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Prima di tutto contrastare le mafie

Le priorità irrinunciabili affinché i cittadini italiani possano sentirsi realmente sicuri

23 aprile 2008

Secondo la commissione Affari costituzionali della Camera in Italia esistono "cinque priorità irrinunciabili" che il governo deve affrontare affinché la sicurezza degli italiani possa diventare un servizio che sia realmente a garanzia dei cittadini. Tali "cinque priorità" sono state individuate nell'Indagine sulla sicurezza in Italia condotta dalla commissione presieduta da Luciano Violante, e presentata ieri a Montecitorio.
La prima in assoluto è il crontrasto alle mafie perché solo in Italia sono così radicate da incidere profondamente sulla politica e l'economia. Altra priorità sta nello ristabilire il primato della responsabilità personale; poi quella di tutelare la dignità delle forze dell'ordine; ricostruire l'autorevolezza dello Stato garantendo anche la certezza della pena; e infine quella di eliminare il termine 'micro-criminalità' perché non è 'micro' per niente.

Prima di tutto contrastare le mafie - "Sinora - si legge nella ricerca - la guerra alla criminalità organizzata non è stata per lo Stato italiano una priorità permanente". Anzi. "Alcuni interventi legislativi sul processo penale - si denuncia nel documento - hanno reso più difficile nell'ultimo decennio l'accertamento delle responsabilità proprio nei confronti delle grandi organizzazioni criminali". Quello che è mancato sino ad ora, spiegano i commissari, "è un impegno duraturo nel tempo e non limitato al solo aspetto repressivo".
L'inadeguatezza del termine "microcriminalità" - Una quota assai rilevante dell'insicurezza, dice l'indagine, viene dalle forme definite come microcriminalità e dall'apparente incapacità di contrastarle adeguatamente. Ma questa espressione è "inadeguata" perché in realtà colpisce le persone più deboli ed esposte ed è "offensiva" perché "i cittadini devono avvertire che i reati che turbano da vicino la loro vita hanno nella considerazione delle Autorità un'attenzione adeguata e pari alla preoccupazione che suscita in loro".
La responsabilità personale - Nessun malessere sociale può azzerare la responsabilità individuale. Farlo sarebbe un grave rischio per la democrazia. Si alimenterebbe un senso di impunità per chi delinque e di abbandono per le vittime. Quindi, e qui ci si può benissimo riallacciare al primo punto, c'è bisogno che ogni singolo cittadino riconosca, ad esempio, l'importanza della denuncia.
Riconoscere i meriti e la dignità delle Forze dell'Ordine - Spesso non c'è un riconoscimento sociale e pubblico per gli operatori delle forze dell'ordine. E in una politica della sicurezza conta molto l'autorevolezza di chi opera, dal magistrato al poliziotto. Basta con i soli elogi. Servono riconoscimenti concreti.
Ricostruire l'autorevolezza dello Stato - Si è persa l'autorevolezza dell'intervento dello Stato. Arrestare qualcuno per vederlo liberare nel giro di 48 ore non contribuisce a creare nel cittadino un senso di sicurezza adeguato. Bisogna trovare un punto di equilibrio tra le garanzie per il reo, quelle della vittima e l'esigenza di sicurezza dei cittadini. 

Di queste "cinque priorità irrinunciabili" vogliamo qui attenzionarne alcune in particolare e sono, principalmente, il "contrasto alla mafia" e a seguire la "responsabilità personale" e quella "ricostruzione dell'autorevolezza dello Stato" che secondo noi è uno dei motivi più influenti e pesanti nel non adeguato riconoscimento che si deve alle Forze dell'Ordine, e ceh nello stesso tempo fa fallire l'impegno verso la responsabilizzazione individuale.
Negli ultimi tempi in Sicilia la mafia ha subito colpi durissimi, e questo per mertito delle forze dell'ordine e del coraggio nato grazie all'associazionismo civile. Al di la di questo però, la percezione che permane nei siciliani, e soprattutto nei giovani siciliani, è quella che la mafia nonostante tutti gli sforzi continui a rimanere più forte dello Stato.
Il dato, sicuramente sconfortante, emerge da una ricerca promossa dal Centro Studi Pio La Torre tra gli studenti di 47 istituti.
I risultati hanno rivelato aspetti sorprendenti ma anche contraddittori come quello che nel confronto con lo Stato è la mafia a conquistare un posto preminente. Cosa nostra viene infatti percepita come più forte da oltre il 50% del campione. Per il 20,6% Stato e mafia sono ugualmente forti. E solo il 16,8 sceglie lo Stato. I ricercatori avvertono comunque che in questo caso il concetto di forza viene accostato a quello di violenza e dunque occorre attenuare gli effetti dirompenti della ricerca.

Restano invece tanti altri elementi di pessimismo tra i giovani per i quali valori positivi come onestà, senso dell'uguaglianza e della giustizia, democrazia e partecipazione civile sono poco diffusi in Sicilia. 
Elementi di pessimismo che fortunatamente trovano il loro contrario in vicende concrete, che possono dare speranza e forza. Come quella di ieri a Carini, o quella di oggi a Realmonte che di seguito andiamo a raccontare...  

PALERMO - Stanco delle continue vessazioni subite dal suo estorsore che lo minacciava anche di morte, un imprenditore ha deciso di rivolgersi alla Polizia e di denunciarlo. E' accaduto a Palermo, dove all'alba di ieri è finito in manette un imprenditore di Carini (Palermo), Girolamo Cangialosi, di 50 anni, accusato di estorsione aggravata da Cosa nostra.
Cangialosi è stato individuato dai pm della Dda attraverso l'analisi del 'pizzini' rinvenuti nel covo dei boss mafiosi Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Il suo nome era stato citato in alcuni biglietti ritrovati dalle forze dell'ordine dopo l'arresto dei due capimafia, avvenuto lo scorso novembre. Cangialosi è stato fermato nella zona di Mondello, località balneare di Palermo, mentre si trovava a bordo della sua auto. Era incensurato, da qui anche la difficoltà degli inquirenti di arrivare all'uomo. Nei mesi scorsi, la Polizia aveva arrestato il suo complice, Giuseppe Sgroi.
"Contiamo di sgretolare, mattone dopo mattone, il muro di omertà che circonda Cosa nostra", ha affermato a caldo del Questore di Palermo, Giuseppe Caruso, il quale nei giorni scorsi aveva presentato nel capoluogo siciliano quattro spot antimafia in cui invita i mafiosi a collaborare con la giustizia (leggi). Inoltre, secondo quanto si legge in una nota diramata dall'associazione antiracket 'Libero Futuro' di Palermo, l'imprenditore vittima del pizzo "non ha maturato la coraggiosa decisione di collaborare in solitudine, tutt'altro. Questo decisivo passo è stato compiuto grazie all'assistenza dell'Associazione che sin dall'inizio, con la fattiva collaborazione del Consorzio Asi, ha accompagnato l'imprenditore nella difficile scelta di affrancamento dal fenomeno del pizzo".
L'ordinanza di custodia cautelare per Girolamo Cangialosi è stata firmata dal gip del Tribunale di Palermo che ha accolto la richiesta firmata dai pm della Dda di Palermo, Nico Gozzo, Gaetano Paci e Antonino Di Matteo.

REALMONTE (AG) - Un imprenditore di Agrigento ha denunciato l'uomo che lo costringeva a piegarsi al racket, che è stato arrestato. In cella è finito Francesco Gucciardo, 31 anni, imprenditore di Realmonte (Ag), ex consigliere comunale del suo paese.
L'indagine è stata condotta dagli agenti della Squadra mobile di Agrigento. I pm della Direzione distrettuale antimafia hanno chiesto ed ottenuto due ordini di custodia cautelare da parte del gip del tribunale di Palermo. Oltre a Gucciardo il giudice ha ordinato l'arresto di Vincenzo Iacono, 31 anni, manovale di Siculiana (Ag). Entrambi sono ritenuti responsabili di associazione mafiosa armata, in quanto in concorso tra loro e insieme ad altri soggetti già arrestati nei mesi scorsi nell'operazione denominata "Marna", sono pure accusati di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Porto Empedocle gestendo la latitanza del boss Gerlandino Messina. I due arrestati avrebbero fatto parte anche della scorta armata che proteggeva gli spostamenti sul territorio del latitante.
L'ex consigliere comunale Francesco Gucciardo era già finito in cella il 29 ottobre dello scorso anno perchè accusato di mafia, ma era stato scarcerato poco tempo dopo dai giudici del Tribunale del Riesame per mancanza di indizi.

Le indagini effettuate nei mesi scorsi dalla polizia di Stato e la collaborazione di un imprenditore locale, hanno permesso di raccogliere ulteriori elementi a carico di Gucciardo, tanto da dimostrare, per gli inquirenti, il suo coinvolgimento in Cosa nostra.
Secondo l'accusa l'ex consigliere comunale avrebbe riscosso personalmente il "pizzo" (circa 15 mila euro), per circa quattro anni, da una ditta, il cui titolare, stanco delle continue richieste e spinto dall'esempio di altri imprenditori agrigentini che hanno denunciato le richieste di estorsione, ha deciso di collaborare con la polizia.
Il coraggio di questo imprenditore si aggiunge a quello di altri cinque suoi colleghi che poche settimane fa hanno deposto durante un incidente probatorio che si è svolto davanti al gup del tribunale di Palermo, nel processo scaturito in seguito agli arresti dell'operazione denominata "Marna" in cui le vittime del pizzo hanno denunciato i propri estorsori.

[Informazioni tratte da La Sicilia.it, Adnkronos.com, Ateneonline.it]

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23 aprile 2008
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