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Quale sorte per Iolanda Occhipinti e Giuliano Paganini?

Ancora nessuna notizia sui due cooperanti italiani rapiti in Somalia il 21 maggio scorso

22 luglio 2008

Di Iolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, i due volontari italiani della ong CINS (Cooperazione Internazionale Nord Sud) rapiti in Somalia la mattina del 21 maggio scorso, si sa ancora pochissimo.
A rapire Iolanda, infermiera professionista di Ragusa, e Giuliano, agronomo di Pistoia, insieme ad un loro collega somalo, Abderhman Yusuf, è stato un gruppo di uomini armati, molto probabilmente un gruppo di banditi che li hanno sequestrati per estorcere denaro. Uno scenario che rimane però, poco più che un ipotesi perché già dopo pochi giorni dall'accaduto il Ministero degli Affari Esteri ha richiesto agli organi di informazione il silenzio stampa e il massimo riserbo sulla vicenda, affinché questa si potesse risolvere al più presto.
Sono passati due mesi e di Iolanda e Giuliano si sa ancora poco o nulla.

Nei giorni scorsi Nello Dipasquale, sindaco di Ragusa, ha rivolto un forte appello al Prefetto di Ragusa, Giovanni Francesco Monteleone, affinché si faccia interprete delle legittime preoccupazioni della collettività iblea nei confronti del Governo nazionale, sulla sorte, di Iolanda Occhipinti. Il primo cittadino di Ragusa ha così deciso di "infrangere" il muro di silenzio che fino ad oggi si era imposto rispettando in tal modo l'invito lanciato dalle autorità nazionali ed internazionali per facilitare i contatti con i rapitori. "Non si può continuare a stare zitti - ha dichiarato Dipasquale - senza capire cosa sia successo e cosa è stato e si può, e si deve continuare a fare per far ritornare presto liberi sia Iolanda Occhipinti che il colleghi Giuliano Paganini e Abderahman Yusuf Arale. Oggi occorre sapere come si è operato dal 21 maggio scorso, data del rapimento dei tre volontari del CINS, per favorire i contatti con i sequestratori e quali notizie fondate abbiamo sullo stato di salute dei tre operatori umanitari".

Ieri invece, a due mesi esatti dal rapimento, è stata Fulvia Cappello, moglie di Giuliano Paganini, ha lanciare un appello direttamente ai rapitori: "Mio marito è venuto in Somalia solo per aiutare e fare del bene. Lasciatelo tornare a casa". "Oggi sono passati due mesi e di mio marito non sappiamo niente. Siamo sempre in contatto con la Farnesina: i funzionari lavorano 24 ore su 24 e ci dicono di stare tranquilli. Io rinnovo l'appello ai rapitori, affinché liberino i cooperanti", ha detto la signora Cappello rivolgendosi agli organi di informazione.
Giuliano Paganini, è un esperto di Africa, dove era stato molte volte come cooperante, e aveva ottimi contatti con le popolazioni locali. "Quando è tornato in Somalia dopo 18 anni dalla prima visita - ha spiegato la moglie - i capi tribù gli erano corsi incontro per salutarlo e dargli il bentornato". Paganini stava lavorando alla realizzazione di alcuni pozzi d'acqua per le colture. "Faceva base a Nairobi - ha detto ancora la moglie - con delle brevi missioni dentro il territorio somalo per effettuare i lavori. La sera prima del rapimento, come ogni sera, aveva chiamato per dare la buona notte a me e alla figlia Valentina e ci aveva detto che aveva finito e che stava per rientrare a Nairobi e poi in Italia. Invece, purtroppo, lo hanno rapito".

Somalia nella morsa della fame
Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini ostaggi di una banda criminale
di Massimo A. Alberizzi (Corriere.it, 20 luglio 2008)

NAIROBI - La Somalia è stretta nella morsa della fame e da oltre un mese, i gruppi islamici più oltranzisti hanno preso di mira i cooperanti che vengono rapiti o uccisi a sangue freddo. Si vuole così impedire che gli aiuti inviati dalla agenzie internazionali possano essere distribuiti. I prezzi del cibo sono saliti vertiginosamente e più la gente non ce la fa, più aumenta la violenza. La fame è diventata un'arma per ricattare la popolazione, terrorizzare e intimidire chi lavora per le organizzazioni non governative o le agenzie dell'ONU e si occupa degli aiuti. «Il cibo lo distribuiamo noi», sembrano dire gli assassini.
Almeno 25 operatori umanitari sono stati uccisi a sangue freddo. Tra loro, il 6 luglio, il capo dell'UNDP Somalia Osman Ali Ahmed, ammazzato a colpi di pistola all'uscita di una moschea. Venerdì tre capi tribali sono stati freddati poco dopo aver aiutato a distribuire cibo in un campo profughi poco fuori Mogadiscio. Diciassette sono stati i rapiti e 13 sono ancora tenuti prigionieri tra cui quattro stranieri: gli italiani Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, il britannico Murray Watson e il keniota Patrick Amukhuma. Sotto sequestro alcuni somali che lavorano per organizzazioni italiane, Mohamud Abdi Aden, Faduma Sultan, Abdirahman Yusuf Arale (detto John), Hassan Mohamed Ali.

Nel Paese la guerra civile infuria, nonostante la presenza di oltre duemila soldati dell'Unione Africana (ugandesi e burundesi) e un potentissimo contingente etiopico sceso in Somalia in aiuto del governo federale di transizione. I militanti islamici si siano spaccati: da una parte i moderati guidati da Shek Sharif Shek Ahmed pronti a trattare con il governo, dall'altra gli oltranzisti, il gruppo di Asmara, guidato da Shek Hassan Daher Awies, in esilio in Eritrea, e infine i duri e puri che combattono in Somalia gli shebab, «gioventù» in arabo, guidati da Muktar Robow, nome di battaglia di Abu Mansur. Tra loro si segnala la presenza, sempre più frequente di miliziani stranieri, pachistani, afgani e arabi, soprattutto. Uno di essi Musa Al Kenian è stato ucciso in battaglia la scorsa settimana.
Le acque somale sono infestate dai pirati e i cargo con gli aiuti rischiano l'arrembaggio. Il World Food Programme ha chiesto alla comunità internazionale navi da guerra da usare come scorta. Hanno risposto senza entusiasmo solo Olanda e Francia. Silenzio da Roma, nonostante la Somalia sia una vecchia colonia italiana. Recentemente a Mogadiscio sono stati distribuiti volantini che minacciano chi lavora per alcune organizzazioni umanitarie, considerate una longa manus degli infedeli: «Dimettetevi subito o sarete uccisi». Uno di loro - che vuol mantenere l'anonimato per motivi di sicurezza - contattato al telefono dal Corriere, mostra grande coraggio: «Non ci arrenderemo. La gente ha bisogno di noi, non l'abbandoneremo». Hai paura? «Molta, ma reagisco; così anche gli altri».
Secondo le Nazioni Unite sono 2,6 milioni i somali che hanno bisogno di assistenza. In pochi giorni, se gli aiuti non arriveranno a destinazione, questa cifra potrebbe salire a 3,5 milioni.

Shek Hassan Daher Awes, raggiunto per telefono ad Asmara, nega che gli autori degli omicidi e dei rapimenti siano le fazioni islamiche. «Abbiamo condannato questo tipo di azioni. Gli operatori umanitari non c'entrano nulla con la guerra. Aiutano la popolazioni. Ammazzarli o sequestrarli è profondamente ingiusto». Chi li vuol terrorizzare? «La Somalia è nel caos. Ci sono banditi, fazioni, gruppi. Impossibile dire chi siano i responsabili». Finora, tra l'altro, sono stati colpiti solo i cooperanti che distribuiscono cibo. Nessuno ha toccato chi si occupa di salute o di sviluppo. E' per questo che il rapimento di Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini non sembra rientri in questa campagna del terrore. Le indagini svolte dal Corriere per capire chi abbia sequestrato i due italiani non portano infatti a un gruppo politico ma a una banda di criminali comuni. I banditi sono spaventatissimi perché ricercati sia dai governativi che dagli islamici. Per questo Jolanda e Giuliano non hanno potuto mai telefonare a casa. Districarsi tra i moltissimi somali che pretendono di avere notizie certissime sugli italiani è abbastanza complicato. La maggior parte sono millantatori che in realtà non hanno niente in mano.
L'ultima richiesta è arrivata ieri sera. «Centomila dollari per parlare con i due ostaggi». E' stata accolta al telefono da una grossa risata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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22 luglio 2008
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