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Processo Imi-Sir: caso chiuso

Si è chiuso uno dei più complessi e gravi processi per corruzione che la storia d'Italia abbia mai conosciuto

07 ottobre 2006

Ieri la sesta sezione penale della Suprema Corte (presieduta da Giangiulio Ambrosini, relatore Nicola Milo) ha depositato le motivazioni della sentenza del processo Imi-Sir, emessa lo scorso 4 maggio. Con il deposito, da parte della Cassazione, delle 192 pagine dove vengono spiegate le ragioni del provvedimento (sentenza 33435/06 della Cassazione: sei anni all'esponente di Forza Italia, Cesare Previti, assoluzione per Renato Squillante, ex presidente dell'ufficio Gip di Roma), viene messa la parola fine ad uno dei più complessi e gravi processi per corruzione che la storia d'Italia abbia mai conosciuto.

Nella complicata e oscura vicenda Imi-Sir, dove si sono venuti ad incontrare tutti elementi ''par excellence'' di una torbida storia di corruzione di altissimo livello, Cesare Previti fu un 'difensore occulto'. Così la Cassazione delinea, in base a quanto accertato dai giudici del merito, il ruolo rivestito dall'ex ministro della Difesa nella controversia civile Imi-Sir.
La Corte d'appello di Milano, osservano gli alti giudici, ''dopo avere illustrato le molteplici anomalie che avevano caratterizzato il lungo percorso giudiziario della controversia civile tra l'Imi e la Sir, tutte sintomatiche dell'azione concertata tra Nino Rovelli e i tre professionisti occulti (si fa riferimento a Cesare Previti, ad Attilio Pacifico, condannato a 6 anni, e a Giovanni Acampora, che dovrà scontare 3 anni e 8 mesi) allo scopo di condizionare l'esito della vertenza in senso favorevole al primo, inquadra in tale cornice la corruzione del giudice Metta (anch'egli condannato a 6 anni) e ravvisa in essa il momento più alto della spregiudicata metodologia operativa dei vari protagonisti, tutti accomunati - si legge ancora nella sentenza 33435 - dalla condivisione di subvalori maturati in un contesto culturale di esaltazione della forza allettante e persuasiva del denaro e di insensibilità verso quei valori sani posti a presidio della convivenza civile in genere e dell'amministrazione della giustizia in particolare''.
Insomma, con uno scellerato ''gioco di squadra'', gli avvocati Previti, Pacifico e Acampora, il giudice Vittorio Metta e Felice Rovelli, riuscirono ad assicurare agli eredi Rovelli mille miliardi di risarcimento dell'Iri.

Ma, per comprendere al meglio la vicenda, è opportuno fare un passo indietro...
Il caso giudiziario Imi-Sir comincia l'11 marzo 1982 quando l'imprenditore Nino Rovelli cita davanti al Tribunale di Roma l'Istituto mobiliare italiano con l'accusa di non aver adempiuto agli impegni di una convenzione sottoscritta nel 1979 che prevedeva il risanamento del gruppo chimico Sir-Rumianca per circa 500 miliardi di lire. Quattro anni dopo il collegio capitolino condanna l'Imi al risarcimento dei danni subiti da Rovelli. Nel 1990 la Corte d'appello conferma la sentenza e nel dicembre, sempre di quell'anno, Nino Rovelli muore lasciando alla vedova e ai figli la richiesta di risarcimento arrivata a circa 800 miliardi di lire.
Dopo tre anni arriva anche il verdetto della Cassazione: nel 1993, infatti, la Suprema Corte emette una sentenza che dà ragione ai Rovelli ed a gennaio del 1994 l'Imi versa agli eredi 980 miliardi, 300 dei quali finiscono nelle casse dell'Erario.
Secondo la Procura di Milano - che intanto ha iniziato ad indagare sulla vicenda - la causa sarebbe stata ''aggiustata'' grazie all'intervento, nei confronti dei giudici Squillante, Metta e Verde, degli avvocati Previti, Pacifico e Acampora dietro un compenso, da parte dei Rovelli, di circa 67 miliardi di lire.
Il 29 aprile 2003 arrivano le prime condanne per corruzione: in particolare, undici anni a Cesare Previti e otto anni e sei mesi a Renato Squillante. Nelle motivazione della sentenza i giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano parlano di ''rapporti inconfessabili'' tra i magistrati e ''un gruppo di avvocati d'affari'', mentre definirono la causa civile Imi-Sir ''tutta frutto di una corruzione devastante''. In appello, però, gli imputati ebbero una consistente riduzione di pena: in particolare, sette anni furono inflitti a Previti e cinque a Squillante. Anche in quell'occasione i giudici d'appello sottolineano ''l'eccezionale gravità dei fatti'' e rilevarono un ''danno rilevantissimo'' in relazione alla causa Imi-Sir.
Successivamente la posizione di Renato Squillante è cambiata fino all'assoluzione dello scorso 4 maggi. Infatti, secondo i giudici della Suprema Corte, Squillante cercò solo di spendere il suo ''carisma personale'' per assicurare il buon esito giudiziario, ma non commise alcun atto ''riferibile alle sue funzioni'' di magistrato. ''In sostanza - viene scritto nelle motivazioni della sentenza - l'intervento dello Squillante, certamente non in linea con i doveri deontologici di un magistrato, è equiparabile a quello che avrebbe potuto spiegare un qualsiasi altro privato, non investito di funzioni pubbliche e che si avvale unicamente della forza carismatica della sua persona [...]''.

La Cassazione ha dunque confermato le sentenze ascritte agli imputati, e si è detta d'accordo con la maggior parte delle scelte compiute.
Con riferimento alle assoluzioni per la vicenda Lodo-Mondadori (dalla quale l'ex premier Silvio Berlusconi è definitivamente uscito ''con sentenza di non luogo a procedere per prescrizione del reato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche'') la Suprema Corte ha però bacchettato la Corte d'Appello di Milano ''per aver seguito, un'analisi frazionata dei singoli elementi indiziari a carico degli imputati'' e per aver ''minimizzato la valenza di dati dall'indubbio significato indiziante''. Insomma troppo ''disinvoltamente'' sono stati valutati e ''sviliti dati oggettivi'', come quello ''della stretta contiguità temporale tra il bonifico effettuato dalla Fininvest in favore del Previti in data 14 febbraio 1991 (bonifico bancario da 2 milioni 732mila 868 dollari, ndr) e la pubblicazione della sentenza 'Metta' ''.

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07 ottobre 2006
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