Presentazione del XLIX Ciclo di Rappresentazioni Classiche
Al Teatro Greco di Siracusa Sofocle e Aristofane protagonisti dell'edizione 2013
Sulla scena del 49° Ciclo di Rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa, si avranno tra le tragedie più rappresentate della storia dell’INDA e una commedia che più attuale non potrebbe essere: EDIPO RE e ANTIGONE di Sofocle e LE DONNE AL PARLAMENTO di Aristofane.
Una sorta di omaggio alla storia dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, che quest’anno compie 100 anni, ma anche alla grande macchina operativa che ogni anno si mette in moto con il prezioso contributo di impiegati, maestranze, tecnici e operatori del teatro.
Regista dell’Edipo re, Daniele Salvo, che definisce l’opera sofoclea "tragedia dell’inconscio", per questo ne ha voluto sottolineare la componente fortemente psicoanalitica. Mentre la regista Cristina Pezzoli per Antigone ha voluto aggiungere della sua interpretazione registica l’intenzione di riequilibrare le due posizioni antagoniste tra Antigone e Creonte. "Pericolo di questo testo - ha spiegato la Pezzoli - è che ci si appiattisca su versioni ormai desuete, la colpa da un lato (Creonte) e la vittima dall’altro (Antigone). Il nostro tentativo sarà quello di fondere le ragioni di entrambi. La tragedia è un modo importante per parlare del comune sentire dell’uomo di oggi".
Vincenzo Pirrotta, regista e attore di Le donne al Parlamento di Aristofane ha, invece, sottolineato della sua commedia l’intenzione di parlare delle donne e di farne emergere gli aspetti più belli. "Il mio è un teatro rivoluzionario - ha spiegato Pirrotta - e non posso non denunciare oggi cosa accade purtroppo alle donne, spesso oltraggiate e oggetto di violenze di ogni tipo".
Entusiasti e bravissimi tutti i protagonisti di questo 49° Ciclo: Anna Bonaiuto (Prassagora in Le donne al parlamento), Isa Danieli (Tiresia in Antigone) definita dalla regista Pezzoli statua di bronzo del teatro italiano, Maurizio Donadoni (Creonte) che ammette come non ci si abitui mai alla bellezza del Teatro greco di Siracusa, Ilenia Maccarrone (Antigone), Laura Marinoni (Giocasta), Daniele Pecci (Edipo) che, infine, ha definito un grande onore e una grande fortuna recitare in un teatro dove i più grandi attori sono stati protagonisti.
Presenza assolutamente inedita quella di Stefano Bollani che ha composto le musiche per Antigone. "Da vero autore jazz non ho ancora scritto nulla - ha detto alla conferenza di presentazione - ma il mio sarà un incontro tra il verbale, il gestuale e il musicale, perché deve essere la musica di un popolo immaginario che esprima il "comune sentire" di tutti i tempi e di ogni luogo".
Presenti in scena anche quest’anno, in tutti e tre gli spettacoli, i giovani allievi del secondo corso triennale dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico così come gran parte dei giovani attori diplomati lo scorso luglio.
Tra i maestri della scena ricordiamo Maurizio Balò per l’impianto scenico ed i costumi per Edipo re. Mentre i costumi di Antigone sono di Nanà Cecchi e per Le donne al Parlamento di Giuseppina Maurizi. Tra i compositori ricordiamo anche Marco Podda che firma le musiche di Edipo re e Luca Mauceri quelli della commedia di Aristofane.
La traduzione delle opere è affidata a tre dei nomi più illustri del mondo della filologia classica. Guido Paduano (Università di Pisa oltre che direttore di Dioniso) è il traduttore di Edipo re mentre Anna Beltrametti (Università di Pavia) firma la traduzione di Antigone e Andrea Capra (Università di Milano) quella di Le donne al parlamento.
[Per tutte le informazioni sul calendario, orari e prezzi su www.indafondazione.org]
EDIPO RE di Sofocle
Traduzione Guido Paduano - Regia Daniele Salvo - Impianto scenico e costumi Maurizio Balò - Musiche Marco Podda.
Personaggi e interpreti (o.a.): Edipo Re - Daniele Pecci; Giocasta - Laura Marinoni; Creonte - Maurizio Donadoni - Tiresia - Ugo Pagliai; Servo, Sacerdote - Mauro Avogadro; Primo Nunzio - Francesco Biscione; Spettro della Sfinge - Melania Giglio; Secondo Nunzio dalla reggia - Graziano Piazza.
A Tebe, dinanzi alla reggia dei Labdacidi, una moltitudine di cittadini si aduna supplichevole. Edipo appare sulla soglia e chiede il perché di questo affollarsi. Un sacerdote spiega al sovrano come il popolo attenda da lui, Manifesto del 1958vincitore della Sfinge, un sollievo contro il malanno della peste che incombe funesta su Tebe.
Edipo comunica che Creonte, suo cognato, di ritorno dall'oracolo di Delfi porterà il responso di Apollo.
Quindi giunge Creonte che annuncia che la peste è originata dalla mancata punizione di colui che, tuttora ignoto, ha ucciso Laio, re di Tebe. Edipo promette di far luce sul delitto ed eseguire quanto chiesto dal Dio Apollo. Proclama quindi un bando contro l'ignoto colpevole e, per aiuto, ricorre all'arte profetica di Tiresia. L'indovino dapprima si rifiuta di rispondere alle domande del re ma infine, pressato svela che egli stesso, Edipo re, è l'autore dell'infame delitto. Poco dopo,scacciato da Edipo che lo ritiene autore, insieme a Creonte, di macchinazioni ordite ai suoi danni, aggiunge altre fosche predizioni.
Creonte, informato di quanto detto da Edipo afferma la sua innocenza ed estraneità alle predizioni. Interviene Giocasta, vedova di Laio ed ora moglie di Edipo. Ascoltati i fatti ella appare scettica sull'arte profetica: già in passato le era stato profetizzato che Laio suo marito, sarebbe morto per mano del suo stesso figlio. Così il figlio, a tre giorni dalla nascita fu abbandonato per ordine del padre su una impervia montagna e Laio stesso invece fu poi ucciso da briganti.
A queste parole nell'animo del re cresce il dubbio fino a trasformarsi in orrenda certezza. Egli infatti riconosce adesso in Laio il vecchio che egli uccise per difesa all'incrocio di tre strade, quando era in viaggio verso Tebe. Inoltre ricorda ora l'oracolo di Febo secondo cui egli avrebbe dovuto uccidere suo padre e unirsi con la madre.
Edipo re di Max Ernst
La vicenda corre adesso velocemente verso l'epilogo sanguinoso. Edipo scopre come colui che egli credeva suo padre, il re Polibo fosse in realtà solo colui che l'aveva raccolto quando era stato abbandonato sul monte Citerone. Ormai è tutto chiaro. L'oracolo di Febo si è avverato appieno. Piombato nella estrema sciagura Edipo fugge entro la reggia.
Il Coro piange nel fato di Edipo l'infelicità della vita umana, senza rimedio. Dalla reggia esce un Nunzio in preda a vivo terrore. Racconta come Giocasta abbia posto fine ai suoi giorni, strangolandosi e come Edipo si sia trafitto gli occhi.
Appare il misero re, accecato e piangente la sua orribile sventura. A Creonte che lo invita a rientrare nella reggia Edipo chiede di essere messo al bando dalla terra di Tebe, come esige il responso dell'oracolo, perché impuro e parricida. Il Coro commenta che nessuno dei mortali può considerarsi beato se prima non sia giunto al termine dell'esistenza scevro di ogni male. (Clicca qui per il testo nella traduzione di Ettore Romagnoli)
ANTIGONE di Sofocle
Traduzione Anna Beltrametti - Regia Cristina Pezzoli - Scene Maurizio Balò - Costumi Nanà Cecchi - Musiche Stefano Bollani
Personaggi e interpreti (o.a.): Ombra di Giocasta - Natalia Magni; Antigone - Ilenia Maccarrone; Ismene - Valentina Cenni; Creonte - Maurizio Donadoni; Primo Corifeo - Oreste Valente; Secondo Corifeo - Enzo Curcurù; Terzo Corifeo - Francesco Biscione; La Guardia - Gianluca Gobbi; Emone - Matteo Cremon; Tiresia - Isa Danieli; Messaggero - Paolo Li Volsi; Euridice - Elena Polic Greco; Corifea - Simonetta Cartia.
Edipo si è accecato ed è stato esiliato dalla città di Tebe allorché ha appreso di aver commesso incesto e parricidio. Suo figlio più giovane, Eteocle, briga per avere il potere ed esilia il fratello maggiore Polinice. Questi attacca Tebe con un potente esercito, ma né l'uno né l'altro l'hanno vinta perché entrambi cadono in battaglia. Il nuovo re di Tebe, Creonte, dichiara che Eteocle sarà sepolto e onorato come eroe, mentre il corpo di Polinice resterà insepolto a decomporsi e preda dei cani, nel disonore. La pena per chiunque proverà a seppellirne il corpo è la morte. Apprendendo questa notizia, un'infuriata Antigone - sorella di Eteocle -, nonostante il consiglio prudente dell'altra sorella, più giovane, Ismene, si ostina a pretendere che il corpo del fratello venga sepolto al fine che il suo spirito possa riposare in pace.
Antigone contravvenendo al divieto va dunque al campo di battaglia davanti a Tebe, copre di sabbia il corpo di Polinice ed effettua i riti di sepoltura. Si lascia quindi docilmente arrestare da una guardia uscita da Tebe ed insospettita dal sollevarsi della polvere. Una fiera Antigone è portata davanti a Creonte. Al cospetto del rappresentate dello Stato Antigone attesta la propria condotta. Non alle leggi scritte lei ha inteso obbedire, ma alle leggi degli dèi, alle norme non scritte e indistruttibili dettate dalla natura e dalla propria coscienza. Incredulo che una donna abbia osato disobbedire ai suoi ordini, Creonte decide l'imprigionamento sia di Antigone che di Ismene come complice, e decreta l'esecuzione di entrambi. Subito Emone, il figlio di Creonte, supplica il padre in favore di Antigone della quale è promesso sposo. Ma Creonte, arrogante, lo deride e ignora le sue suppliche. Furente Emone si ritira stravolto, non dandosi pace che il padre abbia trattato così i suoi sentimenti.
Antigone di Nikiphoros Lytras
Allora Creonte cambia idea bruscamente, decidendo l'esecuzione della sola Antigone poiché riconosce l'innocenza di Ismene. E pertanto la sorella maggiore è condotta fuori da Tebe in una caverna ad attendervi la morte.
Mentre Antigone sta soffrendo questo destino atroce, l'indovino cieco Tiresia avverte Creonte che gli dèi sono molto adirati per aver egli rifiutato la sepoltura a Polinice, poiché gli stessi uccelli che mangiano la sua carne saranno successivamente usati per i sacrifici. Di conseguenza - vaticina Tiresia - il figlio di Creonte morirà per castigo. Ma, Tiresia deridendo, Creonte non ascolta questa profezia, credendo che l'indovino desideri solo spaventarlo. Tuttavia, acconsente infine a seppellire Polinice e solo dopo che il coro dei cittadini di Tebe gli ricorda che Tiresia non ha mai errato nelle profezie.
Adesso preoccupato per il figlio, Creonte lava il corpo di Polinice, effettua i riti di sepoltura e crema i resti del corpo. Va dunque a liberare Antigone dalla caverna in cui è imprigionata, ma è troppo tardi per evitare la tragedia: Antigone si è appesa ad una corda ed Emone sta ai suoi piedi in lacrime. Dopo avere provato ad assalire Creonte, Emone si trafigge e muore abbracciando il corpo di Antigone. Uomo distrutto, Creonte, ritorna al palazzo per apprendere che anche la moglie Euridice s'è tolta la vita dopo esser stata colpita dalla notizia della morte del figlio. Creonte è condotto via dai suoi cittadini, che in coro, deplorano le sue azioni, auspicando che solo la morte possa liberarlo da tanta sofferenza. (Clicca qui per il testo nella traduzione di Ettore Romagnoli)
LE DONNE AL PARLAMENTO di Aristofane
Traduzione Andrea Capra - Regia Vincenzo Pirrotta - Impianto scenico Maurizio Balò - Costumi Giuseppina Maurizi - Musiche Luca Mauceri
Personaggi e interpreti (o.a.): Prassagora - Anna Bonaiuto; Donna - Doriana La Fauci; Donna - Carmelinda Gentile; Corifea - Elena Polic Greco; Biepiro - Vincenzo Pirrotta; Un vicino - Enzo Curcurù; Cremete - Alessandro Romano; Evasore, cittadino disonesto, ragazzo - Antonio Alveario; Aralda - Melania Giglio; Prima Vecchia - Simonetta Cartia; Ragazza - Sara Dho; Seconda Vecchia - Antonietta Carbonetti; Terza Vecchia - Clelia Piscitello; Serva di Prassagora - Amalia Contarini.
L'inizio della commedia è analogo a quello della Lisistrata: la protagonista Prassagora, all'alba, attende in strada con impazienza le donne che ha convocato per coinvolgerle nella sua iniziativa. In un breve monologo anticipa al pubblico la situazione che ha concepito per realizzare il suo piano: le donne dovranno travestirsi da uomo. Entrano in scena le altre donne munite, come convenuto, di indumenti maschili e barbe finte.
Il piano consiste nell'intervenire nell'assemblea cittadina per proporre e votare che il governo della cosa pubblica venga affidato alle donne. Comicamente le congiurate provano i discorsi che dovranno fare di li a poco in parlamento, incappando spesso nell'errore di pronunciare frasi tipicamente femminili come, "giurare sulle due dee". Alla fine si conviene che sarà Prassagora a parlare, la più brava ed ardita. Le donne escono di scena, determinate a compiere la propria missione.
Nella scena successiva sono gli uomini a discutere fra loro: il primo ad entrare è Blepiro che svegliatosi prima di giorno per un'esigenza fisiologica non ha trovato nè i propri abiti nè la moglie, l'urgenza lo ha costretto ad uscire di casa con il mantello e le scarpe della consorte. Mentre Blepiro scambia battute comiche con due passanti stupiti del suo strano abbigliamento, sopraggiunge Cremete, di ritorno dalla pubblica assemblea. Egli racconta di aver assistito ad un'insolita riunione: un gruppo di cittadini che egli crede ciabattini (ciabattini e donne avevano la pelle chiara perché lavoravano sempre in casa) aveva proposto di affidare il governo della città alle donne.
Gli argomenti dei presunti ciabattini erano stati convincenti: le donne sono più sagge, oneste ed accorte degli uomini, così l'assemblea aveva finito per approvare la proposta.
In scena tornano le donne che si affrettano a liberarsi degli indumenti maschili per evitare che il loro travestimento venga scoperto. Subito dopo Prassagora deve affrontare i sospetti di Blepiro che svegliandosi non l'aveva trovata al suo fianco.
Prassagora racconta di aver soccorso un'amica partoriente che l'aveva mandata a chiamare e finge di non sapere nulla quando il marito le racconta che l'assemblea ha deciso di affidare il potere alle donne.
Nelle battute successive Prassagora, che in un primo momento ha finto di non essere a conoscenza della nuova situazione, passa a descrivere il programma del governo femminile. La donna parla di una comunità cittadina in cui tutti i beni saranno equamente ripartiti; così come i diritti ed i doveri. Sollecitata da Blepiro affronta anche la spinosa questione del "libero amore": anche le donne dovranno essere in comune - annuncia Prassagora - staranno con chi le vuole e faranno figli con chi le vuole".
Particolare del Fregio di Beethoven di Gustav Klimt
Il dialogo fra Prassagora e Blepiro prosegue: si delinea via via l'idea di uno stato comunitario in cui tutti i beni saranno condivisi e non potranno più esserci ladri, truffe, causee e tribunali, dove i figli saranno cresciuti da tutti gli adulti ed ignorando chi siano i padri tutti avranno indiscriminato rispetto per ogni anziano, e così via.
Nella scena successiva Cremete, aiutato dalla servitù, reca in piazza le masserizie della propria casa per conferirle al patrimonio comune. Si tratta di una parodia della processione delle Panatenee che si svolgeva in onore di Atena. Ma non tutti la pensano come Cremete, un altro uomo subentra e fa di tutto per convincere Cremete a desistere dalla consegna dei beni o, almeno, a rimandarla e temporeggiare in attesa degli eventi. Arriva una banditrice ed annuncia che il primo festoso banchetto della nuova comunità sta per essere servito. A questo invito l'uomo scettico che aveva trattenuto Cremete sembra dispostissimo a rispondere e la situazione provoca un nuovo scambio di battute salaci fra i due uomini.
Dopo un intermezzo del coro la scena cambia: ora rappresenta due case, alle cui porte sono una vecchia ed una ragazza.
Le due si scambiano battute mordaci: entrambe sono in attesa che un uomo le venga a cercare ma solo la vecchia è a conoscenza delle nuove leggi.
Quando sopraggiunge un giovane in cerca della ragazza, la vecchia lo ghermisce rapidamente mostrando il testo del nuovo decreto che stabilisce che un uomo che vorrà unirsi ad una donna giovane e bella dovrà prima soddisfarne una brutta o anziana, ma arriva un'altra vecchia a contendere la preda ed il malcapitato si trova ad essere tirato e sollecitato dalle due rivali. Infine le donne escono di scena trascinando il giovane recalcitrante.
Le ultime battute della commedia sono affidate ad una serva di Prassagora che insieme al coro invita Blepiro (e virtualmente il pubblico) a partecipare al lauto banchetto con il quale tutti i cittadini stanno festeggiando il nuovo ordinamento. (Clicca qui per il testo nella traduzione di Ettore Romagnoli)
Due biografie
SOFOCLE - Nacque nel 495 o nel 496 a.C. nel demo di Colono, che era un sobborgo di Atene. Figlio di Sophilos, ricco ateniese proprietario di schiavi, ricevette la migliore formazione culturale e sportiva, cosa che gli permise a 15 anni di cantare da solista il coro per la vittoria di Salamina. La sua carriera di autore tragico è coronata dal successo: a 27 anni conquista il suo primo trionfo gareggiando con Eschilo. Plutarco, nella Vita di Cimone, racconta il primo trionfo del giovane talentuoso Sofocle contro il celebre e fino a quel momento incontrastato Eschilo, conclusasi in modo insolito, senza il consueto sorteggio degli arbitri, e che provocò il volontario esilio di Eschilo in Sicilia. In tutto conquista 24 vittorie, arrivando secondo in tutte le altre occasioni.
Amico di Pericle ed impegnato nella vita politica, fu stratega insieme a quest'ultimo nella guerra contro Samo (441-440 a.C.). Inoltre ricoprì un'importante carica finanziaria nel 443-442 a.C., e quando il simulacro del dio Asclepio venne trasferito da Epidauro ad Atene, Sofocle fu designato ad ospitarlo nella sua casa fino a quando non fosse stato pronto il santuario destinato al dio. Questi fatti testimoniano ulteriormente la grande stima che il poeta greco godeva presso i suoi concittadini. Nelle sue funzioni pubbliche, contribuì all'elaborazione della costituzione dei Quattrocento.
Si sposò con Nicostrata, ateniese, che gli diede un figlio, Iofone. Ebbe anche una amante, chiamata Teoris, una donna di Sicione, con cui ebbe un altro figlio, Aristone, padre di
Sofocle il giovane. Si dice che, poco prima della sua morte, Iofone intentò un processo al padre Sofocle per una questione d'eredità, affermandone la senilità. La semplice lettura della sua ultima opera mise fine al processo.
Morì nel 406 a.C. e la sua ultima tragedia, l'Edipo a Colono, fu rappresentata postuma lo stesso anno in segno di grande onore. Secondo la storiografia antica, notoriamente amante di tali ambigui aneddoti, morì strozzato da un acino d'uva.
ARISTOFANE - Poeta greco della commedia attica antica (Atene ca. 445 a. C.-dopo il 388). Poche notizie ci sono state trasmesse sulla sua vita e poche se ne rintracciano nelle sue commedie. Fu tra i pritani della sua città, ma in generale non partecipò attivamente alla vita politica, che pure ha parte così grande nella sua opera. Fu premiato più volte ai concorsi delle Dionisie e delle Lenee. Ebbe tre figli, Ararote, Filippo e Nicostrato, commediografi anch'essi.
Aristofane scrisse una quarantina di commedie, di cui solo 11 ci sono giunte. La prima, Gli Acarnesi (425), è una commedia contro la guerra; prende il titolo, come spesso avviene, dal coro, costituito dai carbonai del demo attico di Acarne, fautori della guerra contro Sparta (Aristofane visse nel periodo della guerra del Peloponneso, tra Atene e Sparta, e molte delle sue opere teatrali vivono su questo sfondo).
Ne I cavalieri (424), Demo (il popolo) è un vecchio rimbambito, che ha un servo, Paflagone (in cui è raffigurato il demagogo Cleone), dal quale è dominato; ma un salsicciaio, con l'aiuto anche dei cavalieri, lo scaccia e Demo, riacquistata gioventù e intelligenza, sposa la bella Tregua.
Le nuvole (423) sono una burla della filosofia di Socrate e una delle migliori commedie di Aristofane. Prendono nome dal coro, costituito da nuvole, in cui si perdono i filosofi. Le vespe (422) satireggiano invece il gusto degli Ateniesi per i processi, con un figlio che tenta di guarire il padre, smanioso di far da giudice nei tribunali. Più bella è, per la sua lievità, La Pace (421), dove ritorna il tema de Gli Acarnesi a distanza di pochi anni, quando, dopo una guerra ormai decennale, più viva era l'aspirazione generale alla fine delle ostilità.
Capolavoro di fantasia, di brio e di splendida lirica è Gli uccelli (414). Alla base della commedia c'è il desiderio di una vita naturale, diversa da quella voluta dagli uomini.
Le Tesmoforiazuse (411), ovvero le donne adunate per le feste di Demetra, sono un allegro pretesto per parodiare la poesia di Euripide e per ironizzare sulla sua misoginia.
Le rane (405) sono ancora una satira di Euripide che, avvicinato nell'Ade da Dioniso, il quale vuole riportarlo sulla Terra, non supera il confronto con Eschilo, che il dio riconduce sulla Terra in vece sua.
Nelle Ecclesiazuse o Le donne a parlamento (392) Aristofane rappresenta una sorta di colpo di Stato operato dalle donne travestite da uomo. Ci sarà comunismo di tutto, beni e donne; di qui una serie di conseguenze comiche per le pretese di diversi cittadini.
Il Pluto (388), ultima delle commedie di Aristofane, ha forme diverse (il coro non ha quasi più importanza) e toni meno accesi delle altre.