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Quei soldati italiani ammalati e morti di... guerra. 158 casi di tumori tra i nostri militari nei Balcani

07 aprile 2006

Per la guerra che si è combattuta alla fine degli anni Novanta in Bosnia e Kosovo, sono morti 28 militari italiani.
Non sono stati 28 caduti di guerra, persone che hanno perso la vita durante le operazioni belliche, no, sono deceduti dopo perché colpiti da malattie inguaribili durante la loro missione nei territori della ex Jugoslavia.
Il dato impressionante è contenuto nella relazione annuale che il Ministero della Difesa trasmette al Parlamento. Un documento col quale si fornisce un dettagliato resoconto sulla situazione del personale delle forze armate. Uno ''statino'' che per la prima volta venne istituito da Giovanni Spadolini, quand'era ministro della Difesa. Lo ''statino'' attuale fa il punto al 31 dicembre scorso. A quella data risultano accertati 158 casi di neoplasie maligne (alla fine del 2004 erano 99) che hanno provocato, appunto, 28 decessi. In base alle verifiche mediche le affezioni più diffuse riguardano il tumore alla tiroide (24 casi), il tumore al testicolo (21 casi) e il linfoma di Hodgkin, con 20 colpiti.

Il fatto che diversi militari italiani siano morti dopo il rientro a casa dalla guerra dei Balcani non è una notizia nuova. Lo si è saputo poco tempo dopo: parecchi soldati italiani si ammalavano e la causa era da cercarsi in quella guerra. L'hanno definita ''Sindrome dei Balcani'' e si è sempre sospettato che la causa delle malattie mortali potesse essere collegata al famigerato depleted uranium, l'uranio impoverito. In realtà non è stato mai possibile attribuire con certezza scientifica una completa responsabilità a questo metallo che era contenuto nei proiettili sparati dai caccia durante la guerra del Kosovo.
Ne furono lanciati, come ha ammesso il Pentagono, ben 11 mila. Venivano scagliati contro i mezzi blindati per perforarli, grazie alla enorme forza d'impatto dell'uranio impoverito.

La commissione presieduta dal professor Franco Mandelli, presidente dell'AIL, arrivò alla conclusione che il numero dei decessi era nella media nazionale. Tuttavia la lista delle malattie mortali e dei militari deceduti negli ultimi 5 o 6 anni si è allungata in misura allarmante. ''Effettivamente - ammette Falco Accame, che fu presidente della commissione Difesa in quegli anni - far risalire con certezza la morte all'uranio impoverito è impossibile. Ma nemmeno abbiamo la certezza contraria, che cioè l'uranio impoverito sia innocente, estraneo alla tragica fine di tanti giovani''.
La ''Sindrome dei Balcani'', secondo gli esperti, potrebbe essere determinata da un insieme di cause, che vanno dall'ambiente in cui i militari operano, allo stress che le missioni all'estero comportano. Il Pentagono ha riconosciuto negli ultimi tempi che lo stress psicofisico dei militari può dare origine a patologie gravi, l'hanno chiamato battle fatigue, stress da battaglia.

Sia colpa dello stress o dell'uranio impoverito, le ricerche, ritiene Falco Accame, non dovrebbero limitarsi ai militari impiegati in Bosnia e Kosovo, ma andrebbero estese anche a quelli che operano in Albania e soprattutto dovrebbero partire dalla prima guerra del Golfo, che risale al 1991. ''Si sono verificati casi mortali sia tra i militari mandati a quell'epoca nel Kuwait sia fra quelli spediti in Somalia nel 1993. In entrambe le missioni potrebbero essere avvenuti contatti con l'uranio impoverito''.
Il ministero della Difesa creò una commissione d'inchiesta nel 2000 in seguito a preoccupanti segnalazioni di decessi fra gli uomini inviati all'estero. Da allora chi torna da una missione viene sottoposto ad accurate verifiche mediche.
Finora gli accertamenti sono avvenuti su 65.701 militari che si sono alternati in Bosnia e Kosovo.

- ''Iraq, lo spettro dell'uranio'' (La Nuova Ecologia - Maggio 2005)

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07 aprile 2006
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