Presenti sicuramente il 27 del mese
Sono tanti, tantissimi e c'è chi li chiama (a ragione) ''nullafacenti della pubblica amministrazione''
“Piuttosto che tagliare sugli investimenti o sui servizi pubblici che funzionano, perché la classe politica dirigente non individua i dipendenti pubblici totalmente improduttivi e li licenzia?”. Sì, perché sull'esistenza di una quota rilevante (alle volte esagerata) di nullafacenti nell'amministrazione pubblica sono tutti concordi, e non si capisce per quale motivo si debba pagare, coi soldi di tutti, dipendenti che non fanno altro che riscuotere lo stipendio ogni 27 del mese .
La denuncia, la provocazione, la reale proposta di Pietro Ichino, economista (di sinistra), rivolta al ''fu governo Prodi'' dalle pagine del Corriere la scorsa estate (leggi), pone a tutti una serissima riflessione, ma non rivela nulla di nuovo. Infatti, il “nullafacente della p.a.” è una figura ormai "classica" della sociologia del lavoro all'italiana, e che tutti conoscono (e in molti invidiano). Come si descrive una ''maschera” della Commedia dell'Arte, il “nullafacente della p.a.” lo si può così descrivere: quel tizio che tramite la racconadazione (arrivata perché "parente di" o perché grande raccoglitori di voti) entra in un pubblico ufficio, con tanto di contratto (quidi coi contributi e con tutto quello che è giusto venga garantito a qualsiasi lavoratore) per non fare nulla, per assentarsi da ''malato immagginario'', o per riscaldare la poltrona.
Nell'editoriale, Ichino si rivolgeva poi al ministro della Funzione pubblica, Luigi Nicolais, chiedendogli chiaramente cosa intendesse fare di questi nullafacenti, perché, ricordava il giuslavorista ed ex sindacalista: "Continuare a voltar la testa altrove e a pagar loro lo stipendio a tempo indeterminato, mentre si taglia sulla spesa utile e sugli investimenti, sarebbe oggi intollerabile: non dimentichi, il ministro, che non si tratta dei lavoratori deboli e poco produttivi, ma di persone che non fanno proprio nulla, non ci sono e quando ci sono è come se non ci fossero".
Nelle scorse settimane, il giornalista Mario Reggio in un articolo pubblicato da Repubblica, ha scritto che ogni anno sono centinaia di milioni le giornate di lavoro perse per malattia, di queste, aggiungiamo noi, quelle reali sono sicuramente una minima parte...
Assenze per malattia, pubblico batte privato quattro a uno
di Mario Reggio (Repubblica.it, 15 gennaio 2008)
Più di 125 milioni di giornate di lavoro perse per malattia. Quasi equamente distribuite tra dipendenti pubblici e lavoratori assunti da aziende private. Con una grande differenza: quelli pubblici sono 3 milioni e seicentomila, contro quasi 15 milioni di dipendenti privati. Poco più di 4 giorni di malattia per i privati nel 2006, 18 in media l'anno per quelli pubblici nel 2005. E la stragrande maggioranza dei certificati medici non superano la settimana.
Negli ultimi mesi la polemica sulle "malattie di comodo" è stata alimentata da numerosi fatti di cronaca. Tra questi l'insegnante che spediva i certificati da un'amena località del centro America. La docente è stata licenziata. L'ultimo caso risale a pochi giorni fa: la donna giudice che era in malattia per seri problemi alla schiena e scoperta mentre partecipava ad una regata velica. Il dibattito su come fare per ridurre i certificati "compiacenti" si riaccende.
"Credo sia giunto il momento di iniziare una sperimentazione, anche solo a livello aziendale, - suggerisce il giuslavorista Pietro Ichino - ripristinando almeno in parte la franchigia sui primi tre giorni di malattia, distribuendo i soldi risparmiati a tutti i lavoratori. Nel mio libro "A cosa serve il sindacato", dimostro dati alla mano che ci guadagnerebbero tutti, salvo gli assenteisti. In Inghilterra da quando è stato introdotto questo procedimento l'assenteismo si è dimezzato". Polemica la reazione di Michele Gentile, coordinatore della Funzione Pubblica Cgil: "Nel contratto nazionale dei dipendenti statali c'è una voce che si chiama "indennità di amministrazione", legata alle presenze. Ogni giorno di assenza equivale ad una decurtazione dell'indennità. Quindi il meccanismo già esiste. Poche settimane fa il ministro della Funzione Pubblica ha firmato una direttiva che sollecita ad intensificare le visite fiscali - prosegue Gentile - il sindacato non vuol proteggere chi commette abusi e la falsa malattia è un abuso che attiene la dimensione penale. Anche il "tormentone" del dipendente pubblico assenteista deve finire. I dati della Ragioneria generale dello Stato parlano chiaro: dal 2003 al 2006 le assenze sono in calo costante. Nell'ultima rilevazione la Ragioneria ha sezionato i dati e la media dei giorni di malattia è scesa a 10 e mezzo l'anno per dipendente".
Nell'attesa l'Inps continua a pagare le aziende dopo il terzo giorno d'assenza per malattia. Ma questo vale per il settore privato. Nel pubblico impiego, invece, è l'amministrazione a sostenere i costi. Anche il sistema di consegna dei certificati medici è antidiluviano. Il dipendente deve consegnare al più vicino ufficio dell'Inps o spedire per raccomandata con ricevuta di ritorno il certificato medico entro due giorni dal rilascio da parte del medico. "Abbiamo cercato di razionalizzare il sistema - afferma un dirigente dell'Inps - chiedendo ai medici di spedire i certificati via internet, ma non c'è stato nulla da fare. Ci hanno chiesto di sostenere i costi del servizio, poi hanno invocato il diritto alla privacy per i pazienti".
Beh, nonostante Michele Gentile venga infastidito dal "tormentone" sul dipendente pubblico assenteista, e snocciola i dati della Ragioneria generale dello Stato che parlano di assenze in calo costante, di seguito vogliamo riportare (e c'è forse con un pizzico di perfidia in quel che facciamo) un articolo dettagliato di Sara Scarafia, giornalista della redazione palermitana di Repubblica, che riporta i numeri di uno studio sul personale riguardanti il Comune di Palermo...
L'impiegato è fuori stanza
di Sara Scarafia (Repubblica / Palermo, 25 gennaio 2008)
Ogni giorno 1.321 dipendenti comunali sono assenti. Il 18 per cento del totale, considerato che gli impiegati dell'amministrazione sono 7.199. Più o meno uno su cinque. Secondo i dati di Palazzo delle Aquile, relativi al 2006, i lavoratori si assentano soprattutto per ferie e malattie: le giornate di lavoro passate a casa sotto le coperte sono 17 a testa. Gli scioperi? Praticamente sconosciuti, visto che sul totale delle assenze contribuiscono solo per 41 giorni in tutto l'anno.
I dipendenti del Comune si assentano in totale per 57 giorni all'anno, che diventano 27,9 al netto delle ferie. Le donne disertano l'ufficio più degli uomini. Le dipendenti in rosa sono 2.699 e passano a casa il 21,8 per cento delle giornate di lavoro che ammontano a 2.246.088. I maschi, invece, "solo" il 16,3.
Ad assentarsi di più sono i circa 1.126 lavoratori che appartengono alla categoria D2, tra i quali ci sono gli esperti amministrativi, contabili, culturali e di attività sportive, gli educatori di scuole di infanzia e asili nido, gli assistenti sociali e i periti industriali che non vanno al lavoro in media per 64 giorni. Seguono i 532 lavoratori B1, tra i quali ci sono tutti i collaboratori professionali, con una media di 59 giorni di assenza. Hanno più buona volontà i 1.312 dipendenti, definiti "contrattisti" a tempo indeterminato, cioè quei lavoratori ai quali viene applicato un contratto di lavoro di tipo privatistico, per esempio i tipografi, gli edili e i portieri, che nel 2006 si sono assentati in media per 36 giorni.
I 107 dirigenti? In media si assentano per 40 giorni all'anno. Mentre quelli a tempo determinato, come l'architetto Federico Lazzaro, Dario Corona e Massimo Collesano, restano a casa per 23 giornate lavorative. I vertici burocratici invece non vanno quasi nemmeno in vacanza. Nel 2006 né il top manager di Palazzo delle Aquile, il direttore generale Gaetano Lo Cicero, né il segretario generale Damiano Li Vecchi sono mai rimasti a casa per malattia. Si sono assentati solo per le ferie: quindici giorni Lo Cicero, una decina Li Vecchi.
Fuori dalle tabelle, però, c'è un calcolo che il Comune non ha fatto ma che secondo i dirigenti avrebbe un esito inequivocabile. Chi gestisce gli uffici non ha dubbi: il giorno in cui si registra il picco di assenze è il mercoledì. Già, perché il mercoledì i dipendenti, che il sabato stanno a casa, devono rientrare il pomeriggio. E allora piovono giornate di assenze, soprattutto per malattia.
In un ufficio un dirigente di lungo corso ha studiato per mesi una sua dipendente. Attenta e precisa nel lavoro, ma sempre assente proprio il mercoledì. Una settimana era colpa di un'infreddatura, quella dopo del figlio che si era beccato un febbrone, la successiva del marito con l'indigestione. Gli uffici più a rischio sono quelli più grandi, dove i dipendenti, giocoforza, sono costretti a lavorare di più. I Tributi, ad esempio, con ben 350 lavoratori costretti a ricevere un pubblico fatto di infervorati contribuenti. Qui, nel 2006, i picchi di assenze erano alti. Una situazione che adesso sta rientrando alla normalità grazia anche alla rotazione dei dirigenti che - secondo i vertici di Palazzo delle Aquile - rivitalizza certi uffici in cui il personale «sembrava pietrificato». Settori difficili, come Edilizia privata, Ragioneria generale, Interventi abitativi e Patrimonio, che hanno anche un problema in più: scontano un'atavica carenza di forza lavoro. Il motivo? Nessuno vuole andarci a lavorare, perché sa che dovrebbe darsi da fare, o quanto meno più che altrove.
Ma - assicurano i dirigenti del Comune - non sono le carenze d'organico né i dati sulle assenze a preoccuparli. Il loro nemico è quello che chiamano «il vero assenteismo», quello di chi sta dietro la scrivania. C'è il dipendente che va a fare la spesa durante le ore di lavoro, nonostante finisca non oltre le 15. Quello che è dipendente sì, ma dalla macchina del caffè. E ancora chi va a fare due passi o fuma una sigaretta dopo l'altra e ancora quello che sta al computer, ma giocando un solitario. Gli ultimi sono i più difficili da scovare. Ma per le altre categorie i dirigenti stanno cercando di farsi furbi. C'è chi, non appena arrivato in un nuovo ufficio, ha voluto subito lanciare un messaggio: dopo le prime settimane di lavoro ha fatto girare tra le scrivanie il foglio di presenze bis, quello insomma da firmare anche se si è già timbrato il cartellino. Nelle stanze i telefonini sono diventati bollenti, nel tentativo di recuperare i colleghi che non erano al loro posto. «E' bastato far girare il foglio un paio di volte - dice il dirigente - perché le cose cambiassero notevolmente». Perché pare che il vero male dei dipendenti del Comune sia la mancanza di stimoli. Più chi deve guidarli li coinvolge nel lavoro, più lavorano.
Poi, certo, ci sono i casi irrecuperabili. Basta fare un giro in un qualunque ufficio comunale per rendersi conto che, oltre a tanta gente che lavora, c'è anche chi è come se non ci fosse. O, meglio, c'è ma sta a passeggio. Le assenze che pesano di più sui cittadini sono quelle dei vigili urbani: in media si assentano quaranta agenti al giorno su un totale di 1.402. Ad ammalarsi di più sono i vigili che prestano servizio in strada: soprattutto in questo periodo, si ritrovano spesso a letto con l'influenza.