconi e Dell'Utri non c'entrano, ha ribadito Brusca, perché la situazione "è collegata al passato". "Non sono i mandanti esterni delle stragi di mafia del 1993" e il loro coinvolgimento come controparte per la criminalità organizzata si sarebbe manifestato subito dopo. "In una conversazione con mio cognato", ha precisato il pentito, "si parlava di Berlusconi e di Dell'Utri quali mandanti esterni delle stragi, io dicevo che non c'entravano niente".

Il pentito ha però raccontato che Marcello Dell'Utri e Vito Ciancimino si sarebbero offerti come tramite tra la mafia e la Lega e un altro soggetto politico. Ciò sarebbe stato riferito a Giovanni Brusca da Totò Riina, dopo l'uccisione del giudice Giovanni Falcone. Fino all'attentato contro Falcone, ha spiegato Brusca, l'obiettivo di Totò Riina era di influenzare il maxi-processo di mafia a Palermo. In seguito, sarebbero subentrati Marcello Dell'Utri e Vito Ciancimino che volevano "portare" a Riina la Lega e un altro soggetto politico, che Brusca dice di non ricordare.
Durante la sua deposizione Brusca ha chiarito che dopo l'uccisione di Salvo Lima e quindi la fine dei contatti con i vecchi referenti di Cosa nostra, la cupola "fino al capodanno del 1993 guidata da Riina" cercò "nuovi canali" per entrare in contatto con "politici locali con riferimenti nazionali a Roma". Ha detto Brusca tra l'altro: "La speranza era di far tornare lo Stato a trattare con noi, come aveva fatto fino al 1992 grazie all'aiuto dell'onorevole Salvo Lima. Lima era sempre disponibile, con lui potevamo contare su favori e accomodamenti. Lima si metteva a nostra disposizione e ci aiutava come porteva". Il parlamentare democristiano Salvo Lima non era l'unico referente perché, ha detto Brusca, "avevamo contatti con altri politici locali con riferimenti nazionali" e a proposito di questi ultimi il pentito ha fatto il nome di Giulio Andreotti.
Brusca ha poi speigato che l'uccisione dell'onorevole Lima - il 20 marzo 1992 - fu decisa perché il parlamentare democristiano "non si era messo a disposizione per il maxi processo". E' precisamente in quella fase lì che Riina cercò nuovi referenti politici.

La replica di Nicola Mancino: "Contro di me una vendetta di Riina" - "Brusca, a Firenze - ha affermato Nicola Mancino - continua a riferire su di me quanto avrebbe appreso da Riina, il quale continua a non parlare. Rilevo che una prima volta Brusca riferisce accuse apprese da Riina alla vigilia di Natale del 1992, mentre oggi parla di una data fra l'uccisione del giudice Falcone e la strage di via D'Amelio (quindi diversi mesi prima)". "Una confusione - sostiene l'ex ministro dell'Interno - che inficia il contenuto delle confidenze di Riina". "In ogni caso, se Riina ha fatto io mio nome è perché da ministro dell'Interno ho sempre sollecitato il suo arresto, e l'ho ottenuto". Mancino, dunque, si è detto convinto si tratti di "una vendetta" nei suoi confronti e ribadisce: "durante il mio incarico al Viminale lo Stato ha combattuto con decisione la mafia ottenendo notevoli risultati. Altro che trattative o ricevere papelli!", ha concluso.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa]

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

03 maggio 2011
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia