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PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE MONDELLO XL EDIZIONE

I VINCITORI, LE OPERE PREMIATE E LE MOTIVAZIONI UFFICIALI

17 aprile 2014

I VINCITORI DEL PREMIO OPERA ITALIANA

Irene Chias - Esercizi di sevizia e seduzione (Mondadori)
Irene Chias, è nata a Erice (TP) nel 1973. Ha vissuto a Trapani, Agrigento e Roma, dove si è laureata in Lettere. Fra il 1996 e il 1998 ha condotto studi postgraduate a Londra presso la facoltà di Social Sciences della Brunel University. Dopo una breve parentesi nel mondo della scuola come insegnante, ha iniziato a lavorare come giornalista di attualità internazionale a Euronews, emittente televisiva con base a Lione, dove ha vissuto fino al 2003. Lasciata la Francia per Milano, ha iniziato a occuparsi, sempre come giornalista, di economia e finanzia presso un'agenzia di stampa internazionale. Ha pubblicato diversi racconti e, nel 2010, Sono ateo e ti amo, un romanzo che narra la difficile relazione fra i bisogni contrapposti del distacco e di un ritorno alle origini. Nel 2013 pubblica con Mondadori Esercizi di sevizia e seduzione.

L’opera premiata - Ignazia, figlia di genitori siciliani, vive a Milano dove fa l'architetta precaria e, senza averlo cercato, si imbatte in un ginecologo simpatico e gentile che la conquista in punta di piedi. Ma Ignazia ha anche una segreta missione a nome di tutte le donne (e non solo), lontana sia dall'impegno collettivo dei cortei neofemministi sia dalla dimensione glamour alla Sex and the City: leggendo la letteratura di ogni tempo si è resa conto di come qualsiasi forma di violenza sul corpo delle donne sia considerata più che normale, mentre l'equivalente ai danni di un maschio fa inorridire. È così che Ignazia si dedica a un esercizio che non è solo di stile: sceglie con cura pagine letterarie che descrivono la violenza sulle donne e le riscrive al maschile, con gli uomini come vittime. Ma non finisce qui. Senza troppa fatica Ignazia seduce uomini in carne e ossa, scelti in quanto prototipi di maschilismo, e li costringe ad ascoltare le sue pagine fino a terrorizzarli, iniettandogli infine una potente dose di ossitocina, ormone che favorisce il rilassamento, la fiducia e l'amore. Ignazia non è un'eroina, non si definisce una giustiziera: al massimo una serial scarer, una spaventatrice seriale. È una donna normale, semplicemente stanca dei luoghi comuni.

La motivazione espressa dal Comitato di Selezione - Il punto di partenza del romanzo è questo: che la violenza di un uomo su una donna sia un fatto normale, da ascrivere a un più ampio “ordine naturale”. Da qui il “colpo di reni” dell’immaginario della Chias: fare dell’inaccettabilità dell’abuso ai danni degli uomini il motore mobile della narrazione. Una sorta di tarlo, inoculato nella testa di Ignazia Gugliaro, figlia di una famiglia di pescatori siciliani (laureata in architettura, residente in una Milano urticante), che un bel giorno, per contrastare questa assuefazione culturale di stampo tronfiamente patriarcale, verga una sorta di dichiarazione programmatica: Ignazia vuole riequilibrare la percezione di normalità dell’abuso sessuale fra i due generi. In che modo? Infliggendo ad alcune vittime designate, uomini agghiaccianti seppur a tutta prima normali, opportunamente adescati, la lettura dei suoi esercizi di stile: frutto dell’attenta selezione di pagine letterarie che descrivono la violenza sulle donne e della conseguente riscrittura al maschile, con gli uomini quali vittime designate. Per le sue sevizie letterarie, Ignazia si rivolge a una costellazione di autori di tutto rispetto: Ellis Bret Easton, l’autore di American Psycho, Anthony Burgess, ovviamente per Arancia meccanica, addirittura alcuni passi della Bibbia. Ne viene fuori una sorta di incubo alla marchese De Sade, seppure capovolto, che pian piano si fa romanzo di lacerante antropologia negativa. Con risvolti surreali, a tratti irresistibili: l’autrice sa essere efficacemente graffiante e sarcastica, nella messa a punto dei tragicomici siparietti. La sua pronuncia, contaminata umoristicamente con la koinè della medicina è veloce, le battute contro la deriva maschilista e l’immaginario fallologocentrico si alternano con la velocità di imprevedibili cortocircuiti.

Giorgio Falco - La gemella H (Einaudi - Stile Libero)
Giorgio Falco è nato nel 1967. Il suo esordio letterario avviene con la raccolta di racconti Pausa Caffè, edita da Sironi editore nel 2004, cui segue, nel 2009, la raccolta L'ubicazione del bene, edita da Einaudi, che riceve ottimi riscontri di critica. Il libro vince il Premio Pisa nel 2009. Nel 2011 pubblica La compagnia del corpo. Nel 2014 pubblica il romanzo La gemella H, edito da Einaudi. Ha scritto racconti per riviste e per antologie. Collabora con il quotidiano la Repubblica.

L'opera premiata - Giorgio Falco racconta in questo romanzo come il cuore segreto dei totalitarismi sopravviva oggi in noi. Un'opera che restituisce alla letteratura il suo ruolo di svelamento di un'intera epoca, nella quale siamo ancora immersi. La voce de La gemella H non è solo quella di Hilde: è un crepaccio che inghiotte le parole di tutti. La storia comincia nel 1933, a Bockburg, cittadina bavarese, dove nascono le gemelle Hinner, Hilde e Helga. Il padre Hans dirige il giornale locale, e spinto dall'ambizione vive sino in fondo gli anni del Terzo Reich, qui narrati da una prospettiva del tutto inedita: la merce. I debiti per la casa, la rincorsa all'automobile lussuosa, l'appropriazione della villetta del vicino ebreo, che dà inizio a una seria di speculazioni immobiliari, prima in Germania poi in Italia. Dal bagnino della piscina di Merano alle commesse della Rinascente nel dopoguerra milanese, fino alle sonnolenti stagioni balneari della Riviera romagnola, il racconto di «due mondi che si uniscono per sempre». La storia di tre generazioni della famiglia Hinner, che dalla Germania di Hitler arriva all'Italia dei giorni nostri. A parlare è Hilde, testimone della sua stessa esistenza, ribelle inerte nel mondo progettato dal padre, dai padri. La sua voce, ora laconica ora straripante, narra ottant'anni di vicende private intimamente intrecciate al Novecento, «all'alba dei grandi magazzini», al turismo di massa, all'ossessione del corpo. Fino a innescare un cortocircuito che fa esplodere il nostro presente, denudandolo come mai prima era stato fatto. Se I Buddenbrook ripercorreva la decadenza di una famiglia tedesca dell'Ottocento, La gemella H non può che registrare il giornaliero «assecondare il flusso di eventi travestiti da soldi» di una famiglia ossessionata dai beni e compromessa con il Male. Decisa a dimenticare, pur di salvarsi.

La motivazione espressa dal Comitato di Selezione - Con La gemella H Giorgio Falco realizza una notevole narrazione che unisce finzione letteraria e precisa ricostruzione storica. Il romanzo attraversa la storia tedesca e italiana dal 1933 al 2000, facendola passare attraverso la vita piccola delle due gemelle Hilde e Helga, figlie di Hans Hinner, dapprima giornalista convintamente fiancheggiatore del regime hitleriano, poi, dopo la guerra, albergatore a Milano Marittima. Falco racconta in questo modo la sconvolgente continuità dal Fascismo al Dopoguerra, presentandola nella sua più dimensione quotidiana, priva non solo di eroismo, ma addirittura di consapevolezza. Giorgio Falco lavora essenzialmente a due livelli. Il primo è quello dello stile, dove il carattere equitonale, semplice, addirittura piatto della scrittura rende banalmente normali gli stravolgimenti del Nazismo, della guerra mondiale e del periodo successivo, se possibile ancora più feroce. Il secondo livello è invece quello narrativo, che agisce in maniera molto sottile, creando inaspettati parallelismi tra chi ha approfittato della violenza aguzzina e chi, incolpevole ai tempi del Fascismo, ne ripete, inconsapevole, alcune forme di prepotenza. La continuità del tempo è inoltre rappresentata dalla presenza di Blondi, il cane delle gemelle che porta lo stesso nome del cane di Hitler, il quale, dopo la sua prima comparsa nel 1938, accompagna la storia sino alla sua ultima pagina. Vi è qui dunque un terzo livello, che è quello dell’allegoria, con il quale Giorgio Falco prolunga una storia del passato fino alle pagine giornalistiche di oggi, di domani. Si spiega così, infine, l’intelligenza del titolo, che riduce la gemellarità a unicità: come succede nella conclusione della storia, quando la prospettiva di Hilde, con la quale il lettore ha seguito lo svolgersi della vicenda, viene all’improvvisa sospesa, per lasciare tutto lo spazio all’altra gemella, Helga: ma nulla cambia a livello dello stile; una voce vale l’altra, quando ci si è limitati ad attraversare il mondo senza cercare di scegliere, o almeno di comprendere, la propria posizione.

Francesco Pecoraro - La vita in tempo di pace (Ponte alle Grazie)
Francesco Pecoraro (1945) è nato a Roma, dove vive. Nel 2007 ha pubblicato per Mondadori i racconti Dove credi di andare, con cui ha vinto il Premio Berto, il Premio Napoli ed è entrato in finale al Premio Chiara. Nel 2008 ha pubblicato Questa e altre preistorie, Le Lettere, scelta di pezzi tratti dal suo blog www.tashtego.splinder.com. Nel 2012 è uscita una sua raccolta di versi, Primordio vertebrale, editore Ponte Sisto. Suoi racconti sono apparsi tra l’altro su: l’Unità, Il Corriere del Mezzogiorno, Il Caffè Illustrato, Nuovi Argomenti, Nero, Sud.

L’opera premiata - L'ingegner Ivo Brandani è sempre vissuto in tempo di pace. Quando il libro comincia, il 29 maggio 2015, Ivo ha sessantanove anni, è disilluso, arrabbiato, morbosamente attaccato alla vita. Lavora per conto di una multinazionale a un progetto segreto e sconcertante, la ricostruzione in materiali sintetici della barriera corallina del Mar Rosso: quella vera sta morendo per l'inquinamento atmosferico. Nel limbo sognante di un viaggio di ritorno dall'Egitto, si ricompongono a ritroso le varie fasi della sua esistenza di piccolo borghese: la decadenza profonda degli anni Duemila, i soprusi e le ipocrisie di un Paese travolto dal servilismo e dalla burocrazia, il sogno illusorio di un luogo incontaminato e incorruttibile, l'Egeo. E poi, ancora indietro nel tempo, le lotte studentesche degli anni Sessanta, la scoperta dell'amore e del sesso, fino ad arrivare al mondo barbarico del dopoguerra, in cui Brandani ha vissuto gli incubi e le sfide della prima infanzia. Chirurgico e torrenziale, divagante e avvincente, "La vita in tempo di pace" racconta, dal punto di vista di un antieroe lucidissimo, la storia del nostro Paese e le contraddizioni della nostra borghesia: le debolezze, le aspirazioni, gli slanci e le sporcizie, quel che ci illudevamo di essere e quel che alla fine, nostro malgrado, siamo diventati.

La motivazione espressa dal Comitato di Selezione - La vita in tempo di pace (Ponte alle Grazie) di Francesco Pecoraro è un romanzo di insolita radicalità, che guarda alla attuale crisi di civiltà con uno sguardo affilato e una tensione stilistica capace di connettere in modo originale narrazione e cronaca, diario morale e saggio personale. Protagonista è l’ingegner Ivo Brandani, 69enne, "perseguitato dal senso della catastrofe", ovunque si manifesti (aereo che può cadere, edificio che può crollare, presa di corrente che può andare in corto, etc.), e con tale senso della catastrofe attraversa 50 anni di storia italiana (ripieni di gadget e icone d’antan, dal Reader’s digest alla moto Guzzi 500), tentando di dilatare il dettagli per neutralizzarne la carica distruttiva. Quando studia la conquista turca di Bisanzio nel 1453 infatti si sofferma su ciò che avviene sotto la battaglia, nell’infinitamente piccolo. Il suo è un punto di vista ad altezza di battèri! Eppure l’autore non cede al fascino discreto della catastrofe. Nell’ultimo capitolo il padre del protagonista torna dal fronte per andare da lei, che vive in campagna: il viaggio è scandito da uno struggente "non ancora...", fino all’abbraccio fisico e dunque alla nascita dello stesso Brandani. Quel "non ancora" rivela - pur entro una narrazione buia, terminale - una palpitante utopia e un principio di possibile redenzione che non lascia alla morte l'ultima parola.

IL VINCITORE DEL PREMIO AUTORE STRANIERO

Joe R. Lansdale
Nato e cresciuto in Texas, Joe R. Lansdale, è autore di più di trenta romanzi e di centinaia di racconti. Capace di scrivere indifferentemente horror, fantascienza, western, noir, è da alcuni considerato l'unico vero scrittore pulp oggi esistente. Quando non lavora alla narrativa, scrive per il fumetto, la televisione, il cinema, il web e la stampa. Vincitore di numerosi premi fra cui l’Edgar Award, l’Horror Writers Association Lifetime Achievement Award, il British Fantasy Award, il Grinzane Cavour, è Writer In Residence alla Stephen F. Austin State University, è anche il fondatore del metodo per le arti marziali Shen Chuan. Vive a Nacogdoches nel Texas con sua moglie Karen, un cane e due gatti. Nel 2013 Einaudi ha pubblicato La foresta e Una coppia perfetta. I racconti di Hap e Leonard (Stile libero Big). In passato sempre con Einaudi ha pubblicato: La notte del drive-in, Il mambo degli orsi, Bad Chili, La sottile linea scura, Rumble Tumble, Capitani oltraggiosi, In un tempo freddo e oscuro, Una stagione selvaggia, Mucho Mojo, Tramonto e polvere, e Cielo di sabbia, Drive-in. La trilogia, e Acqua buia. È in uscita a maggio sempre per Feltrinelli Notizie dalle tenebre.

La motivazione espressa dal giudice monocratico Niccolò Ammaniti - Quando ho letto, oramai parecchi anni fa, La notte del Drive in di Joe Lansdale avevo idee chiare e sbagliate sulla letteratura. Gli scrittori, nella mia mente, abitavano in uno zoo, imprigionati in tanti recinti. C’era il recinto dei giallisti, quello degli scrittori di fantascienza, quello degli autori di romanzi rosa e così via. Poi, in questo meraviglioso zoo, c’erano gli scrittori con la s maiuscola che si potevano muovere con più disinvoltura, in spazi più larghi: Dostoevskij, Roth, Maupassant e tutti gli altri. Ma anche loro, a guardare bene, avevano una fastidiosa etichetta appiccicata sulla fronte che diceva maestro. E poi, ho scoperto, che c’era questo strano essere, completamente folle e imprevedibile, che saltava da un recinto all’altro ed era impossibile capire di che razza fosse. Quello era Joe Lansdale. Un autore che sguscia come un polipo tra le maglie dei generi e semplicemente racconta con la necessità di un bambino e la saggezza di chi ama la letteratura e sa che alla fine è fatta solo di storie.

IL VINCITORE DEL PREMIO MONDELLO CRITICA

Enrico Testa - L’italiano nascosto (Piccola Biblioteca Einaudi)
Enrico Testa è nato nel 1956 a Genova, dove insegna Storia della lingua italiana all'università. Dopo Le faticose attese (San Marco dei Giustiniani 1988), ha pubblicato da Einaudi le raccolte poetiche In controtempo (1994), La sostituzione (2001), Pasqua di neve (2008) e Ablativo (2013). Sempre per Einaudi ha curato il Quaderno di traduzioni di Giorgio Caproni (1998), l'antologia Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 (2005) e L'esistenza. Tutte le poesie 1980 - 1992 di Alberto Vigevani (2010). Tra i suoi saggi: Lo stile semplice. Discorso e romanzo (Einaudi 1997), Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento (Bulzoni 1999), Montale (Einaudi 2000), Eroi e figuranti. Il personaggio nel romanzo (Einaudi 2009), Una costanza sfigurata. Lo statuto del soggetto nella poesia di Sanguineti (Interlinea 2012), L'italiano nascosto. Una storia linguistica e culturale (Einaudi 2014).

L’opera premiata - L'interpretazione della storia dell'italiano si è a lungo fondata sulla cesura tra lingua letteraria e dialetti: da un lato raffinati cesellatori della pagina, dall'altro una schiera di rozzi interpreti degli idiomi locali. Utilizzando studi recenti e commentando numerosi documenti, anche inediti o rari, questo libro di Enrico Testa propone una visione radicalmente diversa e prospetta l'esistenza, nel corso dei secoli, di una terza componente: un italiano di comunicazione dalla vita nascosta, privo di ambizioni estetiche ma utile a farsi capire. Uno strumento linguistico spesso trasandato che, basato su una forte stabilità di strutture e su un'identità di lunga durata, ha permesso, sotto la spinta di bisogni primari, il concreto definirsi di rapporti tra scriventi (e parlanti) di luoghi e statuti sociali diversi.

La motivazione espressa dal Comitato di Selezione - Enrico Testa in L’italiano nascosto (Piccola Biblioteca Einaudi) mostra come la nostra lingua prima dell’Unità non fosse riservata alla letteratura e ai documenti scritti, come pure vuole una vulgata finora imperiosa e quasi indiscussa della linguistica, ma veniva usata per comunicare tra scriventi e parlanti di luoghi e strati sociali differenti, oltre i dialetti locali. L’italiano, benché impoverito e semplificato, ma sempre “ad alta funzione pragmatica”, è stato una lingua parlata, dunque viva, non cartacea e polverosa, già dalla fine del ’400, molto tempo prima della scuola dell’obbligo e della TV. Quello di Testa è un “racconto” limpido, persuasivo, coerente, affollato da mercanti, pescivendoli, ciabattini, soldati, monaci e briganti, e sapientemente affidato a una documentazione puntigliosa, che potrebbe ridurre la distanza tra lingua letteraria (congelata in una condizione di separatezza dai motivi e dalle espressioni legati alla proteiforme condizione umana) e lingua dell’uso e ridare un po’ di fiducia alla possibilità espressiva e comunicativa dell’italiano “pidocchiale”, per dirla con Tommaso Landolfi, quello della vita nascosta.

IL VINCITORE DEL PREMIO SPECIALE "40 ANNI DI MONDELLO"

GIPI (Gianni Pacinotti) - unastoria (Coconino Press)
GIPI (Gianni Pacinotti) nasce a Pisa nel 1963. Nel 1994 inizia a pubblicare vignette e racconti brevi sulla rivista satirica Cuore. Le prime storie a fumetti escono sul mensile Blue. Per la casa editrice Coconino Press ha realizzato diversi libri: da Esterno Notte ad Appunti per una storia di guerra, premiato come Miglior fumetto dell'anno al Festival internazionale di Angouleme nel 2006. Tra le altre sue opere Questa è la stanza, la serie Baci dalla provincia, S., La mia vita disegnata male, l'antologia Diario di fiume, Verticali e l'ultimo graphic novel unastoria. Gipi è anche illustratore per La Repubblica e collabora con il settimanale Internazionale. Nel 2011 ha debuttato come regista cinematografico con il film L’ultimo terrestre, prodotto da Fandango e presentato con successo al Festival di Venezia. In seguito ha realizzato il mediometraggio Smettere di fumare fumando e un videoclip per la band dei Massimo Volume.

L’opera premiata - "Unastoria" sono due storie. Quella di Silvano Landi, uno scrittore che alla soglia dei cinquant'anni vede la sua vita andare in pezzi e quella del suo antenato Mauro, soldato nella carneficina della Prima guerra mondiale. Sotto i cieli di una natura magnifica e crudele, ieri come oggi, Gipi racconta la fragilità e la bellezza, le lacrime e le speranze degli uomini. La storia di un'eterna caduta nell'abisso e di come, nonostante tutto, ogni volta ci si possa rialzare.

La motivazione espressa dal Comitato di Selezione - Unastoria di GIPI, disegnatore e narratore abilissimo, è probabilmente un capolavoro. Inserendosi in una ormai ben delineata tradizione internazionale che utilizza il graphic novel per raccontare la guerra e i suoi effetti dolorosi nel tempo (si pensi a Spiegelman o a Tardie), l’artista pisano allinea quattro generazioni, che si confrontano in modo diverso con la Grande Guerra, cui ha partecipato il nonno del protagonista, scrittore cinquantenne in preda a una gravissima instabilità emotiva che lo costringe a passare alcuni mesi in una clinica psichiatrica.
Gipi utilizza alternatamente diverse tecniche, dall’acquerello al semplice disegno a china senza ombreggiature, riuscendo così non solo a differenziare i momenti della narrazione (oggi, ieri, il passato ormai remoto della vita in trincea), ma soprattutto a scandire il progressivo intrecciarsi di questi tempi così diversi e lontani tra loro.

La storia parallela dell’internamento in clinica e del doloroso confronto con la figlia (e, prima, con la moglie) si risolve così, dal punto di vista narrativo, nel progressivo disvelarsi dell’origine del trauma, che è la rivelazione del fatto che chi sopravvive alla guerra è sempre colpevole. Romanzo sul tempo (il tempo cronologico, il tempo delle percezioni, il tempo interiore dilatato dall’uso degli psicofarmaci o dalla ossessività della memoria), Unastoria dilata la spazialità del disegno, lavorando principalmente sull’alternanza di colore e bianco/nero, sulla disposizione delle immagini e sulla disposizione non intuitiva delle parole sulle tavole. In questo modo, il lettore/spettatore è costretto ad apprendere, insieme al protagonista, la crudezza del nostro essere nel mondo. Che è, prima di ogni altra cosa, la facile crudeltà con cui ci perdoniamo ogni cosa, anche il nostro stesso passare nel tempo.

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17 aprile 2014
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