Pagare il pizzo in Sicilia. Sempre più stretto il nodo del racket attorno al collo dei siciliani
Oggi per le vittime denunciare il racket è diventato più difficile
Domenica scorsa a Palermo è stato commemorato Libero Grassi, l'imprenditore tessile assassinato 13 anni fa a Palermo dopo che aveva detto "NO" agli esattori del pizzo.
Ma Grassi, uno degli eroi borghesi italiani, non si limitò a dire "no" ai picciotti della mafia: lo disse scrivendo un articolo sul giornale, lo ripetè in televisione, lo fece aprendo un dibattito nazionale. Per questo la cosca Madonia, all'epoca una delle più potenti e sanguinarie della città, non perdonò quell'uomo che da solo sfidava Cosa nostra e il cui esempio coraggioso poteva far sollevare la testa anche ad altri imprenditori e commercianti mettendo in crisi le casse della mafia palermitana.
Due sicari aspettarono Grassi sotto casa e lo freddarono con colpi di pistola alla testa: i killer non ebbero il coraggio di guardare Libero Grassi negli occhi e lo uccisero colpendolo alle spalle.
"C'era stata una buona occasione - ha detto la vedova Pina Maisano Grassi, ex senatore verde - per parlare di estorsioni e riaprire il dibattito quando i giovani universitari tappezzarono le saracinesche del centro con gli adesivi antiracket. Ma non mi pare che sia avvenuto qualcosa. La mentalità degli imprenditori e dei commercianti, 13 anni dopo l'uccisione di Libero, non è cambiata: pagano e tacciono".
C'era anche una rappresentanza dei giovani universitari, alla commemorazione dell'imprenditore domenica mattina in via Alfieri, luogo dell'agguato. Hanno aperto un lenzuolo bianco con scritto «No al pizzo».
La Confesercenti ha lanciato una proposta per creare una fondazione intitolata a Libero Grassi. "L'idea - dice il presidente regionale di Confesercenti, Giovanni Felice - è di una fondazione che vada oltre al sistema impresa e coinvolga il mondo della cultura e dell'università per sviluppare percorsi di legalità. E' ormai evidente che le associazioni antiracket che hanno coinvolto soltanto gli operatori commerciali non sono riusciti ad incidere sul sociale: ne è prova il fatto che, nonostante la magistratura e le forze di polizia abbiano inferto colpi durissimi agli estortori, il fenomeno è radicato e diffusissimo in città".
L'allarme sulla crescita del fenomeno racket, era stato ribadito il mese scorso da Tano Grasso, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket ed antiusura italiane, dove ad un convegno organizzato dalla Commissione antimafia con le associazioni antiracket siciliane aveva sottolineato che: "Oggi denunciare il racket è diventato più difficile rispetto a ieri. Le vittime, infatti, non sentono più lo Stato vicino a loro".
E che il problema dell'usura continua ad essere pericolosamente presente e radicato viene dimostrato dalla contestazione estrema scelta da un'imprenditrice ennese vittima usura. Maria Grazia Fasciana, 54 anni, titolare dell'omonimo caseificio con stabilimento a Villarosa (Enna), ha infatti iniziato ieri lo sciopero della fame protestando davanti la sede della Prefettura di Enna.
Vittima di un giro di usura, nel '98 l'imprenditrice denunciò i suoi strozzini, ma da allora l'azienda, sebbene abbia ricevuto contributi da parte dello Stato, entrò in crisi. Nei giorni scorsi la donna aveva scritto una lettera al ministro dell'Interno Pisanu al quale aveva deciso di donare il caseificio per evitarne il fallimento.
L'imprenditrice chiede il sostegno dello Stato e denuncia di essere stata lasciata sola dopo aver denunciato i suoi strozzini. Nella lettera inviata al ministro Pisanu, racconta di aver ricevuto un contributo di 160 mila euro, nonostante la perizia giurata prevedesse una cifra maggiore. La donna, inoltre, avrebbe difficoltà con le banche e con i produttori di latte che non conferirebbero al caseificio la materia prima necessaria per far funzionare gli impianti a regime. Nell'azienda lavorano 7 dipendenti da alcuni mesi senza stipendio.