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Obama è il 44° presidente degli Stati Uniti

L'America ha incoronato il primo afroamericano alla Casa Bianca

21 gennaio 2009

Barack Obama è il 44mo presidente degli Stati Uniti, il primo afroamericano nella storia del Paese.
Ieri, davanti a due milioni di persone, in una giornata tersa e di freddo gelido, Obama ha giurato nelle mani del presidente della Corte suprema John Roberts, con la mano sulla Bibbia di Lincoln sorretta dalla moglie Michelle.
"Da oggi dobbiamo rialzarci e riprendere il lavoro per costruire l'America: c'è molto da fare, lo stato della nostra economia richiede azioni coraggiose e le faremo non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per rinnovare le infrastrutture", ha dichiarato il neopresidente Usa, sulla scalinata di Capitol Hill.

Concluso il discorso, durato 18 minuti, il nuovo presidente degli Stati Uniti ha abbracciato il suo predecessore George W. Bush. Poi si è avvicinato alle figlie, Malia e Sasha, e alla moglie Michelle, e le ha baciate.
Ad introdurre il momento cruciale della cerimonia il discorso della senatrice Dianne Feinstein, presidente del comitato inaugurale, e la preghiera del pastore Rick Warren. "Siamo grati perché viviamo in una terra di opportunità in cui il figlio di un immigrato africano può diventare presidente degli Stati Uniti", ha detto Warren. Poi l'esibizione sulla scalinata del Campidoglio di Aretha Franklin che ha intonato 'My Country, 'Tis of Thee' (il mio paese, è tuo). Quindi il giuramento del vicepresidente degli Usa Joe Biden. Infine, quello del numero uno della Casa Bianca, accolto al suo arrivo sulla scalinata, dall'entusiamo della folla che ha urlato il suo nome: "Obama! Obama!". Così, dopo aver scandito la frase di rito, Barack Obama è ufficialmente il nuovo presidente degli Stati Uniti. [Adnkronos/Ign]


Barack Obama è anche il nostro Presidente
Il mondo potrebbe cambiare grazie a lui. Ecco perché...
di Salvatore Parlagreco (SiciliaInformazioni.com)

Dopo l'11 settembre ci sentimmo tutti americani. L'immane tragedia di New York provocò uno shock così grande da seppellire ogni altra considerazione che non fosse la solidarietà, la compassione, il bisogno di stare accanto alle vittime della follia e della crudeltà. Ci sentimmo parte di una umanità deturpata come capità in occasione delle grandi tragedie. Ebbene oggi ci sentiamo americani fino al midollo perché è cominciata una pagina di storia  degli Stati Uniti e, probabilmente, nel mondo.
Grazie al popolo americano alla testa della nazione più potente del mondo, più ricca e più libera, nonostante tutto, c'è un uomo che interpreta i bisogni prevalenti dell'umanità, che rappresenta razze ed etnie diverse, che parla il linguaggio dei dotti e degli uomini della strada, che si occupa dei ricchi e dei poveri, che coniuga idealismo e pragmatismo, che considera il potere uno strumento, indispensabile, per cambiare i destini dell'umanità. Troppa enfasi?
Sì, è vero, ma si tratta di una enfasi meritata, di cui si ha fortemente bisogno. E' l'enfasi che si prova quando una notizia, un evento, un episodio fa cadere sgomento, angoscia, attesa inquieta; l'enfasi che scioglie l'inquitudine, la trepidazione, concede qualche risposta ai nostri dubbi, ti lascia sperare. L'enfasi che aiuta la speranza a sperare, insomma, perché siamo usciti dal tunnel.

Poco importa che le attese siano esagerate, che governare impone rinunce, che le ingiustizie non potranno essere cancellate, che si vivrà esattamente come prima chissà per quanto tempo ancora. Barack Obama ci fa il dono della speranza, ci lascia gioire di un probabile futuro.
Da domani sarà anche il nostro Presidente, come lo sarebbe stato chiunque fosse stato eletto a Washington. Perché ciò che decide il Presidente degli Stati Uniti, lo si voglia o no, ci riguarda da vicino e può cambiare la nostra vita. Ma sarà con il cuore e la regione il nostro Presidente, perché lo sentiamo nostro, perché ne abbiamo bisogno, perché ci sentiamo orfani di uno come lui.
Non è italiano? Va bene, ma ha poca importanza. Alla patria non si può rinunciare anche se lo si vuole: la nostra vita è impregnata dell'Italia, della sua cultura, della sua storia, delle sue consuetudini. Amiamo il nostro Paese e lo rispettiamo. Ma proprio perché lo amiamo, vogliamo anche far parte di un mondo governato da Barack Obama. Non ci piacciono quelli che stanno in alto. Non ci piace essere governati con la bacchetta magica e le barzellette, non ci piace l'assenza di valori, di rispetto, di tolleranza di questo nostro grande Paese. Soprattutto la mancanza di compassione per chi sta peggio, e la mostruosa abilità di turlupinare il prossimo. E non ci piace nemmeno l'idiozia di chi si preoccupa della salma di Lenin o guarda con invidia al dispotismo sudamericano che indossa gli abiti della democrazia pret a porter. Non ci piace l'assenza di umanità di chi dovrebbe averne tanta da accogliere nella sua chiesa tutti quanti. Non ci piace il volto di un Paese deturpato dal giustizialismo da una parte e dal lassismo dall'altra.
Tutto questo ci fa desiderare una pagina nuova di storia. Barack Obama è figlio di un clandestino, è nero, bianco e meticcio; è africano, americano ed europeo. È un uomo colto che usa le parole semplici. È la fine del razzismo, una lancia spezzata contro ogni discriminazione. Se non dovesse riuscire a risolvere la crisi economica americana in tempi brevi, per i cittadini del suo Paese, e quelli del mondo, rimarrebbe quello che è; ed è già tanto.

Nelle due settimane che hanno preceduto la sua elezione, eravamo negli States: a Chicagho, la città di Obama, a New York, la città che lo ha fortemente voluto, a Washington, la capitale che lo accoglie. Ovunque abbiamo trovato il clima delle grandi giornate. Accanto alla trepidazione dei militanti e della gente di colore, alla passione dei giovani la convinzione che stava succedendo qualcosa di importante e che vivere questo evento sarebbe stato un privilegio.
Ho incontrato e parlato con uomini e donne di ogni colore. E quando qualcuno mi chiedeva perché bisognasse votare Obama - in realtà lo chiedeva a se stesso - rispondevo semplicemente: first of all, because is black...

- Il discorso di Barack Obama

- "Obama tende la mano al mondo" di Vittorio Zucconi

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21 gennaio 2009
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