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Quando un Paese sceglie democraticamente l'integralismo. Continuano le tensioni tra Israele e Hamas

16 febbraio 2006

Solo pochi giorni fa Khaled Meshaal, il capo della direzione politica di Hamas, partito vincitore delle elezioni legislative palestinesi, aveva rilasciato al quotidiano russo 'Nazavissimaia Gazeta' alcune dichiarazioni che facevano sperare nell'apertura di un possibile spiraglio nei confronti di Israele. ''Hamas è disposta a porre fine alla 'resistenza armata' quando Israele riconoscerà i nostri diritti e si impegnerà al ritiro da tutti i territori palestinesi occupati''.
Questa la dichiarazione di Meshaal al quotidiano russo. Il capo politico di Hamas ha ribadito di non aderire alla ''Road map'' per la pace israelo palestinese, sottolineando che ''nessuno ne rispetta i passi''.
Inoltre, i leader di Hamas sono stati invitati a Mosca dal presidente russo, Vladimir Putin (la Russia fa parte del quartetto di mediatori per la pace in Medio Oriente, insieme a Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite).

Nessuna distensione, invece, arriva dall'altra parte. Infatti il ''New York Times'' ha pubblicato in questi giorni un articolo dove si dice che Israele e gli Stati Uniti starebbero preparando un piano per bloccare Hamas.
Secondo le informazioni date dal quotidiano americano, la strategia scelta da israeliani e americani per impedire la creazione di un governo palestinese sotto l'egidia di Hamas, mirerebbe a ''strangolare'' il partito integralista che ha democraticamente vinto le elezioni del 25 gennaio.
Bloccare i salari, congelare i finanziamenti ai grandi progetti in Cisgiordania e Gaza, impedire i movimenti di uomini e merci, boicottare qualsiasi tipo di contatto con i dirigenti del futuro governo palestinese. Israele e Stati Uniti, insomma, vorrebbero imporre una sorta di embargo totale, che conduca gli oltre 3 milioni e mezzo di palestinesi residenti nei territori occupati da Israele nel '67 a rivoltarsi contro i leader eletti. E soprattutto adoperarsi per spingere il presidente Mahmoud Abbas a sciogliere il Parlamento e proporre una nuova tornata elettorale nella speranza che gli estremisti islamici siano battuti.

Da Washington la Casa Bianca smentisce. ''Un piano del genere non esiste'', ha detto il portavoce del presidente Bush. ''La nostra strategia è costringere i nuovi leader palestinesi a compiere una scelta precisa tra la trasformazione in un legittimo interlocutore, oppure l'isolamento internazionale'', dicono al ministero degli Esteri di Gerusalemme.
La Russia e la Francia hanno provato a lanciare segnali d'apertura verso Hamas, la Turchia s'è proposta come mediatore. E proprio in questi giorni anche il ministro degli Esteri tedesco, Steinmeier, si è detto favorevole a un ''tentativo di mediazione di Ankara'', se questa ''può influenzare Hamas'' a rinunciare alla violenza e a riconoscere lo Stato ebraico.
Tra gli ambienti diplomatici occidentali in Israele però, c'è chi conferma ''il delinearsi dell'eventualità'' di cui parla il New York Times. ''È chiaro che americani e israeliani guardano all'arma economica per strangolare il prossimo governo di Hamas'', dicono nell'ufficio a Gerusalemme di James Wolfensohn, l'inviato dell'Unione Europea che sino a settembre era stato incaricato di provvedere agli aiuti economici per Gaza, dopo il ritiro israeliano, e ora segue l'evoluzione anche in Cisgiordania. Una conferma indiretta è giunta anche dal premier israeliano ad interim Ehud Olmert. ''Il giorno in cui Abbas nominerà un rappresentante di Hamas a capo del governo, rivedremo tutti i nostri contatti. Non negozieremo e non tratteremo con un'autorità palestinese dominata totalmente o parzialmente da un'organizzazione terroristica''.

Intanto, sabato prossimo si riuniranno per la prima volta i 132 deputati del nuovo Parlamento, dominato dai 74 deputati di Hamas. Israele impedisce la libertà di spostamento a questi ultimi, così la sede parlamentare di Ramallah sarà collegata in videoconferenza con quella di Gaza, dove si trovano i massimi leader del movimento islamico.
L'impressione è che comunque Mahmoud Abbas non abbia intenzione di indire nuove elezioni, e Hamas ha già duramente criticato un'eventualità del genere. ''Gli Stati Uniti, che si definiscono la madre di tutte le democrazie, hanno l'obbligo di rispettare il risultato delle urne. Queste sono state le elezioni più democratiche e corrette di tutto il Medio Oriente'', sostiene Mushir al-Masri, uno tra i portavoce di Hamas. È tra l'altro netta l'impressione che una nuova tornata elettorale non farebbe altro che confermare e addirittura rafforzare i risultati di gennaio. ''Se si tornasse alle urne su pressione di Israele e Usa, i radicali islamici potrebbero avvicinarsi ai 100 seggi. Sarebbe una follia solo provarci'', osserva Danny Rubinstein, esperto dei territori occupati per il quotidiano Haaretz.

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16 febbraio 2006
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