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Provette al 41bis... Anche i detenuti sottoposti al carcere duro hanno diritto di usufruire della legge 40

21 febbraio 2008

La Cassazione ha deciso che i reclusi sottoposti al carcere duro (in regime di 41 bis) possono usufruire dei trattamenti per la procreazione assistita previsti dalla legge 40 del 2004. In pratica, i detenuti al carcere duro che hanno moglie o che hanno essi stessi problemi di fecondità, possono ottenere che il loro liquido seminale possa essere portato fuori dal carcere.

"Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona" e, nei confronti dei detenuti, anche quelli al 41bis, "non possono essere adottate restrizioni non giustificabili e non indispensabili a fini giudiziari". Tenendo presenti questi principi la Suprema Corte ha dato ragione al ricorso del boss mafioso Salvatore Madonia al quale la magistratura di sorveglianza de L'Aquila aveva negato il diritto ad ottenere il riesame del 'no' al ricorso alla procreazione assistita deciso dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap).
In particolare la I Sezione della Cassazione - con la sentenza 7791 depositato ieri - ha criticato la decisione con la quale la magistratura di sorveglianza de L'Aquila, lo scorso 4 maggio, aveva dichiarato "il non luogo a provvedere" in merito al reclamo presentato da Madonia contro il provvedimento con il quale il Dap, il 30 gennaio 2007, aveva rigettato la sua richiesta di accedere al programma di procreazione assistita in base alle 40 del 2004.

Madonia aveva fatto presente che il Gup del Tribunale di Palermo, il 29 maggio 2006, e poi anche il presidente della Corte di Assise di Palermo, il 26 settembre 2006, lo avevano autorizzato "al prelievo di liquido seminale al fine di consentire alla moglie, affetta da problemi di fecondità, di accedere, alla procreazione medicalmente assistita". Il Dap aveva negato l'autorizzazione al prelievo sostenendo che la legge 40 "postula la massima tutela del nascituro, nel caso concreto non realizzabile data la situazione di detenzione del genitore". Inoltre il Dap sosteneva che esistevano "finalità preventive connesse alla custodia dei soggetti inseriti nel circuito del 41bis" che impedivano il prelievo. Contro questa decisione Madonia aveva fatto ricorso al magistrato de L'Aquila che, in sostanza, se ne era lavato le mani dicendo che "le attività che il Madonia dovrebbe compiere non implicano alcuna uscita dal carcere e neanche dalla propria cella, per cui (il prelievo in questione) non può qualificarsi come trattamento sanitario" previsto dall'organizzazione penitenziaria.

Il magistrato sosteneva che del caso si doveva occupare esclusivamente il Dap ma la Cassazione ha giudicato "fondata" la protesta di Madonia ed ha bacchettato il magistrato abruzzese ricordandogli che sono tutelabili con ricorso al giudice "tutte le situazioni giuridiche soggettive espressamente riconosciute dalle norme penitenziarie, nonché tutte quelle riconoscibili ad un soggetto libero, in relazione alle quali occorre sempre applicare il principio di proporzionalità". “In situazioni come quelle del boss - hanno spiegato da piazza Cavour - il sacrificio imposto al singolo non deve eccedere quello minimo necessario, e non deve ledere posizioni non sacrificabili in assoluto".
Insomma, volente o nolente, il magistrato de L'Aquila dovrà occuparsi della voglia di paternità di Madonia senza imporgli sacrifici che contrastano col trattamento conforme a principi di umanità cui hanno diritto anche i detenuti pericolosi. 

Salvatore Madonia sta scontando all'Aquila una condanna definitiva all'ergastolo per l'omicidio dell'imprenditore Libero Grassi. In carcere, il 23 maggio 1992, lo stesso giorno della strage di Capaci, si era sposato con Mariangela Di Trapani, figlia del capomafia Francesco. Grazie alla sentenza della Cassazione potrà ora avviare con sua moglie un programma di procreazione assistita. I coniugi Madonia hanno già un figlio, nato nel 2000 durante la detenzione del boss. Resta il mistero su come sia avvenuto il concepimento.
Ma quello di Madonia non è l'unico caso di concepimento in provetta per capomafia detenuti nel carcere duro. Pioniere della fecondazione dietro le sbarre fu nel 2002 un "uomo d'onore" catanese, il cui nome, per motivi di privacy nei confronti del bambino, non è mai stato reso noto. Fu il ministero della Giustizia ad autorizzare la fecondazione in vitro.
Resta avvolto dal mistero, invece, il caso dei boss di Brancaccio a Palermo, Filippo e Giuseppe Graviano, detenuti dal '94, condannati per le stragi di Roma, Milano e Firenze e per l'uccisione di padre Pino Puglisi. Nel 1997 i fratelli Graviano riuscirono a far "volare la cicogna" dalla cella in cui erano rinchiusi, sottoposti al 41 bis. Le loro mogli partorirono due bimbi in una clinica di Nizza, a distanza di un mese l'una dall'altra, nonostante i mariti fossero detenuti da oltre due anni. La procura di Palermo avviò un'inchiesta in cui veniva ipotizzata una fecondazione in provetta realizzata illegalmente. Le indagini non portarono a identificare i complici dei boss.

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21 febbraio 2008
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