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Per una nuova riforma elettorale in Sicilia si pone il dilemma: usare la Cabala o la Smorfia napoletana?

13 luglio 2007

QUANDO LA POLITICA DIVENTA CABALA
di Agostino Spataro

Saranno i bollori di luglio o chissà cosa, fatto sta che intorno alla riforma elettorale degli enti locali all'Ars si è accesa una disputa, tutta interna al centro destra, che fa traballare lo stesso governo Cuffaro.
Addirittura, la polemica ha coinvolto l'on. Micciché il quale si è lasciato andare ben oltre i limiti del suo ruolo istituzionale di presidente dell'Ars, assumendo toni e piglio di capo di una parte politica.
Ora, si sa che capo lo è a tutti gli effetti (anche se in vetrina sono esposte facce più nuove), ma chi esercita il ruolo di super partes certi limiti non li dovrebbe oltrepassare.
Com'è noto, alla base di tanta agitazione c'è un accordo raggiunto fra maggioranza e opposizione (già all'esame della commissione parlamentare di merito) che prevede, fra l'altro, l'estensione agli enti locali dello sbarramento al 5%, introdotto nella legge elettorale regionale.
Insomma, uno sbarramento fotocopia che nel 2006 ha funzionato alla perfezione, a vantaggio dei partiti maggiori.

Anche se bisogna constatare che le maggiori attribuzioni di seggi non hanno cambiato di una virgola lo stile di governo e le modalità di funzionamento di un'Assemblea che si arroga prerogative, ed emolumenti, pari a quelle del Senato della repubblica, ma funziona peggio di un consiglio comunale.
I nodi ci sono e sono tanti e nessuno vuole negarli. Il problema, semmai, è come scioglierli: se per favorire singoli partiti o il buon funzionamento del sistema.
Anche perché non è facile riuscire a conciliare due esigenze giuste ma considerate contrapposte: l'ampiezza della rappresentanza e l'efficienza amministrativa.
Questo è il vero punto politico che dovrebbe orientare il confronto all'Ars e la ricerca nella società siciliana, purtroppo sempre più lontana dalla politica e dai suoi centri decisionali.
Per questo, la riforma elettorale non può limitarsi alla riduzione, giustissima, dei ''costi della politica'', mediante modici tagli alla consistenza numerica dei consigli comunali, provinciali o di circoscrizione e delle rispettive giunte.
Questo è necessario, ma non bastevole. Se non si vuole una riforma monca bisogna intervenire su altri aspetti non meno importanti che attengono le modalità di funzionamento degli organismi elettivi (consigli e giunte), e le competenze ad essi attribuite, compresi quelle di sindaci e presidenti che spesso si svolgono senza adeguati controlli.

E' principio di democrazia e di trasparenza che chi decide e/o maneggia denaro pubblico debba essere sottoposto al controllo, anche preventivo, delle istanze rappresentative della volontà popolare. E visto che ci siamo, bisognerebbe abolire, anche nel linguaggio giornalistico, un'attitudine diseducativa secondo cui: il presidente, il sindaco o l'assessore dispone e/o concede un determinato finanziamento a questo o tal'altro come se si trattasse di affari privati gestiti con fondi propri. E' bene non dimenticare che nella pubblica amministrazione tutto si fa in nome dell'Ente  rappresentato e quello che viene dato non è un dono personale ma un diritto legittimo. Altrimenti, cambia la natura e la finalità politica e morale dell'intervento.
Da ciò ne consegue la necessità di ridisegnare le linee delle politiche di bilancio degli enti locali, per altro destinati a reggersi sempre più su risorse proprie. Fra le riduzioni dei costi della politica bisogna annoverare quella per reclutare ''consulenti'', che spesso tali non sono, il cui onere è divenuto insopportabile per amministrazioni indebitate fino al collo o addirittura al limite del dissesto finanziario. Oltre allo spreco, c'è da rilevare che il ricorso disinvolto ai ''consulenti'' mortifica importanti risorse umane già presenti, ma inutilizzate, nella pubblica amministrazione siciliana e pregiudica la formazione di nuovi e più efficienti quadri dirigenti.
Di questo e di altro non si parla nelle infuocate dichiarazioni di guerra dei vari esponenti della CdL che minacciano di affossare un accordo che pareva ''di ferro''.

Tutto ciò nel centro-destra. E nel centro-sinistra? Leggendo i giornali, al cittadino non è dato sapere che cosa pensino, e soprattutto cosa stiano facendo su tale vibrante materia, i gruppi del centro-sinistra che pure all'Ars dispongono di una rappresentanza corposa di 35 seggi su 90.
C'è forse una congiura mediatica contro l'Unione? Non si direbbe.
Il rischio è quello di restare alla finestra ad assistere passivamente allo scontro fra settori della CdL che non sembrano interessati ad una riforma organica, unitaria e di garanzia per tutti, per l'oggi e per il domani. Appare chiaro che queste forze vorrebbero una riforma fatta su misura, per se stessi e/o per consentire a qualche partito alleato di continuare all'infinito il giochetto delle pluri-liste o delle liste fai-da-te. Si guarda, cioè, alle convenienze particolaristiche, ingiustificabili, perciò si arrabattano sulle percentuali dello sbarramento, ognuno proponendo un numero: 3, 4, 5.
E attraverso i numeri si lanciano messaggi cifrati a chi di dovere. Quasi che la politica fosse diventata una cabala o la smorfia napoletana.
Com'è noto, le due pratiche, falsamente divinatorie, perseguono lo stesso fine, anche se con una diversa metodologia: la cabala presume d'indovinare desideri e combinazioni future attraverso i numeri, mentre la smorfia pretende d'interpretare i sogni riducendoli a numero.
Certo, in una riforma elettorale i numeri sono importanti, tuttavia l'aspetto principale è la direzione di marcia che la bussola della politica deve indicare per capovolgere il senso di queste astruse polemiche numerali: prima un progetto vero e condiviso e poi i numeri per regolarlo.

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13 luglio 2007
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