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Omissioni e spiegazioni mai convincenti

Le dichiarazioni del generale Mori durante il proprio processo: "Alcuni politici cambiarono opinione sul 41-bis"

09 febbraio 2011

Non ha mai usato esplicitamente il termine 'menzogna'. Ha preferito parlare di omissioni, di spiegazioni non convincenti. Ma il senso delle lunghissime dichiarazioni spontanee con cui il generale Mario Mori ha aperto ieri l'ennesima udienza del processo, che lo vede imputato insieme al colonnello dell'Arma Mauro Obinu di favoreggiamento alla mafia, è chiaro.
Il dibattimento si è celebrato davanti ai giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo. Oggetto del processo: il mancato arresto del capomafia allora latitante Bernardo Provenzano. Secondo l'accusa, nell'ottobre del 1995 il Ros, di cui Mori all'epoca era vicecomandante, grazie all'input del confidente Luigi Ilardo era a un passo dalla cattura del padrino di Corleone. Ma l'operazione sfumò, a dire degli inquirenti, perché i carabinieri avrebbero stretto un patto con Provenzano, dopo la strage di Capaci, finalizzato a far cessare la stagione di sangue. In cambio il capomafia avrebbe potuto contare per anni su una sorta di impunità.
Il mancato blitz, dunque, si inquadrerebbe nella cosiddetta trattativa tra Stato e mafia, elemento di un'inchiesta autonoma della Procura di Palermo in cui Mori è indagato per concorso in associazione mafiosa insieme a boss come Provenzano e Riina.

"Il Ros non ha mai mutato opinione sul carcere duro per i mafiosi e ha scelto la linea della fermezza". "Il 27 luglio 1993 fui convocato dall’allora vicedirettore del Dap Di Maggio, convinto assertore della linea del rigore che mi chiese di sostenere la necessità di mantenere il carcere duro". "Il Ros - ha aggiunto Mori - si è espresso per due volte, il 12 e il 28 agosto del ’93, quando stavano per scadere i decreti di applicazione del 41 bis per diversi mafiosi perché, invece, i provvedimenti fossero rinnovati".
Al contrario di esponenti istituzionali di primo piano, ha fatto intendere l'ufficiale, come l'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, il tecnico prestato alla politica nel periodo caldo delle stragi degli anni '90, che sul carcere duro, nel tempo, ha, invece, assunto posizioni diverse. In particolare Mori accusa Conso di avere cambiato idea sul 41 bis tra quanto dichiarato nel 2002 alla Procura di Firenze, quando si era detto favorevole al mantenimento del carcere duro, e quanto sostenuto davanti alla Commissione nazionale antimafia nel novembre del 2010, quando disse di avere assunto, nel '93, autonomamente la decisione di revocare ad alcuni boss il 41 bis. Mori ha portato in aula le dichiarazioni rese da Conso il 24 settembre del 2002 davanti al pm di Firenze, oggi morto, Gabriele Chelazzi, magistrato che già allora tentava di ricomporre i pezzi del puzzle sulla trattativa. In quell'occasione Conso, parlando dell'ex dirigente del Dap Nicolò Amato, che nel '93 aveva parlato di una "applicazione selettiva" per il 41 bis, aveva dichiarato: "Il tema del rinnovo dei decreti ex 41 bis era in quel momento senz'altro prematuro e quindi io mi riservavo di farne oggetto di più aggiornate meditazioni. E feci bene perché gli eventi successivi e in particolare la strage di Firenze mi convinsero nel modo più assoluto della necessità di mantenere fermo il 41 bis e di rinnovarne i decreti".
Mori ha aggiunto: "L'atto venne chiuso senza che il professore Conso facesse menzione della successiva, repentina modificazione del suo atteggiamento se è vero che il 1° novembre del '93, solo quattro mesi dopo la sua decisione 'chiara e convinta' di confermare i decreti relativi ai detenuti mafiosi allo scadere di un blocco di 140 provvedimenti adottati sulla base del 41 bis, egli non li rinnovò, malgrado che, in tempi successivi alle sue precedenti difformi decisioni, alla fine di luglio, si fossero verificati anche gli attentati di Roma e Milano".
Mori ha anche ricordato che davanti alla commissione Antimafia, nel novembre del 2010, Conso "ha affermato di avere agito all'epoca di propria iniziativa senza condizionamenti di altri. Conso ha aggiunto che prese questa risoluzione come gesto distensivo verso gli ambienti mafiosi e in base alla diversa personalità di Provenzano, succeduto a Riina dopo l'arresto, caratterizzato da una concezione che non prevedeva la continuazione della fase stragista privilegiando gli interessi di natura economica". "Mi permetto di osservare - ha detto ancora Mori - che questa spiegazione non appare convincente perché ritengo che Conso, illustre giurista e cattedratico, lontano per una vita dalle problematiche della mafia, non poteva avere cognizioni così approfondite per fare, da solo, uno specifico distinguo tra le caratteristiche operative dei due capi mafia". Il generale ha poi sottolineato: "Il ministro Conso nella deposizione del 2002 non poteva ignorare l'importanza della mancata citazione e motivazione dell'improvvisa decisione di modificare il suo atteggiamento sul 41 bis nell'autunno del '93 ma non ne fece cenno al pm. Resta da vedere il perché di questa importante omissione".

Mori ha criticato anche il giudice Alfonso Sabella, ex pm a Palermo, le cui parole su "un patto tra il Ros e l’ala mafiosa vicina a Provenzano, sono di assoluta gravità". L'ufficiale ha fatto riferimento alla deposizione di Sabella che, testimoniando al processo Mori, ha parlato, pur precisando che si trattava di una personale opinione, di un accordo tra i carabinieri e Provenzano (LEGGI). "Considerazioni simili - ha aggiunto Mori - sono ancora più gravi in quanto riferite a soggetti, come esponenti dei carabinieri, che dovrebbero tutelare le istituzioni".

Oltre a quelle di Conso, altre contraddizioni emergerebbero anche nelle verità di un altro politico, pure lui ministro della Giustizia: Claudio Martelli, smentito in aula, ieri, dal generale Giuseppe Tavormina, ex capo della Direzione investigativa antimafia (Dia) che ha negato di aver mai parlato con lui dei contatti tra il Ros e l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, contatti che, a dire dell'accusa, avrebbero segnato l'inizio della trattativa tra Stato e mafia. Martelli nella stessa aula aveva detto il contrario, riferendo ai giudici di avere informato Tavormina dei contatti tra gli ufficiali del Ros Mori e De Donno e l'ex sindaco mafioso di Palermo nel corso di una telefonata fattagli nel '92. "Non sono mai stato informato dall'ex ministro Martelli di contatti tra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino, né ricordo che l'allora guardasigilli mi parlò di atteggiamenti insubordinati di alcuni ufficiali del raggruppamento operativo speciale".
Martelli aveva anche sostenuto di essersi lamentato dell'insubordinazione del Ros. Vista la contraddizione tra le due testimonianze, il pm di udienza Nino Di Matteo ha chiesto il confronto tra Martelli e Tavormina. Il tribunale si è riservato la decisione.
L'udienza del processo Mori è stata rinviata al 22 febbraio per l'esame dell'ex generale Francesco Delfino e il tenente colonnello Carmelo Canale. Entrambi avrebbero dovuto deporre ieri ma Delfino era irrintracciabile mentre Canale ha fatto depositare dal suo legale un certificato medico che ne attesta l'impossibilità a deporre.

[Informazioni tratte da Ansa, Adnkronos/Ing, Repubblica/Palermo.it, Corriere.it]

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09 febbraio 2011
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