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Perché la gran parte dei flussi migratori clandestini raggiunge l'Europa attraverso la Sicilia? Un articolo di A. Spataro

21 agosto 2006

Le strane rotte che portano gli immigrati in Sicilia *
di Agostino Spataro

Analizzando il corso attuale dei flussi migratori mediterranei sorge un interrogativo che nessuno riesce (o vuole) chiarire all'opinione pubblica: perché la gran parte di tali flussi raggiunge l'Europa attraverso la Sicilia?
La questione non è peregrina poiché produce una serie di effetti a catena sul sistema delle relazioni italo-libiche e, in particolare, sulla Sicilia che vanta il non-invidiabile privilegio di essere, al contempo, generatrice di emigrazione e terra di accoglienza e di transito d'importanti flussi d'immigrati.
Un fenomeno atipico dovuto a diversi fattori. In particolare al fatto di essere un'economia debole e largamente sommersa (quando non illecita) e alla sua collocazione geografica che ne fa una piattaforma posta al confine fra il primo mondo, ricco e iper-industrializzato, e gli altri mondi (2°, 3°, 4° ecc) il cui rango discende dal posto occupato nella graduatoria della povertà.
Alla faccia della globalizzazione!
La Sicilia svolge, in sostanza, un ruolo anomalo impostole dai poteri forti e dalle loro menti direttrici che pare le abbiano affidato la funzione di porta principale dei flussi clandestini per il rifornimento del mercato europeo di manodopera a basso costo.

Ma perché solo la Sicilia?

Se per gli immigrati il problema è quello di raggiungere un lembo qualsiasi d'Europa per poi distribuirsi sul continente, allora non si capisce perché le organizzazioni del traffico hanno optato per la Sicilia, visto che sulla costa europea del Mediterraneo vi sono tanti altri approdi più vicini ed agevoli.
Basta osservare la carta geografica e misurare le distanze fra la costa africana e mediorientale e i possibili punti d'approdo in Europa, per accorgersi che la rotta Libia-Sicilia è la più lunga e, perciò, la più illogica e pericolosa fra le tante praticabili. Eppure - si stima - che circa l'80% di tali flussi si diriga verso le coste siciliane attraverso questa specie di ponte della disperazione, lungo oltre 300 miglia di mare.
E' arcinoto che la gran massa dei disperati provenienti dall'Africa (compresi marocchini e algerini) evitano lo stretto di Gibilterra, si sobbarcano altre migliaia di km e sofferenze indicibili per raggiungere i campi di raccolta in Libia e da qui imbarcarsi per la lunga (e talvolta tragica) traversata verso la Sicilia. Da notare che Malta viene saltata anche se si trova a metà strada ed è il primo lembo d'Europa lungo questa rotta.
Un giro molto disagevole e perciò strano, molto strano per non essere sospetto, quando si pensa che esistono altre rotte molto più agevoli di quella praticata.
Infatti, oltre allo stretto di Gibilterra (largo 34 km), ci sarebbe quello dei Dardanelli (Turchia) che con meno rischi consentirebbe di raggiungere la Grecia o, attraverso le vie dei Balcani molto più aduse ai traffici clandestini, l'Europa centro-orientale. Più breve, inoltre, è la distanza che separa la costa libica dall'isola di Creta o la costa algerina dalla Sardegna (entrambe grandi isoli europee) o quella fra Tunisia e Sicilia ch'era la vecchia rotta stranamente abbandonata dai trafficanti.
Tutto, invece, si svolge lungo l'asse Libia- Sicilia. Normalmente. Come se si trattasse di turismo da crociera.

Chi conosce un po' questo Paese sa benissimo che un traffico di esseri umani di tali proporzioni  non può sfuggire all'occhio vigile di un regime dotato di un efficacissimo sistema di controlli.
Un sistema - per capirci - che ha consentito a Gheddafi di mantenersi, per 36 anni, saldamente al potere e di sopravvivere a decine d'attentati e di tentativi di colpi di stato, taluni organizzati dai  servizi delle più grandi potenze mondiali o con la loro complicità.
Quindi, nessuno crede alla frottola secondo la quale in un paese siffatto possano circolare impunemente, sprovvisti di documenti e di cibo, centinaia di migliaia (c'è chi dice milioni) di clandestini provenienti dai quattro angoli del pianeta-fame, in attesa d’imbarcarsi per la Sicilia.
A noi sfuggono le ragioni di tali comportamenti, soprattutto quelli inerenti la sfera politica e governativa. Si possono formulare solo ipotesi oppure chiedere ragguagli al signor Abdul Rahman Shalgam, brillante suonatore di ''aud'' (liuto) e attuale ministro degli esteri libico, un tempo molto amico della Sicilia e, in generale, dell'Italia.
Ma lasciamo perdere, sono soltanto ricordi personali. Oggi in Libia la situazione è profondamente cambiata. Il vecchio ceto dirigente, sempre al potere, si trova a gestire interessi e relazioni molto diversi di quelli di qualche anno fa.
E' chiaro però che la Sicilia non potrà sopportare a lungo un traffico così ingente e problematico. Le diplomazie italiana ed europea dovrebbero attivarsi al Massimo livello, sulla base di proposte un po' più serie delle precedenti, per avviare un negoziato che porti, entro un tempo ragionevole, ad una consistente riduzione e regolamentazione dei flussi e ad un accordo chiaro contro tutti i traffici clandestini fra le due sponde.
Le nuove norme sugli accessi, annunciate dal governo italiano, la lunga telefonata di Prodi a Gheddafi, potrebbero favorire un clima propizio per l'intesa e consentire ai lavoratori immigrati di svincolarsi dalle maglie della tratta clandestina. Fra Sicilia e Libia, così come con altri paesi mediterranei, non possono continuare tali turpi commerci, ma bisogna intensificare il dialogo culturale e gli scambi di beni e servizi per costruire insieme un futuro di libertà e di prosperità, nella pace e nella solidarietà.

* Pubblicato in ''La Repubblica/Pa'' dell'11 agosto 2006

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21 agosto 2006
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