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Otto arresti per la strage di Capaci

Ordinanza in carcere per il boss Madonia e altre 7 persone, tutte già detenute. "Squarciato l'ultimo velo d'ombra"

16 aprile 2013

Ventuno anni dopo, emerge un altro pezzo di verità dai misteri del 1992: la Procura diretta da Sergio Lari e la Dia hanno dato un nome ai componenti del commando mafioso che procurò e preparò l'esplosivo che uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie e i tre poliziotti della scorta. E' stato l'ultimo pentito di Cosa nostra, Gaspare Spatuzza, a offrire gli spunti giusti, chiamando in causa alcuni fedelissimi di Giuseppe Graviano, il capomafia del quartiere palermitano di Brancaccio che sta dietro tutte le stragi del '92 e del '93.
Questa mattina, la Direzione investigativa antimafia ha eseguito otto provvedimenti di custodia cautelare. L'inchiesta, che oltre alle dichiarazioni di Spatuzza si è basata anche su quelle di Fabio Tranchina, ricostruisce i tasselli mancanti relativi alle fasi deliberativa, preparatoria ed esecutiva della strage. In particolare gli inquirenti affermano di avere "squarciato il velo d'ombra nel quale erano rimasti alcuni personaggi, mai prima d'ora sfiorati dalle inchieste sull'eccidio di Capaci".

Tra gli otto arrestati c'è anche il capomafia Salvo Madonia, già detenuto al carcere duro. E c’è anche Cosimo D'Amato, un pescatore di Santa Flavia (Palermo), finito in manette nel novembre scorso su ordine dei pm di Firenze che indagano sulle stragi mafiose del '93 (LEGGI). Secondo gli inquirenti, avrebbe fornito l'esplosivo utilizzato per gli attentati di Roma, Firenze e Milano. I pm nisseni gli contestano di avere procurato alle cosche anche il tritolo usato per l'eccidio di Capaci. D'Amato avrebbe recuperato l'esplosivo da residuati bellici che erano in mare.
Gli altri arrestati sono Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello, tutti in carcere già da tempo, con condanne pesanti per reati di mafia e omicidio.

"L'operazione - dice il direttore della Dia, Arturo De Felice - integra tutto quello che era stato acquisito negli anni, sia dal punto di vista investigativo che processuale e dimostra l'ottima sinergia tra la Dia e la procura di Caltanissetta che ha lavorato in silenzio in tutti questi anni. Credo che questa operazione possa dare un quadro definitivo per chiarire quello che è accaduto soprattutto per quanto riguarda il reperimento e il confezionamento dell'esplosivo".

"Si è fatta luce sulla fase esecutiva della strage di Capaci. E si è accertato il ruolo del mandamento mafioso di Brancaccio in tutta la strategia stragista di Cosa Nostra". Così il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari ha commentato l'operazione della Dia. "Tiriamo le somme oggi di anni di indagini avviate su input della Dna", ha aggiunto Lari che ha ricordato il ruolo dell'ex capo della Direzione Antimafia Piero Grasso, che raccolse per primo le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, il collaboratore di giustizia che ha svelato i retroscena della strage di Capaci e di quella di via D'Amelio. "Con la strategia stragista, che è frutto di un progetto unitario, Cosa nostra volle sfidare lo Stato per costringerlo a scendere a patti", ha detto ancora Lari durante la conferenza stampa in cui è stata illustrata l'operazione di oggi. "Nel dicembre del '91, nel corso di una riunione della commissione provinciale di Cosa nostra a cui partecipò il boss Salvo Madonia - ha aggiunto - si decisero le eliminazioni di Falcone e Borsellino: atti completamente diversi dai progetti passati che erano eliminazioni chirurgiche di singoli nemici della mafia". "Si inaugurò dunque - ha continuato il procuratore - un'ottica diversa di attacco alle istituzioni e si crearono le condizioni per potersi poi sedere al tavolo di una trattativa". "Da questa indagine non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti esterni a Cosa nostra. La mafia non prende ordini e dall'inchiesta non vengono fuori mandanti esterni". "Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con Cosa nostra - ha concluso il procuratore di Caltanissetta - ed alcune presenze inquietanti sono emerse nell'inchiesta sull'eccidio di Via D' Amelio: ma in questa indagine non posso parlare di mandanti esterni".

Il racconto di Gaspare Spatuzza - "Ricordo che un mese e mezzo prima della strage di Capaci, Fifetto Cannella mi chiese di procurargli una macchina voluminosa, per recuperare delle cose. Ci recammo pertanto con l'autovettura di mio fratello nella piazza Sant'Erasmo di Palermo, dove incontrammo Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro, e dove avremmo dovuto incontrare Renzino Tinnirello, il quale però tardò ad arrivare. Ci recammo quindi a Porticello, ove trovammo un certo Cosimo, ed assieme a lui ci recammo su un peschereccio attraccato al molo, da dove recuperammo dei cilindri delle dimensioni di 50 centimetri per un metro legati con delle funi sulle paratie della barca. Al loro interno vi erano delle bombe".
Durante il tragitto verso Palermo, i mafiosi trovarono un posto di blocco dei carabinieri, ma non furono fermati.

Così ricorda ancora Spatuzza: "Una volta arrivati a casa di mia madre, in cortile Castellaccio, scaricammo i bidoni all'interno di una casa diroccata di mia zia, che si trova a fianco". Il giorno dopo, i "cilindri" furono spostati in un magazzino di Brancaccio: "Lì cominciammo la procedura  - ha spiegato il pentito - tagliando la lamiera dei cilindri con scalpello e martello ed estraendo il contenuto". Ma quell'operazione era troppo rumorosa: "Mi resi conto che eravamo all'interno di un condominio, quel posto non era adatto al lavoro", ha ricordato Spatuzza davanti ai magistrati di Caltanissetta. Così, l'esplosivo fu trasferito ancora: in un magazzino della zona industriale di Brancaccio dove aveva sede la ditta di trasporti "Val. Trans.", lì Spatuzza lavorava come autista.
"L'esplosivo che macinavamo era solido, di colore tra giallo chiaro e panna. Lo macinavamo schiacciandolo con un mazzuolo, lo setacciavamo con lo scolapasta sino a portarlo allo stato di sabbia". Quell'esplosivo prelevato a Porticello non bastò: "Ci recammo a prelevare altri due bidoni alla Cala, sempre legati a un peschereccio", ha proseguito Spatuzza. Una parte di quella micidiale carica fu consegnata poi a Giuseppe Graviano per la strage di Capaci, una parte servì per la strage Borsellino.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, GdS.it, Corriere del Mezzogiorno, Repubblica/Palermo.it]

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16 aprile 2013
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