Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Old Bridge

La vecchia e nuova mafia ha perso. La Dda e l'Fbi hanno scardinato l'asse tra Sicilia e Nuovo Mondo

08 febbraio 2008










Quanto c'è dietro alla maxi retata di ieri, che ha interessato due emisferi del mondo e impiegato centinaia di uomini della Polizia italiana e dell'Fbi americano, è buono per lameno una decina di lungometraggi e una ventina di fiction Tv. Già il nome dell'inchiesta potrebbe essere utilizzato come titolo: ''Old Bridge''.
Non è finzione però (fortunatamente) quanto avvenuto tra Palermo e New York, l'asse della mafia tra Sicilia e Stati Uniti, l'asse che collegava una mafia antica e quella odierna è stata scardinata. Il vecchio ponte è crollato.

Novanta persone arrestate tutte facente parte delle ''storiche'' famiglie mafiose palermitane, che avrebbero riallacciato relazioni sul territorio americano, in particolare con uomini della famiglia mafiosa americana degli Inzerillo-Gambino, collegata all'ex capo di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, e, dopo di lui, a Salvatore Lo Piccolo, anche in relazione ai suoi collegamenti internazionali.
I magistrati newyorchesi hanno ordinato, tra gli altri, anche l'arresto di Frank ''Boy'' Calì, ritenuto il nuovo capomafia della "famiglia Gambino". Il boss, secondo le indagini condotte in maniera congiunta dall'Fbi e dal Servizio centrale operativo della polizia di Stato, era da alcuni anni in contatto proprio con i mafiosi palermitani che facevano capo a Provenzano e a Lo Piccolo. Tra gli arrestati anche l'altro superboss italo-americano Filippo Casamento.

“L'operazione 'Old Bridge' è il naturale sviluppo delle indagini condotte negli ultimi anni dalla procura di Palermo, che si sono concluse con la cattura di Provenzano e dei Lo Piccolo”, ha spiegato Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia. All'origine della maxi operazione ci sono una serie di indizi raccolti grazie a “pizzini” di eccezionale rilievo, come ha spiegato lo stesso Grasso, e intercettazioni ambientali e telefoniche. Tutti questi indizi hanno evidenziato il nuovo asse tra le famiglie palermitane e americane di Cosa nostra. Al centro del ponte tra i due mondi c'era la famiglia Gambino di New York. Dalle prove raccolte è emerso tra l'altro che i vertici di Cosa nostra hanno a lungo discusso sul ritorno a Palermo degli ''scappati'', ossia alcuni membri della famiglia Inzerillo. Al termine della guerra di mafia dei primi anni '80 alcuni affiliati al clan erano stati risparmiati dalla mattanza a condizione di restare negli Stati Uniti. Evidentemente, però, in nome del nuovo asse tra Palermo e New York i capi della mafia avevano deciso di archiviare gli antichi dissapori e cancellare la lunga scia di sangue.

Dietro a tutto ciò un progetto preciso. “Il tentativo da parte della mafia palermitana di ristabilire rapporti con la malavita nordamericana c'è stato perché Cosa nostra siciliana coltivava l'intenzione di rientrare nel traffico di droga, molto più lucroso delle estorsioni” ha spiegato il procuratore distrettuale di Palermo, Francesco Messineo. Dello stesso parere Piero Grasso. “Ci sono - ha ricordato il procuratore nazionale antimafia commentando al Viminale gli esiti dell'operazione - dichiarazioni di collaboratori che hanno detto che stava per partire un progetto per cui il boss Mandalà (Nicola Mandalà, boss di Villabate che nei primi ammi del 2000 ha curato la latitanza di Bernado Provenzano, ndr) poteva importare cocaina a prezzo stracciato. C'era quindi una prospettiva concreta”.

La ricostruzione degli inquirenti italiani e americani
Dopo la seconda guerra di mafia degli anni Ottanta, quella tra i ''Corleonesi'' di Totò Riina e i "Palermitani" (principalmente le famiglie affiliate ai Bontate, ai Badalamenti ai Buscetta e agli Inzerillo), che lasciò sul terreno decine di morti e fece fare un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti ai cosiddetti “scappati”, i rapporti tra i boss mafiosi palermitani e Cosa nostra americana si sono nuovamente riallacciati.
Tra i primi ad andare negli Stati Uniti nel 2003 è stato Nicola Mandalá, che aveva attivato canali e contatti con i boss del mandamento palermitano di Passo di Rigano. I contatti, come affermano i magistrati nel provvedimento di fermo, avevano l'obiettivo di “elaborare e perseguire una strategia di riammissione di alcuni boss che negli anni '80 erano fuggiti da Palermo per scampare alla guerra di mafia scatenata da Totò Riina, e rifugiarsi negli Stati Uniti”. Fra le famiglie mafiose che avevano dovuto abbandonare in fretta e furia la Sicilia per andare negli Stati Uniti spiccano gli Inzerillo, che solo di recente sarebbero stati riammessi sul circuito palermitano per il traffico di droga.
L'uomo-chiave dell'indagine sarebbe, secondo gli investigatori italiani e americani Frank Calì, meglio conosciuto come Franky Boy, ufficialmente amministratore di alcune società di import export di frutta a Brooklyn, ma in realtá presunto trafficante di droga. Nicola Mandalá sarebbe andato proprio da Calì per preparare il terreno affinché si potesse ricostituire un grande ponte tra Palermo e New York. Da Calì si sono recati per ''affari'' anche boss mafiosi del calibro di Giovanni Nicchi, uomo di fiducia di Antonino Rotolo, tuttora latitante.

A partire dal 2003, nell'ambito di indagini svolte nei confronti di uomini d'onore appartenenti alle famiglie mafiose di Villabate, di Torretta e di Passo di Rigano, sono stati acquisiti dagli investigatori “numerosi elementi che indicavano il rafforzamento degli interessi di Cosa nostra siciliana in territorio statunitense”. Sono così stati documentati, in quel periodo, “significativi incontri sia nel capoluogo palermitano che negli Stati Uniti d'America”, seguiti da viaggi effettuati in territorio statunitense da mafiosi palermitani di spicco, tanto da indurre a ritenere che i contatti tra le due sponde dell'oceano potessero essere finalizzati alla realizzazione di affari illeciti.
Questi i viaggi più importanti: il 26 novembre 2003 Nicola Mandalá e Giovanni Nicchi, rispettivamente esponenti di rilievo delle famiglie mafiose palermitane di Villabate e Pagliarelli, sono partiti alla volta di New York, facendo rientro in Italia il successivo 7 dicembre; il 23 dicembre 2003 sono partiti, sempre alla volta di New York, Giuseppe Inzerillo (nipote di Totuccio Inzerillo, uno dei grandi capimafia siciliani prima dell'avvento dei Corleonesi) e Salvatore Greco. Il 22 gennaio 2004 è partito per Toronto il vecchio boss (82 anni) Filippo Casamento (già sottocapo della "famiglia" di Boccadifalco, prima che i Corleonesi prendessero il potere, e fra gli organizzatori dei traffici della "Pizza Connection'') accompagnato da Giovanni Inzerillo, figlio secondogenito di Totuccio, per incontrare uomini d'onore di origine italiana come Michele Modica e Michele Marrese; il 18 marzo 2004, ha fatto ritorno a New York Nicola Mandalá e Ignazio Fontana, inteso Ezio, anch'egli della famiglia di Villabate.

Inoltre, con l'inchiesta Old Bridge, a distanza di 26 anni la Procura palermitana ha potuto fareluce sull'omicidio di Pietro Inzerillo, individuando i presunti responsabili, tra cui il cugino della vittima. I provvedimenti di fermo riguardano Filippo Casamento e Tommaso Inzerillo. I due sono accusati di associazione mafiosa per "avere, in concorso tra loro e con ignoti componenti di Cosa nostra - si legge - con premeditazione, cagionato la morte di Pietro Inzerillo, attinto da numerosi colpi di arma da fuoco".
Chiuso in un bagagliaio con la testa crivellata di colpi di pistola e una manciata di banconote infilate in bocca e nei genitali: ecco come venne ritrovato il 15 gennaio 1982, in New Jersey, il corpo di Inzerillo, fuggito da Palermo dopo la seconda guerra di mafia vinta dai Corleonesi. Nel linguaggio mafioso, il gesto ha un significato preciso: Pietro Inzerillo voleva infatti tenersi parte del denaro per sé, "senza dividerlo con la famiglia", sottolineano gli investigatori.
Nell'operazione è stata fatta luce anche su un altro omicidio di mafia, risalente sempre al 1982, quello di Antonino Inzerillo, cugino di Pietro, fatto sparire e mai più ritrovato. Dell'omicidio è ritenuto responsabile Tommaso Inzerillo. C'è anche un medico, ritenuto amico dei boss, tra i destinatari di un provvedimento di fermo: in carcere è finito Salvatore Emanuele Di Maggio, 49 anni, residente a Torretta, nel palermitano. Secondo gli investigatori, avrebbe mantenuto "nella sua qualità di uomo d'onore del mandamento di Passo di Rigano e Boccadifalco - si legge - più contatti finalizzati alla trattazione di affari illeciti, in particolare con Salvatore Lo Piccolo e Vincenzo Marcianò, oltre che con Francesco e Tommaso Inzerillo".

L'elenco completo dei fermati in Sicilia -
Sono 19 le persone fermate nell'ambito dell'operazione antimafia, denominata "Old bridge", condotta dalla  polizia nei confronti di Cosa nostra a Palermo ed in provincia. Il fermo è stato disposto dai magistrati della Dda nei confronti di: Filippo Casamento, 82 anni; Salvatore Emanuele Di Maggio, 59 anni, di Torretta; Giovanni Inzerillo, 36 anni, nato a New York; Giovanni Adelfio, 70 anni; Francesco Adelfio, 66 anni; Salvatore Adelfio, 42 anni; Pietro Pipitone, 54 anni; Giovanni Lo Verde, 69 anni; Giuseppe Brunettini, 37 anni; Antonino Chiappara, 42 anni; Sergio Corallo, 42 anni; Giovanni De Simone, 46 anni; Maurizio Di Fede, 40 anni; Nicola Di Salvo, 70 anni; Melchiorre Guglielmini, 49 anni; Tommaso Lo Presti, 33 anni; Stefano Marino, 36 anni; Gaetano Savoca, 41 anni e Vincenzo Savoca, 77 anni.

Di seguito i profili dei più importanti uomini di Cosa nostra finiti in manette nel blitz.
GIOVANNI INZERILLO - E' il figlio del capomafia Totuccio Inzerillo, uno dei grandi Padrini uccisi dai Corleonesi di Totò Riina. Giovanni, nato a New York nel 1972, è uno dei sopravvissuti alla "guerra" di Palermo degli Anni Ottanta. Dopo il padre, i killer di Corleone hanno ammazzato anche suo fratello Giuseppe, un ragazzino di 14 anni. Gli hanno sparato e tranciato il braccio destro con un'ascia. "Degli Inzerillo non deve restare neanche il seme", disse Totò Riina ai suoi. Giovanni è tornato in Sicilia intorno al 2000, ufficialmente fa l'imprenditore edile, abita nella stessa casa che fu del padre in via Castellana 346, nella borgata palermitana di Passo di Rigano.

FRANK CALI' - Il suo nome completo è Francesco Paolo Augusto ma tutti lo chiamano Frank o Franky Boy, è l'"ambasciatore" di Cosa Nostra americana per i mafiosi di Palermo. E' nato a New York nel 1965 da genitori siciliani (suo padre aveva un negozietto di materiale elettrico in via dei Candelai a Palermo), alcuni collaboratori dell'Fbi hanno riferito che Frank già nel 1999 era un "wiseguy", un uomo d'onore della "famiglia" Gambino. Ufficialmente amministra alcune società di import export a Brooklyn, la più nota è la Circus Fruits Wholesale, import export di frutta. E' considerato dall'Fbi "soggetto emergente" della Cosa Nostra americana.

FILIPPO CASAMENTO - Negli Anni Settanta era il "sottocapo" della famiglia palermitana di Boccadifalco. Poi, nei mesi dello scontro fra Palermitani e Corleonesi, è fuggito negli Usa. E' uno dei più illustri "scappati", quei mafiosi che hanno lasciato la Sicilia per non finire uccisi da Totò Riina. Negli Usa Filippo Casamento è diventato una star del traffico di stupefacenti. Più volte condannato, è stato liberato il 21 agosto del 2002 ed espulso dagli Stati Uniti il successivo 2 settembre. Giovanni Inzerillo, il figlio di Totuccio, è suo "figlioccio".
Al momento dell'arresto, nonostante gli 82 anni di età, Filippo Casamento non ha fatto una piega
di fronte agli agenti dell'Fbi, del Servizio operativo centrale della polizia e della questura di Palermo. Il vecchio boss è stato fermato a Staten Island, un quartiere di New York, nella sua casa in Laconia Street. Casamento non si è scomposto e non ha detto nulla agli investigatori. Almeno fino a quando non è uscito di casa, ammanettato e stretto tra due poliziotti: "Minchia quanto sono elegante", sono state le sue parole rivolte a una telecamera. 

GIANNI NICCHI - Ha soltanto 25 anni ma è già un boss. Dopo l'arresto di Salvatore Lo Piccolo avvenuto il 5 novembre del 2007, Gianni Nicchi è indicato dagli investigatori italiani come uno dei futuri capi della Cosa Nostra siciliana. La sua "famiglia" è quella di Pagliarelli, guidata da Antonino Rotolo, un fedelissimo di Totò Riina. Nonostante l'appartenenza alla fazione corleonese, Gianni Nicchi fin dal 2003 è volato più volte a New York - con l'"autorizzazione" dei suoi Padrini - per incontrare esponenti della "famiglia" Gambino e in particolare Frank Calì. Secondo gli investigatori erano viaggi per organizzare un grande traffico di stupefacenti fra la Sicilia e gli Usa.

- La mafia ai picciotti: "Fuggite dall’Italia" di F. La Licata (La Stampa, 07/02/08)

- Quando Lo Piccolo perorava la causa degli ''scappati'' (Corriere.it)

- "L'inizio della fine" di Andrea Camilleri

[Le foto di New York sono di peasap e isaiahlt (www.flickr.com)]

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

08 febbraio 2008
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia