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Per i Referendum andiamo a votare

Il Referendum è una cosa nostra! Il 12 e il 13 giugno noi cittadini abbiamo la reale possibilità di decidere qualcosa al di sopra di ogni furbizia politico-partitica

07 giugno 2011

Dal nucleare, alla privatizzazione dell’acqua al legittimo impedimento: I prossimi 12 e 13 giugno si sarà chiamati a votare per Referendum abrogativo, di cui tanto si discute da settimane. Si vota si se si è favorevoli all'abrogazione della legge in vigore.
I decreti in questione sono già stati approvati dal Parlamento, quindi il cittadino deve decidere se far cadere o meno tali leggi. Votando SI, si dichiara di non essere favorevoli al mantenimento delle leggi su acqua, nucleare e legittimo impedimento, mentre votando NO, si dichiara di voler mantenere le attuali disposizioni.

Il primo quesito, secondo la denominazione sintetica formulata dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte Suprema di Cassazione, è il seguente "Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Abrogazione" e riguarda la privatizzazione dell’acqua, bene primario di tutti. Votando si, si dice no alla privatizzazione dell’acqua.
Il primo quesito sull'acqua (scheda rossa) punta ad abrogare l’art. 23 bis della legge 133/08, per l’affidamento del servizio idrico alle aziende private e obbliga le società miste a ridurre la propria partecipazione pubblica al 60% entro il 2012 o, nel caso di società quotate in borsa, al 35% entro il 2015.
Secondo i No, una gestione privata consentirebbe di sostituire le infrastrutture migliorando e ottimizzando i costi del servizio, mentre secondo i Sì, la progressiva privatizzazione di questi anni ha portato a fare dell’acqua una merce e del mercato il punto di riferimento per la sua gestione, provocando dappertutto degrado e spreco della risorsa, precarizzazione del lavoro, peggioramento della qualità del servizio, aumento delle tariffe, riduzione degli investimenti, mancanza di trasparenza e di democrazia.
Il secondo quesito sull’acqua (scheda gialla)
vuole abrogare il comma 1 dell’articolo 154 del DL 152, che stabilisce che l’azienda privata possa stabilire la tariffa del servizio calibrandole sul principio di adeguata remunerazione del capitale investito: i promotori del referendum ritengono che questo comma consentirà ai gestori di far lievitare i costi a piacimento, trasformando l’acqua da diritto a privilegio.

Il terzo quesito riguarda l'abolizione del nucleare (scheda grigia) e prevede l’abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare. Votando Si si esprime contrarietà al nucleare in Italia, votando No si mantiene in vigore la legge attuale che vuole la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia.

Le maggiori ripercussioni politiche del referendum arriveranno dall’abrogazione della legge sul legittimo impedimento, quarto quesito (scheda verde) proposta dall’Italia dei Valori, secondo cui il legittimo impedimento è una delle leggi ad personam varate dal 1994 dal centrodestra.
Votando Si, si esprime la volontà di far cadere i privilegi per le alte cariche dello Stato di rimanere impuniti di fronte alla legge; votando No si mantiene la legislazione attuale. Le urne saranno aperte domenica 12 giugno, dalle ore 8 alle ore 22, e lunedì 13 giugno, dalle ore 7 alle ore 15.

Intanto è arrivato il parere della Corte costituzionale sul ricorso del governo relativo alla sentenza della Cassazione che ha ammesso il quesito referendario sul nucleare pur chiedendone la riformulazione. Con una decisione unanime la Corte ha deciso di considerare ammissibile il nuovo quesito referendario sul nucleare riformulato dalla Cassazione dopo le modifiche contenute nel Dl omnibus.
Secondo la memoria presentata dall'esecutivo, il referendum sul nucleare sarebbe superato perché con il decreto legge Omnibus approvato dal Parlamento si prevede la sospensione del piano riguardante la realizzazione delle centrali nucleari. I referendari si appellano proprio alla "sospensione" per sostenere che ci sia bisogno invece di un pronunciamento definitivo da parte dell'elettorato.
Ieri aveva espresso la propria autorevole opinione, seppure sottolineandone il valore esclusivamente personale, Alfonso Quaranta, nuovo presidente della Corte costituzionale, nel corso del suo primo incontro con la stampa: "Personalmente ritengo che non sia nei poteri della Corte bloccare il referendum. Questa tematica sarà sottoposta all'esame specifico della Corte, che ascolterà le parti, inclusa l'Avvocatura dello Stato per conto del governo, che hanno presentato memorie".
Quaranta ha difeso il ruolo imparziale della Consulta: "Ritengo inopportune le interferenze esterne sull'autonomia della Corte. Questa mia elezione fa giustizia di ogni illazione sulla presunta politicizzazione della Corte, che spero cessi" (il neo presidente è stato eletto al primo scrutinio segreto con dieci voti a favore e tre schede bianche).

Interpellato ieri sulla sua partecipazione al voto referendario, il presidente Giorgio Napolitano ha puntualizzato di ritenersi un elettore che fa sempre il proprio dovere e pertanto anche in occasione dei referendum del 12 e13 giugno andrà a votare.
Ieri sera Silvio Berlusconi ha rilasciato poche dichiarazioni al Tg2 a proposito dell'appuntamento referendario: "Perché dovrei temere i referendum? Sentiremo cosa pensa l'opinione pubblica e ci adegueremo". Il presidente del Consiglio ha aggiunto di non temere "assolutamente" neanche il referendum sul legittimo impedimento. Berlusconi si è detto anche convinto che la legislatura andrà avanti fino al 2013.
Hanno preso posizione sul referendum anche alcuni esponenti del governo. Franco Frattini, ministro degli Esteri, ritiene che l'appuntamento di domenica e lunedì prossimi si sia trasformato solo "in un referendum pro o contro Berlusconi". Da qui la sua decisione di disertare le urne. Stessa scelta quella di Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma.
Ferruccio Fazio, ministro della Salute, è favorevole a votare i quattro referendum, anche se teme di non riuscire a recarsi nella sua circoscrizione per adempiere al suo dovere di elettore: "E' un bel problema perché sono residente a Pantelleria: spero di farcela, ma se non vado a votare non sarà sicuramente per motivi ideologici".

L'esito del referendum è legato al raggiungimento del quorum, il 50% per cento più uno degli aventi diritto al voto. Obiettivo non facile da raggiungere, precisa il segretario del Pd Pier Luigi Bersani che nel concludere la Direzione del suo partito sottolinea: "Faremo di tutto per raggiungere il quorum perche', anche se è arduo, è possibile raggiungerlo".
Nichi Vendola e Fabio Mussi, nella conferenza stampa a margine della riunione della presidenza di Sel, hanno lanciato ieri un appello a usare i pochi giorni che mancano al voto per invitare gli elettori a esprimersi sui referendum. Impegnati in questa direzione pure Idv e Verdi.

Parlando ancora del quesito referendario più discusso, quello sul nucleare, ieri Angelo Bonelli, leader dei Verdi, ai microfoni del programma di Radio2 'Un Giorno da Pecora' ha spiegato quali saranno i siti per la costruzione di centrali nucleari qualora ai referendum vincesse il 'no'. "Una prima centrale nucleare è quella di Montalto di Castro, poi altri siti saranno a Palma di Montechiaro, in Sicilia, a Oristano, in Sardegna, e infine Fossano, in Piemonte", ha spiegato Bonelli, che si è detto sicuro, comunque, della vittoria del SI ai referendum del 12 e 13 giugno.
Intanto il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, rivendica il ruolo del suo partito a proposito dei quattro quesiti referendari e invita tutti i cittadini, anche quelli di destra, ad andare a votare. Il voto, infatti, avverte, non sarà "un giudizio universale sul governo". "Se dovessero vincere i sì - assicura - non chiederemo un voto di fiducia su Berlusconi perché i temi sul tappeto e cioè l'acqua, il nucleare e la legalità, interessano tutti. E se si vincerà, sarà una vittoria di tutti coloro che sono andati a votare".
Usa toni piuttosto concilianti Di Pietro, in una conferenza stampa convocata al termine dell'esecutivo del partito, ma è chiaro che spera in una seconda vittoria. Dopo quella delle amministrative, fa capire di confidare molto sul raggiungimento del quorum per il referendum di domenica e lunedì prossimi. Per quanto riguarda il ruolo giocato dall'Idv in questa partita, il leader non nega che "se non ci fosse stato il nostro spirito propulsore, almeno due di questi quesiti non ci sarebbero". [Informazioni tratte da ASCA, AGI, Ansa, Adnkronos/Ing, Lasiciliaweb.it]

REFERENDUM: TUTTE LE RISPOSTE PER GLI SCETTICI
di Roberto Brunelli (l'Unità, 7 giugno 2011)

Esiste il nucleare sicuro? Troppo facile rispondere: chiedete agli abitanti di Fukushima. Però, c’è un aspetto per il quale la lezione nipponica è determinante: ed è l’aspetto umano. Tecnici che non avvertono dei rischi segnalati per tempo, l’immensa difficoltà di uno dei paesi più tecnologici al mondo di affrontare l’emergenza, omissioni e omertà ad altissimo livello, scientifico e aziendale. E allora, la risposta potrebbe suonare così: anche se esistesse il nucleare sicuro (e non esiste), è l’umanità che è troppo «insicura» per poterselo permettere. Ma sono tante le domande che i referendum del 12 e 13 giugno portano con sé, dall’acqua privata o pubblica al legittimo impedimento. E meritano risposte precise. Proviamo a vedere, al di là di stereotipi e posizioni preconcette. E così torniamo alla nostra prima domanda.

Esiste un nucleare sicuro? No, oggi sicuramente no. È di ieri la notizia che per la prima volta sono state rinvenute tracce di plutonio fuori dalla centrale di Fukushima. Probabilmente il territorio colpito non potrà essere abitato per almeno altri cinquant’anni. Si fa un gran parlare di centrali della quarta generazione, capaci di gestire la questione dello smaltimento delle scorie. Ma nel caso di un ritorno al nucleare quelle da costruire sarebbero impianti di terza generazione, ed è ovvio che l’onere dello smaltimento delle scorie si abbatterà sulla cittadinanza del territorio. È bene sapere che il 20 per cento dei reattori attualmente in funzione si trova in aree sismiche e che i danni per la popolazione derivanti da un incidente in una centrale nucleare si trascinano per generazioni: le mutazioni derivate dal disastro di Cernobyl, per esempio, si trasmettono geneticamente.

È vero che il nucleare permetterà ai cittadini di avere delle bollette più basse? No. Un impianto nucleare costa tra gli 8 e i 10 miliardi di euro, e ovviamente sono imponderabili i costi legati allo smantellamento e la messa in sicurezza delle scorie, senza parlare delle conseguenze di eventuali incidenti. A parte il fatto che secondo i dati del dipartimento per l’energia degli Stati Uniti il nucleare è già il più caro (11,15 cent/kwh contro i 9,61 dell’eolico e gli 8,03 del gas), il nucleare viene considerato spesso una fonte per generare energia elettrica a basso costo. In realtà per individuare un quadro completo dei costi è necessario allargare la visione all’intero ciclo di produzione. Ossia, va considerato anche il costo dello smantellamento di una centrale, la bonifica del territorio e lo stoccaggio delle scorie radioattive. Basti sapere che per costruire la centrale nucleare Usa di Maine Yankee negli anni ‘60 sono stati investiti 231 milioni di dollari correnti. Per smantellarla sono necessari 635 milioni di dollari. Infine, gli esperti mettono l’accento sul fatto che i costi legati al nucleare rimarranno stabili o addirittura aumenteranno (si pensi, per esempio, al fatto che per un paese come l’Italia, che non ne dispone per conto proprio, sarà necessario importare l’uranio: che finirà, prima o poi, proprio come il petrolio). Questo mentre il costo, con investimenti inizialmente sostenuti, per il sostentamento le energie alternative, a cominciare dal fotovoltaico, nel tempo è destinato a diminuire.

Senza il nucleare siamo «meno europei»? Beh, è un fatto che la Germania, governata dalla democristiana Angela Merkel, abbia appena deciso di abbandonare il nucleare, né è un caso se la Francia, che ospita attualmente 58 centrali nucleari attive, sia seriamente tentata di farne a meno: il 62% dei nostri vicini transalpini vuole che il paese ne esca progressivamente (in 25-30 anni), mentre il 15% vorrebbe un’uscita immediata.

Capitolo acqua. Quali sono i vantaggi per i cittadini se la gestione dei servizi idrici avrà una corsia preferenziale per i privati? Nessuno. A parte la questione morale generale, secondo cui l’acqua di per sé deve rimanere il bene pubblico per eccellenza ed esser sottratto a logiche di mercato, è comunque assai dubbio che un suo parziale passaggio ai privati possa comportare un risparmio per la collettività. Vediamo perché. Tra gli altri, il referendum propone l’abrogazione del decreto per la parte che dispone che la tariffa per il servizio idrico sia determinata tenendo conto dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito. Detto così pare arabo, ma la sostanza è che la normativa permette al gestore del servizio idrico di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito: ebbene, cominciamo col dire che non vi è nessun collegamento a logiche di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio stesso. Detto ancora più in chiaro, la bolletta includerà, oltre ai lavori ordinari, anche gli utili delle aziende. Ovviamente, tutto il costo della gestione del servizio, compresi gli investimenti, è scaricato in bolletta. Dopodiché, oggi come oggi l’acqua in Italia costa circa un euro ogni mille litri, accessibile alla quasi totalità della cittadinanza praticamente senza limiti. È vero che la rete idrica del Bel Paese perde circa 40 litri ogni cento (ogni giorno circa 104 litri per abitante, il 27% di quella prelevata), ma gran parte di ciò che si perde comunque rientra in falda, e dunque torna agli acquedotti. Certo, nel campo dell’agricoltura va perduto circa il 60%, ma è praticamente impossibile che un qualsivoglia privato possa o intenda affrontare una spesa per ristrutturare la rete idrica nazionale che secondo il Conviri (commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche), supera i 64 miliardi di euro nei prossimi trenta anni.

È vero che laddove è stata attivata la gestione privata si sono abbassate le tariffe? Ovvio che no. Anzi. Basta confrontare le tariffe della gestione privata con quelle pubbliche. Risultato? Nel primo caso sono aumentate del 12% rispetto alle previsioni, nel secondo il dato è rimasto quasi costante (solo l’1% in più). Per esempio, si segnalano significativi aumenti in bolletta in Calabria, ad Agrigento, a Latina, dove gli acquedotti sono passati ai privati. Le bollette di Milano e Roma, al contrario, nello stesso tempo sono rimaste quasi invariate.

Legittimo impedimento: è vero che esiste anche negli altri paesi europei? No. Esiste l’immunità parlamentare, per esempio in Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito. In Francia e in Spagna è limitata ai reati commessi nell’esercizio della funzione. In Portogallo l’immunità non vale nei casi di flagranza di reato. In Italia il legittimo impedimento permette al premier di non presentarsi ai processi perché impegnato in attività di governo, preparatorie o consequenziali. La Consulta ha imposto modifiche di rilievo, conferendo il potere decisionale al giudice anziché al premier. Si vota per confermare la legge nella versione "riformulata" o cancellarla del tutto.

MEGLIO VOTARE: FA BENE A TUTTI
di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 7 giugno 2011)

Dice il ministro della Salute Ferruccio Fazio che per lui votare ai referendum sarà «un bel problema» perché è residente a Pantelleria: «Spero di farcela, ma se non vado a votare non sarà per motivi ideologici». I suoi colleghi Maurizio Sacconi, Altero Matteoli, Giorgia Meloni e Claudio Scajola spiegano invece che no, loro non ci andranno alle urne proprio per far fallire le consultazioni. Sulla stessa posizione sta Roberto Formigoni. Che a chi gli rinfacciava che «è grave che chi riveste un ruolo istituzionale dichiari di non voler partecipare a un istituto democratico che permette a tutti i cittadini di dire la propria», ha ricordato piccatissimo che «ai sensi delle leggi vigenti non vi è alcun obbligo per i cittadini di andare a votare». Compreso, ovvio, «il cittadino Formigoni». Il quale, dieci anni fa, quando il governo di sinistra fece esattamente come stavolta quello di destra e cioè rifiutò di abbinare le elezioni e il referendum sulla devolution lombarda fortissimamente voluto dal governatore e dalla Lega per non favorire il superamento del quorum, era furente: «Un killeraggio».
In realtà, come ricordava un giorno Filippo Ceccarelli, «chi è senza astensionismo scagli la prima pietra». Pier Ferdinando Casini, per dire, oggi si batte perché tutti vadano a votare ma sulla procreazione assistita era favorevole all'astensione pur avendo sostenuto nel 1997, quando l'invito ad «andare al mare» aveva mandato a monte, scusate il pasticcio, 7 quesiti, che «è sempre un giorno triste, quando le urne vengono disertate». E Piero Fassino, che a quell'appuntamento del 2005 era impegnatissimo a superare il quorum sulla procreazione, aveva due anni prima spiegato, a proposito dell'estensione dell'articolo 18 alle piccole imprese: «La strategia passa attraverso la richiesta ai cittadini di non partecipare». Perfino i radicali, che più coerentemente hanno sostenuto il valore democratico del voto referendario, hanno qualcosa da farsi perdonare. Fu Marco Pannella, infatti, a ventilare per primo l'ipotesi dell'astensione per far fallire lo scontro sulla scala mobile nel 1985. E da allora è sempre andata così. Da una parte quelli che vogliono vincere «pulito» con il quorum, dall'altra quelli che non vogliono rischiare di perdere e puntano a sommare il loro astensionismo a quello fisiologico. Indifferenti all'accusa, volta per volta ribaltata, di essere dei «furbetti».
Prima delle parole dette in questi giorni da Giorgio Napolitano, un altro presidente si era speso per la partecipazione. Carlo Azeglio Ciampi: «È ovvio che l'astensione è legittima, ma io ho votato per la prima volta a 26 anni, perché prima in Italia non era dato, e da allora l'ho sempre fatto perché considero il voto una conquista e un diritto da esercitare». Ecco, per costruire una democrazia compiuta, quali che siano i referendum sul tavolo, i valori in gioco, gli schieramenti politici, si potrebbe partire da qui. Dalla necessità di salvaguardare uno strumento di partecipazione che, dopo 24 fallimenti consecutivi a partire dal 1995, non possiamo più permetterci di mandare a vuoto. Certi cattolici come Mario Segni, controcorrente rispetto alle stesse scelte della Chiesa, decisero ad esempio di andare a votare anche sulla fecondazione assistita. Votarono da cattolici, non da atei, laicisti, anti-clericali. Ma votarono. Convinti che, se avessero vinto nelle urne, sarebbe stata una vittoria più bella che non quella ottenuta col trucco.

 

 

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07 giugno 2011
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