Peggio che andare in guerra...
In Italia, in tre anni, i morti sul lavoro sono stati più delle vittime cadute nella guerra in Iraq
E' agghiacciante la constatazione fatta dall'Eurispes nell'ultima ricerca presentata ieri sugli infortuni sul lavoro in Italia. Infatti secondo quanto rivelato dall'Istituto di Studi Politici Economici e Sociali, lavorare in Italia risulta essere più pericoloso che andare in guerra in Iraq.
''Dall'inizio della guerra nel Golfo, dall'aprile 2003 all'aprile 2007, i militari della coalizione che hanno perso la vita combattendo sono 3520, mentre i morti sul lavoro in Italia dal 2003 all'ottobre 2006 sono ben 5252'', ha detto il presidente di Eurispes Gian Maria Fara durante la conferenza stampa per la presentazione dello studio sulle morti bianche: un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 addetti.
Un dato ''impressionante'', secondo il presidente della Commissione attività produttive della Camera Daniele Capezzone, che ha commissionato all'Eurispes lo studio. Infortuni che costano ogni anno alla comunità 50 miliardi di euro. Secondo Capezzone è necessario intervenire ''con le imprese, anziché vessarle fiscalmente e burocraticamente, occorre fare un patto per la sicurezza, intensificare i controlli ed eliminare il meccanismo appalti-subappalti''. Nel mirino, dunque, il meccanismo dei subappalti, nei quali si risparmia sulla sicurezza e sul costo dei lavoratori, spesso scegliendo maestranze poco preparate e precarie.
Di notevole gravità è che in 25 anni non sono stato fatti significativi passi avanti: dal confronto dei dati di questo rapporto con quelli di una vecchia indagine dell'istituto, le cifre restano più o meno le stesse. Secondo il documento, che si basa su dati rilevati dall'Inail, ogni anno dal Nord al Sud muoiono in media 1.376 persone per infortuni sul lavoro. Gli infortuni sul lavoro sono concentrati in alcuni settori e molti sono provocati dalle stesse cause. L'edilizia si conferma come settore ad alto rischio, visto che poco meno del 70% dei lavoratori (circa 850) perdono la vita per cadute dall'alto di impalcature nell'edilizia. Fra le cause seguono il ribaltamento del trattore in agricoltura e gli incidenti stradali nel trasporto merci per le eccessive ore trascorse alla guida.
Tanti gli incidenti causati dalla scarsa padronanza della macchina, dall'assuefazione ai rischi (abitudine e ripetitività dei gesti), dalla banalizzazione dei comportamenti di fronte al pericolo, dalla sottostima dei rischi, dalla diminuzione dell'attenzione nel lavoro di sorveglianza, dal mancato rispetto delle procedure, dall'aumento dello stress, dalla precarietà del lavoro legata a una formazione insufficiente e la manutenzione eseguita poco o male.
In pericolo più gli uomini delle donne: le donne infortunate sono in media il 25,75% e i decessi si attestano su un valore medio del 7,7 per cento. La percentuale media delle denunce per infortunio tra i lavoratori immigrati è dell'11,71%, mentre quella dei decessi è del 12,03%: una sostanziale uguaglianza anomala, segnala il rapporto, dato che per i lavoratori italiani la percentuale degli incidenti è di gran lunga superiore a quella dei morti. Segno, secondo l'Eurispes, che molti infortuni non vengono denunciati.
L'età media di chi perde la vita sul lavoro è di circa 37 anni. Ogni incidente, dunque, visto che la vita media è di 79,12 anni, comporta una perdita di vita pari a 42 anni.
Per quanto riguarda l'analisi della distribuzione territoriale degli infortuni, sembra che questi siano diffusi in modo abbastanza omogeneo, variando più in considerazione del numero delle persone occupate in una certa area e del settore in cui queste lavorano, rispetto alla regione considerata. I dati confermano che, tra il 2003 e il 2005, la Lombardia vanta il triste primato di avere il maggior numero di incidenti mortali sul lavoro. L'Eurispes ha inoltre calcolato, rapportando il numero degli addetti e moltiplicandolo per 100, che la provincia con il maggiore tasso di incidenti (anno 2005) è quella di Taranto (11,33), seguita da Gorizia e Ragusa.
Il Lazio è terzo nel record regionale negativo, dopo Lombardia e Emilia Romagna: nel 2003 aveva 98 le morti bianche, numero che è andato crescendo fino ai 121 nel 2004, per poi scendere a 105 nel 2005, con incidenti mortali più di frequenti in industria e servizi.
Se si rapporta invece il numero di morti al numero di ore lavoro o al totale degli addetti, la regione con la maggiore incidenza di morti bianche è il Molise, seguita da Basilicata e Calabria e in genere da regioni del Sud.
In Italia le leggi e le norme ci sono, ha spiegato il presidente di Eurispes, il problema è farle osservare. Il presidente Fara ha quindi puntato il dito contro la pratica, in uso soprattutto nella Pubblica Amministrazione, si assegnare gli appalti pubblici al ribasso: ''e le imprese - ha detto - quasi sempre risparmiano sulla sicurezza e sul costo dei lavoratori, scegliendo maestranze poco preparate e precarie''.
Una efficace prevenzione, l'unica soluzione concreta per arginare un così vasto fenomeno, dovrebbe puntare su formazione e addestramento, sul rispetto degli ordini, dei divieti e delle indicazioni, sul corretto uso dei dispositivi di protezione individuale, sul rigido rispetto delle procedure quando la sicurezza tecnica non basta. Dalla relazione emerge che l'inefficacia dell'azione di prevenzione e di controllo è imputabile a una mancanza di strategia centrale. ''Allo stato attuale - chiude il rapporto - l'Inail è l'unico ente in grado di gestire la prevenzione e la componente assicurativa e di promuovere pratiche virtuose sui luoghi di lavoro per sostenere, promuovere ed estendere il sistema partecipato, già previsto dalla normativa vigente, ma ancora ampiamente disatteso''.
Fra i suggerimenti dello studio, accanto alla maggiore chiarezza sulle competenze dell'Inail e allo snellimento del corposo sistema normativo, emerge la richiesta di istituzionalizzazione del finanziamento alle imprese per la sicurezza e la prevenzione stabilito in via sperimentale dal Dlgs 38/2000, utilizzando i fondi Inail.