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Nuovo inferno Afghanistan

Mentre la sorte di Daniele Mastrogiacomo è ancora incerta, sullo sfondo l'operazione Achille divampa

08 marzo 2007

E' la più grande offensiva congiunta dalla guerra del 2001. L'hanno chiamata ''operazione Achille'':
4.500 soldati della Nato e 1.000 militari afgani, diretti verso il Nord della turbolenta provincia di Helmand, in Afghanistan, in cui è forte la presenza dei talebani.
Obiettivo dell'offensiva, oltre ai ribelli talebani, i trafficati di droga, considerato che nell'area è particolarmente forte la produzione dell'oppio.
E' questa la risposta dell'Alleanza Atlantica (caldeggiata tantissimo dagli Stati Uniti) all'offensiva di primavera annunciata dai Talebani ma che è già iniziata in questi giorni.

Ed è proprio in questo Afghanistan, ritornato ad essere il principale teatro di guerra internazionale, che la vicenda del reporter di Repubblica Daniele Mastrogiacomo si sta consumando, una vicenda complessa e ancora piena di lati oscuri che sta anche rallentando l'iter parlamentare italiano che in questi giorni dovrebbe decidere se rifinanziare la missione italiana in Afghanistan (missione di pace ISAF).
Incertezze e lati oscuri che stanno facendo lievitare la preoccupazione. Secondo il ministero degli Esteri italiano non ci sarebbe ancora nessuna rivendicazione per il sequestro: ''Si stanno esplorando tutti i canali possibili per arrivare al rilascio''. Dunque, il lavoro di tutti i canali diplomatici a Roma e a Kabul e di quelli di intelligence attivati dal governo italiano per cercare di risolvere nei tempi più rapidi possibili il sequestro, continuano senza soste.

Ieri, inoltre, è stato recapitato alla redazione dell'agenzia France Presse un messaggio audio nel quale un uomo che si presenta come il comandante militare dei Talebani nel sud dell'Afghanistan, il mullah Dadullah quindi, dice che Daniele Mastrogiacomo avrebbe confessato di essere una spia al servizio dei britannici. La voce del messaggio, che è ancora al vaglio degli specialisti, fa i nomi di Daniele, ''figlio di Mario... che risiede in Italia'' e dei fratelli ''Ajmal e Ghulam Haidar che abitano a Kabul'', rispettivamente interprete e autista di Mastrogiacomo. Il presunto leader fondamentalista accusa l'Occidente di ''usare due pesi e due misure'' quando si parla di libertà di stampa e il riferimento è a due portavoce dei Talebani catturati nel 2005 e nel gennaio scorso. Sembra così profilarsi l'ipotesi di una richiesta di scambio tra Mastrogiacomo e i due integralisti in carcere: ''prima discuteremo dei media - se devono essere liberi o proibiti - poi decideremo'' del loro destini, ha detto la voce dell'uomo della registrazione. ''Vogliono la libertà di stampa a senso unico, ma noi la rifiutiamo: o è totale o è proibita. Nessuno può accettare che i giornalisti talebani siano in prigione mentre invece quelli occidentali sono liberi''.
Secondo una fonte, nessuna cassetta è stata spedita via corriere, ma si tratta di un file audio inoltrato via e-mail al corrispondente dell'Afp in Pakistan da un collega che ha detto di essere stato contattato dal mullah Dadullah in persona.
La Farnesina è cauta nel commentare tali notizie che potrebbero significare l'apertira di uno spiraglio, e per ora dunque si aspettano gli esiti delle analisi a cui il messaggio è stato sottoposto per accertarne, se possibile, la veridicità.

Intanto, qualcosa si muove sul fronte diplomatico e mediatico. Il sindaco di Roma Veltroni con l'Associazione Stampa Romana ha indetto per oggi una manifestazione per la liberazione di Mastrogiacomo. Alla manifestazione parteciperà la principessa Fatima Zaher, primo consigliere dell'ambasciata afgana in Italia e Qorbanali Esmaeli, presidente della Comunità afgana nel nostro Paese.
Il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, continua a seguire personalmente gli sviluppi della vicenda, in costante contatto con l'Unità di crisi e l'ambasciatore italiano a Kabul, Ettore Sequi.

E ritornando in Afghanistan, riprendendo il discorso dell'inizio, mentre l'inverno imperversa ancora in gran parte della nazione, l'offensiva di primavera è già cominciata.
L'obiettivo dell'operazione Achille è impedire che ''gli studenti di teologia'', i Taliban, si rafforzino troppo e prendano l'iniziativa; tagliando le retrovie logistiche che conducono al poroso confine pachistano del Nordovest, dove la solidarietà pashtun trasforma la frontiera in un luogo della mente dei geografi occidentali più che una barriera capace di fermare la solidarietà etnica transfrontaliera. Ancora una volta, dunque, il problema afgano si chiama pashtun, l'etnia maggioritaria nelle regioni di confine tra i due paesi.
I Taliban sono pashtun; i pashtun sono la maggioranza degli afgani; le popolazioni del Nordovest pachistano sono pashtun. Questa ''equazione senza incognite'' spiega molto del rafforzamento dei Taliban nei cinque anni trascorsi dalla caduta di Kandahar. In realtà i Taliban non sono mai stati sconfitti militarmente; sono solo ripiegati, trovando rifugio nel loro ambiente naturale: una società in cui la religione è soprattutto tradizione locale e l'appartenenza etnica crea una dimensione irriducibile. Sino alla scorsa estate i soldati della Nato non si sono mai spinti al Sud, nelle province di Helmand e Kandahar. Penetrandovi hanno incontrato il vuoto. Il nemico lì pare dissolto e in realtà si è solo mimetizzato. I seguaci del ''comandante dei credenti'', il mullah Omar, sono nelle montagne circostanti o, più semplicemente tra la gente del posto: la loro gente.

L'obiettivo Nato è quello di ristabilire la sicurezza nel Sud, ovvero liberare le zone controllate dai nemici di Karzai. Ciò sarà possibile solo se le truppe occidentali resteranno nel territorio occupato: per questo necessitano di uomini prima ancora che di mezzi. Una presenza permanente li espone però a seri rischi. Il problema del rapporto con la popolazione diventa una componente fondamentale.
Alla luce di ciò, e alla luce della richiesta degli americani di rafforzare i contingenti già presenti in Afghanistan, il premier britannico Tony Blair chiederà agli alleati Nato di inviare più truppe nel Paese e intende affrontare la questione al Consiglio europeo di oggi e di domani a Bruxelles. Nelle ultime settimane, infatti, vari esponenti del governo Blair non hanno nascosto la loro profonda insoddisfazione per l'impegno di Paesi come Francia, Germania e Italia.
''Dobbiamo premere per altre truppe operative e continuiamo a farlo'', ha dichiarato Blair davanti alla Camera dei comuni. ''Voglio che gli altri Paesi Nato facciano di più - ha aggiunto - e questo sarà argomento della discussione informale al vertice europeo''.
''Alcuni Paesi hanno tolto le restrizioni, altri non l'hanno fatto - ha ricordato il primo ministro britannico -, ma continueremo a premere e siamo certi che alla fine avremo il sostegno di cui abbiamo bisogno''.

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08 marzo 2007
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