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Quando si fu vicini al golpe

Dopo quasi vent'anni molti i politici ai quali i ricordi della "stagione delle stragi" si fanno vividissimi...

31 maggio 2010

"Il mio governo fu contrassegnato dalle bombe. Ricordo come fosse adesso quel 27 luglio, avevo appena terminato una giornata durissima che si era conclusa positivamente con lo sblocco della vertenza degli autotrasportatori. Ero tutto contento, e me ne andavo a Santa Severa per qualche ora di riposo. Arrivai a tarda sera, e a mezzanotte mi informarono della bomba a Milano. Chiamai subito Palazzo Chigi, per parlare con Andrea Manzella che era il mio segretario generale. Mentre parlavamo al telefono, udimmo un boato fortissimo, in diretta: era l'esplosione della bomba di San Giorgio al Velabro. Andrea mi disse 'Carlo, non capisco cosa sta succedendo...', ma non fece in tempo a finire, perché cadde la linea. Io richiamai subito, ma non ci fu verso: le comunicazioni erano misteriosamente interrotte. Non esito a dirlo, oggi: ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi...".
Queste le parole del presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi, in un colloquio avuto nei giorni scorsi con Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, e pubblicato sul quotidiano (Leggi "La notte del '93 con la paura del golpe").
Un ricordo vivissimo quello di Ciampi che nel 1993, l'anno delle stragi contro i "beni dello Stato", era presidente del Consiglio di un esecutivo di emergenza, che prese in mano un Paese sull'orlo del collasso politico (dopo Tangentopoli) e finanziario (dopo la maxi-svalutazione della lira). Un'Italia che in quel frangente, ha detto senza tentennamenti il presidente Ciampi, rischiò il colpo di Stato, anche se è ignoto il profilo di chi ordì quella trama.
"Chi armò i terroristi? Fu solo la mafia, o dietro Cosa Nostra si mossero anche pezzi deviati dell'apparato statale, anzi dell'anti-Stato annidato dentro e contro lo Stato? E perché, soprattutto, partì questo attacco allo Stato? Tuttora io stesso non so capire... ", ha detto Ciampi a Giannini, dubbi e domande che oggi, con i nuovi filoni di indagine - come quello sul fallito attentato dell'Addaura -, si pongono tutti e fanno guardare con sospetto chiunque.

"A circa diciassette anni di distanza Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica e all'epoca presidente del Consiglio, comunica che nel 1993 egli ebbe il dubbio che gli attentati del 27 luglio di quell'anno fossero funzionali a un colpo di Stato. E arriva all'impudenza di chiamare in causa l'attuale governo intimandogli di non fare, sul possibile golpe del '93, ciò che lui ha invece fatto per diciassette anni: tacere". Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello del PdL, entrambi componenti del Copasir, hanno risposto così a Ciampi in un articolo pubblicato su Libero. "Ciampi - scrivono Cicchitto e Quagliariello - si pone dunque dichiaratamente sulla scia e alla stessa stregua di Walter Veltroni, il quale pretenderebbe, non si sa a che titolo, che l'attuale governo chiarisca e risponda di tutti i misteri della storia d'Italia. La vicenda è ancor più inquietante in quanto assieme a questa inopinata chiamata in causa di Berlusconi, Veltroni e Ciampi dicono cose gravissime per ciò che riguarda i giorni nostri. Ciampi, in sorprendente assonanza con sibilline affermazioni rese da Massimo Ciancimino sugli schermi di Annozero tre puntate fa, arriva a sostenere che 'il clima che si respira oggi, a tratti, sembra pericolosamente rievocare quello del 92-93". "Questa descrizione - si legge ancora nell'articolo - non coincide con i dati oggettivi della situazione. Siamo componenti del Copasir, e nessuno dei direttori degli attuali Servizi ci ha mai detto che ci si trovi di fronte al pericolo di nuovi attentati mafiosi con obiettivi golpisti. Allora delle due l'una: o Ciampi e Veltroni hanno informazioni riservate che nessun altro ha, o essi stanno giocando spregiudicatamente e anche, ci si consenta, irresponsabilmente, un'altra partita. La partita di concorrere a destabilizzare l'attuale equilibrio politico propio con questo bombardamento mediatico e con questo avventurismo comunicativo che porta ad evocare il rischio di attentati e di tentativi di golpe del passato che verrebbero riproposti ai giorni nostri. La misura - hanno concluso Cicchitto e Quagliariello - è ormai colma".

E anche a loro sembra rispondere l'ex membro del pool di Palermo, Giuseppe Ayala, in un'intervista al Tg3: "Falcone parlò chiaramente di menti raffinate, di centri occulti di potere, dopo il fallito attentato dell'Addaura. Molto spesso, in quegli anni, abbiamo avuto l'impressione di combattere contro un muro di gomma. La strage di Capaci non è stata solo mafia. Le stragi di quell'estate sono state di certo strumentali a un disegno politico".
Ne è sicuro anche Pier Luigi Vigna, procuratore a Firenze quando ci fu la strage dei Georgofili ed ex capo della Procura Nazionale Antimafia: "Non fu solo Cosa Nostra a gestire la campagna stragista del '92 e '93. Penso che pezzi deviati dei Servizi segreti siano stati gli ispiratori, e qualche cosa anche di più, delle bombe di Firenze, Roma e Milano". Di sicuro "nelle stragi furono coinvolti anche delinquenti non affiliati a Cosa Nostra, come il magazziniere romano dei 300 chili di esplosivo" o "il postino del comunicato di rivendicazioni delle stragi". Allora "procedemmo subito contestando ai mafiosi l’aggravante di aver agito con finalità di terrorismo o di eversione. Cosa Nostra con questo agire voleva condizionare lo Stato, voleva che fossero cancellate una serie di leggi". Anche se "la prima indicazione dell’Interno fu quella di guardare alla criminalità internazionale”, ha raccontato Vigna in un intervista a La Stampa, "noi seguimmo subito la pista interna anche perché analizzando la tipologia della miscela degli esplosivi emerse che erano identici a quelli della strage dell’84", unica altra occasione in cui "i boss agirono sul continente". E "a distanza di tanti anni continuo a non credere che quello che è accaduto fuori dalla Sicilia sia frutto di una pensata di Cosa Nostra", che "senza agganci esterni non si sarebbe mai mossa, non avrebbe traslocato a Roma, Firenze, Milano". "A distanza di tanti anni continuo a non credere che quello che è accaduto fuori dalla Sicilia sia frutto di una pensata di Cosa Nostra''. Vigna ha quindi "una certezza: Cosa Nostra non si è mossa da sola. Se guardo ai risultati di questa offensiva, devo constatare che sul piano politico vi è stata una tenuta delle istituzioni. Nessuna richiesta avanzata dalla mafia è stata esaudita. Il 41 bis e le misure di prevenzione oggi sono provvedimenti molto più rigidi di prima. Allora dobbiamo guardare ai 'deviati'. Quello è un periodo di 'deviazione'". "Il 1993 - ha spiegato ancora Vigna - è anche l'anno dello scandalo dei fondi neri del Sisde, del tentato golpe di Saxa Rubra, dell'esplosivo sul rapido Siracusa-Torino piazzato da un funzionario dei Servizi di Genova, di un ordigno inerte in via dei Sabini a Roma, del black-out a Palazzo Chigi di cui parla il presidente Ciampi. Insomma c'erano pezzi dei Servizi che ragionavano ancora come se il Muro di Berlino non fosse crollato. Mani Pulite aveva demolito la prima Repubblica e qualcuno aveva interesse che le richieste di Cosa Nostra fossero accolte per dare peso a una organizzazione mafiosa che iniziava a globalizzarsi. Che era ricca economicamente, forte. In grado di consentire relazioni anche internazionali...".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Repubblica.it, Ansa]

- Intervista a Oscar Luigi Scalfaro di Vittorio Ragone (Repubblica.it, 31/05/10)

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31 maggio 2010
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