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Povertà & disuguaglianza

1,5 milioni di italiani non arrivano a 800 euro al mese, il 20% delle famiglie più agiate ha il 40% delle ricchezze

26 maggio 2006

In Italia si sa bene cos'è la povertà, e non stiamo parlando di quella risalente a sessant'anni fa, ma a quella che da otto anni a questa parte non è minimamente calata. La stagnazione economica in Italia si è tradotta in una accentuazione delle diseguaglianze di reddito, in una sostanziale cristallizzazione della povertà e in una rigidità della mobilità sociale. La nazione, infatti, si trova tra i Paesi europei dove esiste il maggiore divario tra ricchi e poveri: in pratica i redditi sono male distribuiti. Circa 4,2 milioni di lavoratori guadagna meno di 780 euro al mese.
Questi primi dati segnalati si trovano nel Rapporto annuale Istat 2005 sullo stato dell'economia nazionale.

In Italia ''ci sono oltre 4 milioni di lavoratori a basso reddito, sotto i 700 euro mensili, di cui 1,5 milioni vive in famiglie in condizioni di disagio economico'', ha ricordato il presidente dell'Istat Luigi Biggeri nella sua relazione. Le famiglie in condizione di povertà relativa sono 2,6 milioni, pari all'11,7% del totale e corrispondenti a 7,6 milioni di persone. Il valore dell'incidenza della povertà tra le famiglie, rileva l'Istat, è rimasto pressoché stabile negli ultimi otto anni (tra il 10,8 e il 12,3%). La povertà riguarda in particolare il Mezzogiorno, le famiglie con un elevato numero di componenti, gli anziani soli, le famiglie con disoccupati.

La stagnazione economica poi, va ad aderire perfettamente con quella sociale: l'Italia insieme a Francia, Germania e Irlanda si colloca tra i Paesi con un basso grado di fluidità sociale. Al contrario Norvegia, Paesi Bassi e Svezia mostrano minori disuguaglianze in termini di opportunità di mobilità. Tra le classi sociali più ''statiche'' ci sono la piccola borghesia agricola e la classe operaia agricola: le donne, in particolare, hanno una probabilità maggiore di permanervi.
Altra grave sofferenza italiana è quella provocata dalle forti disuaglianze di reddito. Nel 2003 il reddito netto delle famiglie residenti in Italia, ha rilevato l'Istat, è stato in media di 24.050 euro, pari a circa 2.079 euro al mese. Le famiglie che hanno come fonte principale il reddito da lavoro autonomo possono contare, in media, su entrate maggiori: il loro reddito annuo nel 2003 è stato di 35.777 euro (2.980 euro al mese). Una famiglia su due ha un reddito mensile netto inferiore a 1.670 euro. L'Italia è infatti caratterizzata da un grado di disuguaglianza piuttosto elevato (superiore a 0,30), analogo solo a quello di Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia. Le famiglie con i redditi più bassi percepiscono soltanto il 7,9% dei reddito totale, mentre la quota del quinto più ricco risulta quasi cinque volte maggiore (38,8%).

Al Sud (dato facilmente prevedibile, purtroppo) i più poveri. Il divario tra il reddito familiare medio del Nord e quello del Sud risulta di 9.068 euro (-27,5%). Il 50,3% delle famiglie del Nord appartiene ai due quinti "più ricchi" (l'Istat ha effettuato una ipotetica divisione in cinque quinti degli italiani, per calcolare al meglio le differenze di reddito) con redditi alti e medio-alti, contro il 46,8% delle famiglie del Centro e il 20,6% di quelle che vivono nel Sud e nelle Isole.
Il reddito ha come conseguenza diretta la differenziazione della spesa per ogni famiglia. L'incidenza delle spese per l'abitazione sul reddito è infatti del 9,2% per le famiglie più ricche e del 30,7% per quelle più povere, in particolare per quelle che vivono in affitto. Inoltre le famiglie più povere, rileva sempre l'Istat, si trovano costrette a risparmiare sulla qualità: circa un quarto ha scelto di comprare prodotti di qualità più bassa, compresi quelli di prima necessità, dalla pasta alla frutta e verdura.  Le stesse famiglie, ci dice ancora l'Istat, hanno una probabilità di ridurre la quantità degli acquisti di generi alimentari del 20% superiore rispetto a quelle moderatamente povere e una probabilità di acquistare prodotti di qualità inferiore di quasi il 50% in più. Per abbigliamento e calzature funziona anche una strategia di riduzione della quantità. Nel Mezzogiorno il 13,5% delle famiglie (contro una media nazionale del 7%) ha dichiarato di non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni. Al Sud il 21% delle famiglie non riesce a riscaldare adeguatamente la casa. Un terzo delle famiglie dichiara di arrivare con molta difficoltà a fine mese, il 27,5% non riesce a far fronte a una spesa imprevista di mille euro e solo il 26% è riuscita a mettere da parte dei risparmi nell'ultimo anno.

Per quanto riguarda invece la spesa sociale, l'Istat  rileva, che questa non ha un effetto di compensazione delle disuaglianze, perché è in linea con il reddito delle regioni. Pertanto, i livelli di spesa sociale più elevati si riscontrano in generale nelle regioni del Nord, e inoltre nel 2003 gli incrementi maggiori della spesa sociale hanno riguardato il Nord-Ovest, circa 1.300 euro; i più bassi le regioni del Sud con 685 euro. Anche l'offerta di interventi e servizi è decisamente inferiore alla media nelle regioni meridionali. In generale, comunque, l'Italia si colloca leggermente al di sotto della media dei Paesi dell'Unione Europea per l'incidenza della spesa sociale sul Pil.

- Rapporto annuale Istat 2005

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26 maggio 2006
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