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Quando Riina venne arrestato...

Perché la villa-covo dell'ex boss non venne tempestivamente perquisita? Di chi fu la responsabilità?

21 febbraio 2005

Fino al 14 gennaio del 1993, Totò Riina era latitante da 25 anni e definito da tutti capo incontrastato di Cosa Nostra. Il 15 gennaio '93 la latitanza di Riina finì.
Forse non era il capo incontrastato, sicuramente lo era meno di un suo lontano socio, certo Provenzano Bernardo, latitante da oltre quarant'anni.
Ad arrestare ''Totò u curtu'' fu il tenente colonnello Sergio De Caprio, meglio conosciuto come il ''Capitano Ultimo'', personaggio che ben presto diventò icona eroica, e che venne celebrato anche da fiction televisiva, facendolo conoscere in tutto il territorio nazionale. 

Oggi, il tenente colonnello De Caprio e il prefetto e direttore del Sisde Mario Mori, allora capo dei Ros che coordinava le indagini su Riina, sono accusati e verranno processati (a partire dal prossimo 7 aprile) per favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra, per la mancata perquisizione della villa-covo di via Bernini a Palermo dopo l'arresto del boss, e che venne perquisita 19 giorni dopo.
E' stata questa la decisione del Gup Marco Mazzeo, alla fine dell'udienza tenutasi la scorsa settimana, e che ha respinto la richiesta di non luogo a procedere avanzata dai Pm Antonio Ingroia e Michele Prestipino. Nella scorsa udienza (3 febbraio) infatti i pm Prestipino e Ingroia avevano chiesto il proscioglimento "perché il fatto non costituisce reato". Secondo i pm manca, infatti, l'elemento psicologico del reato. Ovvero, l'allora capo del Ros e il "capitano Ultimo" non perquisendo il covo di Riina certamente non avrebbero voluto favorire Cosa nostra. Sarebbe stato - è questa la tesi della Procura - più che altro un errore. In subordine, i pm avevano chiesto che fosse dichiarata la prescrizione, perché si tratterebbe di un favoreggiamento semplice.

Mori e De Caprio, entrambi presenti in aula, non hanno reso nessuna dichiarazione, e nè Ingroia nè Prestipino hanno voluto commentare il rinvio a giudizio.
I due imputati saranno processati, secondo quanto riportato dal provvedimento del gup, da un giudice ''a composizione monocratica''. In procura fanno rilevare che questa scelta ''è molto strana'' per il reato per il quale l'ex capo del Ros e l'ufficiale che arrestò Riina, sono stati rinviati a giudizio. Infatti, al giudice monocratico, vengono di norma assegnati i processi per favoreggiamento semplice, mentre quelli aggravati dall'articolo 7, che riguarda l'aver avvantaggiato Cosa Nostra, si svolgono davanti ad un tribunale a composizione collegiale. Proprio su questo punto i pm della Dda discuteranno durante la prossima riunione.

Il procuratore della Repubblica, Piero Grasso, commentando il rinvio a giudizio del prefetto Mario Mario e del tenente colonnello Sergio De Caprio ha detto: ''Lunedì (oggi, ndr) convocherò una riunione per discutere la posizione che dovrà prendere l'ufficio nel prossimo giudizio. Intanto non posso che prendere atto della decisione del giudice che come tale va rispettata. La richiesta dei colleghi è frutto di valutazioni maturate all'interno della Dda".
Probabilmente si punterà verso una richiesta di assoluzione. Ha detto ancora Grasso: "Come Pm in passato ho chiesto assoluzioni quando mi ero convinto che non vi fossero elementi sufficienti a sostegno dell'accusa".

- La vera storia dell'arresto di Riina e della mancata perquisizione del suo covo

- ''Anche Riina vuole sapere la verità'' da ''la Repubblica''

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21 febbraio 2005
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